Il dirigente dem

Parla Goffredo Bettini: “I socialisti sbagliano, bene la Schlein: l’Europa è nata per garantire la pace non il riarmo per la guerra”

“Ora che Trump ha rotto l’asse atlantista, l’Europa avrebbe in teoria la possibilità di trovare la voce che non ha mai avuto. Ma il piano di Ursula serve solo a blindare leadership zoppicanti”

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

19 Marzo 2025 alle 08:00

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Photo credits: Giuliano Del Gatto/Imagoeconomica
Photo credits: Giuliano Del Gatto/Imagoeconomica

Non c’è bisogno di esibire o ricoprire cariche per essere autorevole. Per essere ascoltato. Per orientare un dibattito. Questa autorevolezza è propria di Goffredo Bettini. Una vita a sinistra. Bettini è stato dirigente romano e nazionale della Fgci negli anni 70. Conosce e frequenta grandi intellettuali come Pasolini, Bertolucci, Volponi, Eduardo, Moravia, Sanguineti. Negli anni 80 è segretario del Pci di Roma. Entra nella Direzione nazionale del Pci ad appena 32 anni. Agli inizi degli anni 90 inventa la candidatura di Rutelli sindaco e dà l’avvio al Modello Roma, che governerà per quindici anni la capitale. Non abbandona la sua passione per la cultura. È presidente dell’Auditorium e fonda la Festa Internazionale del Cinema di Roma. Con Veltroni segretario, diventa coordinatore nazionale del Pd. Alle dimissioni di Veltroni lascia ogni incarico e si dedica a mesi di lavoro culturale e alla scrittura. Nel luglio 2014 viene eletto al Parlamento europeo. Vola alto Bettini. Leggere per credere.

La pace, la guerra, un nuovo ordine internazionale. Il rapporto tra idealità e concretezza. Questioni epocali, che una politica con la “p” minuscola sembra ridurre a problemi di bottega. Mala tempora currunt?
A fronte di un rapido riassetto mondiale in continua evoluzione, manca un pensiero adeguato e la politica è, ancora una volta, in affanno. Questi, a mio avviso, i tratti essenziali della nuova situazione: gli Stati Uniti pensano a sé stessi. Hanno unilateralmente rotto l’asse atlantico, per una politica aggressiva nella sfera di influenza che pensa competa loro, l’America del Nord e del Sud; cercando, allo stesso tempo, un compromesso conveniente con il resto del mondo e aprendo un’offensiva ideologica di estrema destra fuori e dentro i propri confini, che mette insieme razzismo, xenofobia, spietatezza sociale, idee di dominio dell’universo e deserto valoriale. Basti pensare all’osceno video sulle spiagge di Gaza. Non abbiamo voluta vederla: ma quest’anima turpe l’America l’ha sempre coltivata e ha convissuto con quella liberal, progressista e democratica.

Ma gli Usa, tuttavia, sono stati considerati dal resto dell’Occidente un punto di riferimento e la più grande democrazia del mondo…
Non è stata la più grande democrazia del mondo, ma la più lacerata e conflittuale. Da una parte i berretti verdi di John Wayne, dall’altra Apocalypse now di Francis Ford Coppola. La Russia, da parte sua, in modo autocratico e interventista, intende riconquistare un ruolo “imperiale”. Da protagonista planetario; come pensa sia giusto dopo il crollo dell’Unione Sovietica, per la sua dimensione geografica, la sua potenza atomica, la sua storia millenaria.

E la Cina?
Decisivo terzo polo, sullo sfondo, ma incombente, si muove la Cina. Non attraverso minacce o avventure militari; piuttosto con il rafforzamento di un’egemonia economica e un competitivo sviluppo tecnologico. Terreni di gioco avversati in ogni modo dagli Stati Uniti. Ricordo sempre quanto sia stata letale per il Governo Conte 2 la sua apertura alla Via della Seta. A questo tripolarismo imperiale, si aggiungono i Paesi del Brics (Sudafrica, Brasile, India e tanti altri) che l’Occidente ha spinto lontano da sé: certamente non amano Putin; ma ancor più non amano noi, considerandoci “avidi e violenti”. La dinamica dei rapporti tra questi grandi poli è mutevole, molto rapida. L’Europa appare marginale, confusa, senza una chiara prospettiva. Dell’Europa c’è un dannato bisogno; ma, purtroppo, paga i suoi errori.

