Il leader dell’area liberal Pd

Parla Morando: “Trump, Putin e Xi vogliono distruggere l’Europa”

«I dazi? L’Europa deve rispondere in modo proporzionale alla minaccia. L’orizzonte della sinistra europea è l’Unione politica, ma l’iniziativa dei volenterosi è la collina dal quale vederlo e avvicinarlo. Nell’atteggiamento di Meloni c’è il rischio che l’Italia si sieda in tribuna»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

3 Aprile 2025 alle 08:00

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Photo credits: Alessia Mastropietro/Imagoeconomica
Photo credits: Alessia Mastropietro/Imagoeconomica

Enrico Morando, leader dell’area liberal del Partito democratico, già viceministro dell’Economia e delle Finanze nei governi Renzi e Gentiloni), Senza girarci intorno. Il Partito democratico ha una visione condivisa di Europa che non sia solo il riferimento a Ventotene e ai padri fondatori?
Il Manifesto di Ventotene costituisce per il PD un riferimento fondamentale: lì trova le sue radici un’idea di Europa federale, in grado sia di assicurare la pace duratura tra i Paesi che sono stati all’origine dei due grandi conflitti mondiali, sia di costruire un protagonista del processo di mantenimento della pace alla dimensione globale. Nel corso degli anni, conseguito pienamente il primo obiettivo, grazie al progressivo processo di integrazione, ci siamo abituati a pensare che il secondo -la sicurezza dalle aggressioni esterne all’Europa e il mantenimento di un ordine internazionale fondato sul diritto e non sulla forza-, potesse essere sostanzialmente delegato ad altri, al Paese leader dell’Alleanza Atlantica di cui facciamo parte. Avremmo dovuto capire da tempo (almeno dall’aggressione di Putin per la conquista della Crimea), che la guerra come “continuazione della politica con altri mezzi“ era tornata tra noi, qui in Europa; e che senza una brusca accelerazione del processo di costruzione dell’unità politica -presupposto fondamentale della politica estera e di difesa comune- l’intero continente era esposto al rischio di vassallaggio nei confronti di grandi potenze militari che tornavano a praticare la teoria delle “aree di influenza”.

C’è chi sostiene che discutere di Ventotene è un esercizio passatista…
Il Manifesto di Ventotene non è solo un astratto riferimento ideale, inservibile come ispirazione per l’azione politica nel difficile presente. È stata la Presidente del Consiglio, scagliandosi strumentalmente contro le parti caduche di quel testo, inesorabilmente figlie del loro tempo, a tentare di trasformarlo in un documento inerte, da consegnare alla storia del ’900. Ma proprio uno degli autori del Manifesto europeista, Altiero Spinelli, diede la migliore prova della capacità di quel documento di fornire una bussola per la difficile azione politica quotidiana -fatta di avanzamenti e di arretramenti, di compromessi e di scontri, di conquiste parziali e di cocenti delusioni-, impegnandosi in prima persona, al fianco di De Gasperi, per la costruzione della Comunità Europea di Difesa (CED). Nel documento scritto da Spinelli per De Gasperi -e dallo stesso ampiamente utilizzato per convincere gli interlocutori -a partire dagli USA- e per stendere e approvare il Trattato (Parigi, 27 maggio 1952), Spinelli prendeva di petto il tema dell’embrione di stato federale, la Comunità Politica Europea (CPE), necessario per assicurare la guida dello strumento di difesa europeo. Ispirazione federalista fermissima, a sorreggere l’impegno su ogni fase di passaggio: dalla CED allo SME. Spinelli per primo ha dunque insegnato a tutti gli europeisti che il Manifesto di Ventotene non è solo uno strumento di propaganda di un ideale, ma una fonte di ispirazione per la politica, capace di resistere all’usura del tempo. Vale anche per il PD, e vale per l’oggi più di ieri, perché oggi si devono compiere scelte politiche concrete, difficili proprio perché non colgono pienamente l’obiettivo federalista, ma possono avvicinarne il conseguimento. L’esempio di Spinelli ci dice che sarebbe un errore tragico, in nome dell’incompletezza, tirarsene fuori.