Quali i principali?
Quello, innanzitutto, di aver avvertito un sentimento di subalterna riconoscenza oltre il tempo dovuto verso gli Americani che ci hanno liberato dal nazismo. L’appiattimento su un occidentalismo unilaterale e ideologico, che ha compromesso il suo autonomo cammino. L’Europa ha oscillato tra una visione emancipativa, federale e parlamentarista ed una elitaria, tecnocratica, intergovernativa, lobbistica, impositiva di regole e restrizioni. Tranne la prova efficace e innovativa degli investimenti comuni per fronteggiare il Covid (dovuta molto al governo del Pd con il M5s, che ha combattuto assai bene in sede europea) ha prevalso negli ultimi anni la seconda. L’Unione ha perso pezzi decisivi come la Gran Bretagna, sono prevalsi gli interessi dei singoli Paesi, non è emersa alcuna spinta propulsiva e la funzione del Parlamento è stata ridotta al minimo. L’Europa si è allargata, ma ha perso densità. Molti Paesi che hanno via via aderito credo non sappiano neppure cosa sia il Manifesto di Ventotene. Sono nell’Unione, perché avvertono lì un ombrello di sicurezza, restando estranei rispetto ai suoi fondamenti.

Insomma, vuole dire che l’Europa ha perso capacità di incidere… e di decidere.
È stata incapace di svolgere la sua missione storica e autonoma di ponte tra Occidente e il resto del mondo. Anzi, durante la guerra in Ucraina, mentre giustamente aiutava anche con le armi il Paese aggredito, è stata totalmente incapace di muovere la diplomazia, di spingere per la tregua e per la pace con una propria proposta. Rispetto all’alleato americano, ha aggiunto un di più di carico ideologico, una frenesia guerresca, uno schematismo nel leggere la realtà. Dal Dopoguerra non era stata mai così fuori dalle sue “corde”: con l’idea che l’Occidente è uno ed è buono, mentre il resto del mondo è una somma indistinta di cose sbagliate e addirittura incitando alla guerra mentre si aprono spiragli di pace. Trump ha dimostrato, per i disvalori che sta imponendo, quanto gli occidenti siano molti, alcuni terribili; e che, oltre i loro perimetri, non ci sono solo sgozzatori selvaggi, ma realtà statuali imponenti, con alle spalle civiltà antiche.

Se è così, come pensa si debba correggere?
L’Europa deve trovare una sua strategia planetaria. Dubito che la von der Leyen abbia in testa la grandezza delle questioni che premono. Al di là del merito, è impressionante e sconsolante la pochezza del pensiero e delle risposte che si tentano.

Si riferisce al riarmo?
Vorrei essere il più possibile preciso. Vede, ho apprezzato sinceramente la piazza gremita di Roma a sostegno dell’Europa. Il desiderio di prendere la parola, di farsi sentire, vedere, incontrarsi, è stato spontaneo. Un’autentica necessità. Michele Serra e Repubblica, con il suo direttore Mario Orfeo, hanno colto lo “spirito” del tempo in questo frangente, nel quale gli “imperi” si riconoscono e si cercano, con il disprezzo più umiliante verso il Vecchio Continente. Abbiamo manifestato il nostro orgoglio. È un bene. Tuttavia, quella piazza non ha detto molto su cosa da ora si debba fare. C’erano opinioni molto diverse, perfino contrastanti.

E invece che pensa si debba fare nel futuro?
L’Europa flebile e incerta che ci sta alle spalle ha un’occasione storica per risvegliarsi. Il re è nudo. O prende coraggio e punta all’integrazione di fondamentali politiche, si democratizza e parlamentarizza, implementa il suo modello sociale, ritrova un patriottismo federalista, si candida a svolgere un ruolo di dialogo, di pace, di deterrenza rispetto ad ogni prepotenza e conflitto, rivitalizza il suo “umanesimo” e la sacralità della vita, che sono la sostanza delle tradizioni su sui si poggia, quella cristiana e quella socialista, o si condanna all’irrilevanza. Chi ama l’Europa deve uscire da questa terribile contingenza, con in mano questa ambizione e con atti concreti che la sostengano. Il riarmo dei singoli Stati non mi pare corrispondere al salto in avanti necessario. Sono fermamente convinto che serva rafforzare una difesa comune. I “prìncipi” e i princìpi devono avere con sé “eserciti propri”, come diceva Machiavelli. Ma gli eserciti, senza politica, producono solo rumori inquietanti. Ecco: prima o contemporaneamente agli eserciti serve generosità sovranazionale e unità per contare, per avere una voce sola e un intento comune.

Sottolineare questa esigenza è diserzione, opportunismo, tradimento, estremismo, pacifismo codardo?
Non scherziamo! Benedetta Elly Schlein, che ha posto un alt misurato, ragionato, per riflettere e valutare bene. Per dire che nulla deve essere scontato; che decisioni importanti vanno democraticamente vagliate; che il fine per il quale sono state assunte ora non è affatto chiaro.

Si è detto, “è un primo passo”
È un primo passo? Senza definire però, quale sarà il secondo. Certamente non è annunciata insieme al riarmo una maggiore integrazione politica, né si mette l’accento sulla difesa comune; piuttosto si evoca una “presenza” minacciosa della Russia che ci costringe in fretta e furia a rafforzare gli eserciti. Senza un’analisi dei cambiamenti globali e la definizione di un nuovo ruolo del Vecchio Continente.

Quali sono allora i motivi veri di questa scelta del riarmo?
Sembra più dettata da un’esigenza di rilegittimazione interna di classi dirigenti in bilico. Sollevando la paura di una possibile invasione, credono di poter riconquistare una leadership perduta. Per la Germania, soprattutto, corrisponde anche ad un’esigenza di crescita del Pil in una fase depressiva, con le esportazioni in calo. Sembra a me particolarmente goffo il tentativo da parte di Macron di assumere i toni solenni di De Gaulle o Churchill, di fronte all’avanzata nazista. Rivolgersi ai francesi affermando che sono in pericolo, che occorre difendere il loro futuro e quello dei loro figli perché Putin minaccia il loro territorio è pura propaganda, “mobilitazione” del sospetto e dell’odio. È vero che la storia si presenta la seconda volta come farsa. Macron pensa che questo clima aiuterà la Francia (insieme all’Inghilterra, la sola nazione in possesso di armi nucleari) a diventare il capofila europeo di tutti gli eserciti, rinverdendo la grandeur del proprio Paese.

Il riarmo sul piano sociale avrà conseguenze?
Con gli armamenti Stato per Stato, aumenteranno le differenze e l’indebitamento. In Italia, si gonfierà il debito pubblico, costringendo il nostro Paese a pagare per i debiti contratti tassi più alti rispetto agli altri. Ci sarà inevitabilmente un taglio ulteriore dello stato sociale e una sofferenza dei cittadini più disagiati. Un sondaggio realizzato con serietà dimostra che i ceti più alti spingono maggiormente per continuare la guerra e per produrre armamenti, rispetto al popolo, assai più prudente, incerto, diffidente. In gran parte contrario. In tutto questo la presidente del Consiglio non fa che aumentare inconcludenza, divisioni e confusioni anche all’interno delle forze che la sostengono. Quello che si prospetta è un reiterato errore che ha indebolito l’Europa nel passato: il carattere elitario, troppo indifferente alla vita; poco democratico nelle decisioni che vengono assunte da una convergenza di stati maggiori; rigoroso sui bilanci, quando si tratta di dare un sostegno ai deboli e larghissimo di manica, quando si tratta di promuovere politiche di autotutela e gli interessi di lobby potenti. Altro che rilegittimazione! Su questo crinale aumenterà lo scontento e diminuirà il consenso di tanti cittadini verso “questa” Europa.