Macron e Starmer patrocinano la “coalizione dei volenterosi”, con la convinzione, propria anche della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che la pace si conquista con la forza. È questo l’orizzonte della sinistra europea?
No. L’orizzonte della sinistra europea è l’Unione politica, l’obiettivo del Manifesto di Ventotene. Ma l’iniziativa dei “volenterosi” è la collina sulla quale bisogna salire, perché da lì potremo meglio vedere -e avvicinare- l’orizzonte cui tendiamo. Sì, è un’iniziativa rischiosa, tanto che i suoi contorni sono ancora in larga misura da definire. Ma una cosa a me sembra chiara: primo, solo chi sceglierà di parteciparvi potrà davvero contare nel lavoro di definizione delle caratteristiche e degli obiettivi dell’iniziativa. Secondo: di fronte alla drammatica urgenza di agire per la tutela della nostra sicurezza e per aiutare l’Ucraina a non subire dall’accordo “di pace” quella sconfitta che l’esercito di Putin non è stato in grado di infliggerle sul campo, la pretesa di utilizzare -per decidere-, le regole dell’Unione così come sono oggi è la pretesa di chi non vuole fare niente. Stesso discorso per chi invoca l’ONU: dato il potere di veto della Russia in Consiglio di sicurezza, si tratterebbe di un intervento per fornire garanzie all’Ucraina di fronte alla minaccia russa, messo in atto col consenso… di Putin. Quindi, bisogna procedere con cooperazioni rafforzate aperte e con appositi Trattati. Terzo: alle stesse conclusioni si arriva se si vuole assicurare che il Regno Unito sia pienamente coinvolto, con un ruolo da protagonista. Non solo per la forza del suo esercito, ma anche e soprattutto perché la sua partecipazione aiuta a rimarginare, col tempo, la ferita della Brexit. Alla luce di tutto ciò, vedo nell’atteggiamento del Governo Meloni un rischio enorme: che l’Italia si accomodi in tribuna, tra gli spettatori, perché la Presidente Meloni si dichiara “d’accordo” con Vance alla recente conferenza di Monaco e afferma di non voler scegliere tra USA e Europa. Ma noi siamo l’Europa… Una aperta e responsabile battaglia politica dell’opposizione contro questa pericolosa ambiguità è indispensabile. Adesso, perché tra un po’ sarà troppo tardi. Quanto al ruolo delle armi per la pace le risponderò con le parole di un altro gigante dell’europeismo italiano, De Gasperi, e del responsabile difesa del gruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo. Il primo: “neutralità, ideale da tutti agognato, ma raggiungibile solo in un mondo di inermi, o garantito da una forte difesa di natura e di armi”. Il secondo: “la posizione del mio gruppo è quella di far comprendere ai cittadini che l’Europa e la sua democrazia vanno difese“.

C’è chi, anche nel PD, sostiene che il “piano von der Leyen” sia un passo verso la difesa comune. Elly Schlein non è di questo avviso.
Rispetto il parere di tutti, ma penso che sia un passo nella direzione giusta. Non grande come lo vorrei, ma positivo. E molto influenzato dalla iniziativa del gruppo dei Socialisti e Democratici. Sento circolare una strana teoria, per la quale -di fronte ad un Piano come quello in questione- bisognerebbe partire dal NO per poi “trattare” modifiche che consentano di arrivare all’astensione. A giudicare dall’esito -un voto del PD in perfetta solitudine nel gruppo dei Socialisti e Democratici-non si è trattato di una gran tattica… E mi pare che il voto del PD di ieri al Parlamento europeo-in sintonia col gruppo dei socialisti e democratici-, segni il ritorno su di una posizione che condivido.