Ma in questo modo aiutano l’Ucraina…
Invece di aiutare l’Ucraina, aiutano Putin; che non avrà necessità di mandare i carri armati, come alcuni sostengono, per dominare l’Europa. Piuttosto, nasceranno tanti Putin dal basso attraverso il voto democratico. I sovranisti e illiberali saranno messi dal popolo a capo dei nostri Stati. Più di quanto sia già oggi.

Allora, come uscirne?
Combattere la logica degli imperi, svolgere un ruolo di deterrenza, non si risolve con qualche miliardo in più per affrontare una presunta guerra imminente nel cuore del Continente. Piuttosto si affronta diventando un soggetto mondiale, che si estrania da una visione imperiale, per pesare con l’integrazione della sua difesa, con la sua ancora potente economia, con la sua posizione geografica, con la sua ineguagliabile storia di civiltà. Se è così, perché non cogliere il passaggio che ci sta di fronte come una grande occasione? Dopo aver capito che i buoni non erano tutti buoni, e che i cattivi vanno misurati con il metro lungo della storia e non con l’insopportabile presunzione di essere sempre i migliori, partendo solo dal nostro sguardo che incrocia raramente quello degli altri.

Giusto. Ma come si interviene sulla realtà che oggi ci sta di fronte?
Intervenire nel corso degli avvenimenti significa spingere per una pace giusta partendo dagli accordi di Minsk, come ricorda sempre Cacciari, che gli “imperi” non garantiscono. Occorre partire da un giudizio drastico sul carattere criminale dell’atto di invasione da parte della Russia. Ma, se si cerca un compromesso, non si può rigettare tutto ciò che è avvenuto nel passato.

Vale a dire?
La Nato si è avvicinata troppo ai confini della Russia. Portare l’Ucraina nella Nato sarebbe stato come accettare, durante la Guerra Fredda, l’adesione del Messico al Patto di Varsavia. Inoltre, la discriminazione e la persecuzione degli insediamenti russi nel Donbass è stata reale; così come reali sono state le oscillazioni, le incertezze e le contaminazioni con gruppi filo nazisti, da parte di Zelensky. Al quale certamente va riconosciuta, comunque, la tenacia nella difesa della patria.

Dunque Putin, per lei, non è come Hitler?
Paragonare Putin a Hitler è un errore storico e politico. Putin ha imposto uno stato autocratico, in molti casi persecutorio, fortemente militarizzato; che certamente non mi piace per nulla. Ma Putin ha un largo consenso. Perché dopo il crollo del suo mondo e la parentesi ignobile di Eltsin (che ha venduto metà del suo Paese all’Occidente e l’altra metà agli oligarchi), ha garantito uno sviluppo stabile della Russia. Tutti i parametri della qualità della vita, a partire dal numero dei suicidi fino a quello della mortalità infantile, sono migliorati. Putin vuole ritornare ad essere considerato un “impero”. Ma non perché intenda espandersi. Il calo demografico, che pesa anche sull’arruolamento dei giovani nell’attuale guerra con l’Ucraina, permette a stento di controllare i suoi immensi confini. La Russia non invaderà nessuno nel cuore dell’Europa. Non ha la forza per farlo, né l’interesse. Mostra i muscoli per essere considerata uno dei tre poli fondamentali che decidono i nostri destini. Dopo essere caduta nel baratro.