Sul Financial Times, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha tessuto le lodi di J.D.Vance, il Vicepresidente Usa che non passa giorno senza che “schifi” l’Europa, che entro questo mese sarà in Italia. Alleati o vassalli?
È inutile girarci attorno o fingere di non aver capito, allo scopo di restare aggrappati all’idea di un ruolo di Meloni come “mediatrice” tra Trump e l’Europa: la novità sconvolgente è che Trump e la sua Amministrazione hanno fatto propria la teoria di Putin, secondo la quale il principio ordinatore del nuovo ordine mondiale è quello delle “aree di influenza” delle grandi potenze. Non si spiegano altrimenti le minacce al Canada, alla Danimarca/Groenlandia, a Panama. L’interesse comune di Trump, Putin e (forse) Cina è quello di indebolire -fino alla disgregazione- l’Unione Europea, sia perché -se costruisse una sua autonomia strategica- sarebbe un quarto soggetto autonomo seduto al tavolo di questa nuova edizione di Yalta; sia, soprattutto, perché l’Unione Europea costituisce, per tutti i popoli del mondo, compresi quelli che subiscono la repressione dei regimi autoritari, un esempio di libertà, democrazia e benessere pericolosissimo per questi stessi regimi. Se questo è il contesto, non si capisce in che senso e offrendo in cambio cosa la Presidente Meloni potrebbe essere il protagonista di una mediazione. È ragionevole e giusto tenere ferma la volontà dei membri europei della Nato per il recupero di rapporti di piena collaborazione con gli USA, la più grande e potente democrazia dell’Alleanza. Ma questo recupero passa per la costruzione di un robusto pilastro europeo della Nato… E per una sconfitta della linea di condotta imposta da Trump agli Stati Uniti d’America.

L’Europa alla guerra dei dazi. Dallo scontro con gli Stati Uniti, l’Europa, in primis l’Italia, non rischia di uscirne con le ossa rotte?
Tanti anni fa fu il presidente Reagan a riassumere efficacemente l’analisi del danno comune del protezionismo tramite dazi: “siamo sulla stessa barca con i nostri partner commerciali. Se un partner fa un buco nella barca, ha senso che l’altro faccia un altro buco nella stessa barca?”. È un dato di fatto e accadrà: dazi elevati e generalizzati infliggono danni a tutti gli attori. Ma Trump ha deciso che il danno economico prevedibile per gli Stati Uniti sarà più che compensato dal vantaggio politico di tenere fede alla parola data in campagna elettorale ai suoi più fedeli seguaci. Così, dazi dovevano essere e dazi sono e saranno.

Con quali conseguenze?
I danni, per un Paese come l’Italia, saranno seri: gli USA, dopo la Germania, sono il secondo mercato per le nostre esportazioni. E sono il primo per 43 prodotti, anche ad alta tecnologia, come macchinari, gioielleria e oreficeria, occhialeria… A costo di mettersi tra quelli che bucano la barca dove viaggiano, la reazione dell’Europa deve essere proporzionale alla minaccia. Se i Paesi cercassero di reagire come singoli, il danno sarebbe maggiore. Ma non credo succederà (ci sono i limiti della regolazione europea e c’è un limite all’autolesionismo). Do per scontato che l’Unione abbia già studiato un piano di reazione che faccia molto male a Trump… E immagino che comprenda un complesso di misure volte ad informare e convincere le imprese e i lavoratori americani dei danni che i dazi faranno loro subire. Penso infine che dovremmo studiare misure volte non a danneggiare gli USA di Trump, ma a rafforzare l’economia e l’apparato produttivo europeo. Trump lamenta lo squilibrio della bilancia commerciale a favore dell’Europa e pensa di ottenere un riequilibrio coi dazi. Ma non parla del gigantesco volume di risorse finanziarie che ogni anno escono dall’Unione per andare ad impiegarsi negli Stati Uniti. Il Rapporto Letta contiene soluzioni volte a trattenere -non forzosamente, ma per convenienza di mercato- un bel po’ di queste risorse in Europa.

3 Aprile 2025

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