E l’Europa come si dovrebbe collocare?
Le traiettorie di movimento dell’Europa sono prioritariamente due. Quella verso il sud e verso l’Africa e quella verso l’immensità dei Balcani e dei popoli slavi. Ambedue questi movimenti scontano diffidenze antiche, da parte dei soggetti con i quali dovremmo collaborare. Eppure, in entrambi i casi, l’Europa gode di una credibilità e di un fascino che altri non hanno. La Russia è stata sempre in equilibrio tra l’Oriente e l’Occidente. Lenin fu Occidente, Stalin Oriente. Ivan Il Terribile conquistò l’Asia, Pietro Il Grande edificò sulle paludi San Pietroburgo. Un po’ Parigi, una po’ Venezia. La cultura e l’arte russa sono state il punto più alto (insieme a forme di conservazione e fanatismo religioso) dello spirito critico dell’Occidente, mettendone a nudo il nucleo più oscuro e devastante: il Nichilismo, che ci portò alle guerre mondiali e alla oscenità della Shoah.

Non è troppo generoso verso la Russia?
Dire questo non è un favore a Putin. La Russia è qualcosa di enormemente più grande del piccolo Zar. Semmai con il confronto, l’apertura, la competizione anche spigolosa ma rispettosa delle idee, possono cadere i timori che portano i Russi a sostenere il loro autocrate. E potranno crescere gli spazi dell’opinione pubblica più libera a San Pietroburgo e a Mosca; dove serpeggia del malcontento nei confronti del governo.

Verso la Russia, tuttavia, l’Europa vuole aumentare la deterrenza rispetto ad intenzioni malevole.
La Russia ha faticato e fatica a domare l’Ucraina, la deterrenza che l’Europa esercita già oggi è assolutamente insormontabile. Se fosse colpita, Putin sa che sarebbe guerra atomica mondiale. All’Europa piuttosto manca il passo decisivo per diventare una sola cosa, federata e in grado di emanare egemonia positiva, virtuosa, pacifica.

Ma c’è chi dice che deve continuare a combattere da sola.
Dopo aver garantito la pace per ottanta anni, oggi da sola dovrebbe garantire la guerra? Non scherziamo. Se rimarranno solo gli armamenti, il clima che si determinerà non porterà ad un giusto e nuovo equilibrio, anche per il popolo ucraino; piuttosto ad una continuazione dello scontro militare, nel quale per forza maggiore, si descrivono gli altri come l’impersonificazione del male assoluto. La guerra deforma i profili di tutti. Non è neutra. Deposita materiali tossici da una parte e dall’altra. Nel poema di Omero, l’Iliade, il più solenne concentrato di poesia che racconta la guerra tra i Greci e i Troiani, alla fine si perde persino la ragione che ha portato allo scontro in armi, la bella Elena. Le vendette si susseguono ad altre vendette. La ragione per ulteriori lutti sta nei lutti subiti. L’odio si autoalimenta. E alla fine ci si domanda il motivo di tanto dolore.

La Schlein ha assunto una posizione diversa dal resto dei socialisti europei. Su questo il PD si è spaccato?
Si dice che Schlein con la sua posizione si sia isolata. Per nulla. Si è distinta. Ha lanciato un monito, non si è piegata a meccanismi automatici e obbligati di adesione. Non so che sviluppi ci saranno nel Pd. Un chiarimento serve. Così come serve tra le forze socialiste europee. Ricordo che il socialismo ha sempre perso quando si è vincolato al nazionalismo. Il socialismo è un’idea transnazionale che avrebbe bisogno di partiti transnazionali. Se si torna agli interessi di bottega, si torna all’errore madornale che i socialisti decisero di compiere prima dello scoppio della grande guerra nel 1914. Votare i crediti di guerra significò, infatti, dare il via libera alle classi dirigenti che hanno portato al disastro l’Europa. Indicare, al contrario, una prospettiva di deterrenza comune e i nuovi assetti del mondo, con un nuovo spirito di pace e collaborazione, è la sola possibilità per i socialisti di tornare a fare il proprio mestiere nelle condizioni date. Non è pacifismo senza nerbo, piuttosto combattimento senza incertezze e conformismi per i propri valori.

19 Marzo 2025

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