Il Vicepresidente gruppo Pd alla Camera

Intervista a Paolo Ciani: “Fragili trattati come scarti: l’Italia è un Paese più ingiusto, non più sicuro”

«Dai migranti ai poveri, ai lavoratori precari. Non c’è solo una disumanizzazione, ma anche un imbarbarimento sociale: la furia mediatica è tale che il dolore degli altri non ci tocca più. E non capiamo il pericolo di arrendersi all’idea che la guerra sia inevitabile»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

1 Aprile 2025 alle 07:00

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Photo credits: Giuliano Del Gatto/Imagoeconomica
Photo credits: Giuliano Del Gatto/Imagoeconomica

Paolo Ciani, segretario nazionale di Democrazia Solidale, Vicepresidente del gruppo Pd-Idp alla Camera dei deputati. “Basta morti nel Mediterraneo! Non ci rassegniamo a considerare la vita dei migranti ‘vita da scarto’”. È il j’accuse, che ha anche il carattere di un appello accorato, che lei ha pronunciato intervenendo la scorsa settimana in Aula alla Camera dei deputati. Cosa c’è alla base del suo atto di accusa?
Alla base ci sono le migliaia di morti di questi anni, ultime le 39 persone disperse al largo di Lampedusa la scorsa settimana; i 7 corpi recuperati a pochi metri da casa nostra. Ci sono tutte le persone, uomini, donne e bambini disperse in mare al largo della Tunisia a febbraio scorso; c’è la piccola Yasmine, che lo scorso dicembre è stata soccorsa dopo 3 giorni trascorsi in mezzo al mare, completamente sola. Questo è quello che accade, troppo spesso e con numeri drammatici, a largo delle nostre coste. Gli sbarchi saranno anche diminuiti ma i morti non fanno che aumentare, nel Mediterraneo e nel deserto. Di fronte a questo cosa intende fare il Governo? Per ora ha fatto norme che allontanano le ong dai luoghi dei naufragi e rendono più difficile salvare vite umane. Parliamo di una vera e propria strage che quotidianamente si abbatte sulle nostre coste, nell’indifferenza generale. Sono morti che sembrano non interessare, persone le cui vite sono considerate vite di scarto e che si vogliono nascondere e tenere lontane. Viviamo un tempo grave: si riabilita la guerra e si “lavora” perché non ci turbi più vedere il corpo di una persona in mare, non ci indigni più un Mar Mediterraneo, che un tempo era simbolo dell’incontro tra popoli, e oggi è diventato un cimitero a cielo aperto. Di molti di loro non possiamo neanche ricordare i nomi, perché sconosciuti. Siamo in un tempo in cui si vede tutto, abbiamo gli strumenti tecnologici per vedere tutto, eppure si finge di ignorare. Questa indifferenza cieca, che colpisce per primi i nostri governanti, viene celata dietro discorsi vaghi sull’importanza della sicurezza dei confini. Sicurezza che a questo punto andrebbe declinata nei contenuti: evidentemente lasciare a piede libero, dopo esser stato riaccompagnato a casa con un aereo italiano, un torturatore libico come Almasri, accusato dalla corte penale internazionale di fare affari con i trafficanti di esseri umani, non rientra nel concetto di sicurezza di questo Governo. Quel che è sicuro è che siamo in un tempo in cui la sicurezza ha sviluppato grandi sistemi e non possiamo credere che non si vedano le navi dei migranti avvicinarsi alle coste europee e poi scomparire, con il loro carico di vita che diventa carico di morte.

La sicurezza è parola di sinistra, ebbe a dire un ministro dell’Interno allora Pd e oggi folgorato sulla via di Giorgia Meloni. Ma senza declinarla e riempirla di contenuti, sicurezza è una parola vuota, anzi pericolosa.
A questa domanda si potrebbe rispondere con un’altra: la sicurezza di chi? Oggi assistiamo costantemente all’utilizzo della parola sicurezza, prima riferita alla sicurezza dei confini trovando il nemico nelle persone migranti, poi la sicurezza nazionale individuando come unica soluzione quella del riarmo. Alla fine, sembra che il concetto di sicurezza venga abusato ed utilizzato come uno slogan vuoto o peggio uno strumento contro i più deboli e chi è lasciato ai margini della società.
Questo Governo ha proposto soluzioni superficiali a problemi complessi: aumentare fattispecie di reato – basti pensare al Decreto Caivano o al Decreto sicurezza –, aumentare le pene base, come se continuare a criminalizzare risolvesse i problemi della nostra società, la pena come vendetta, fine a se stessa, una visione che non condivido. Introdurre misure repressive che colpiscono in particolare migranti e poveri, senza affrontare le cause profonde del disagio sociale, come la povertà educativa, la marginalità o la mancanza di opportunità, non fa altro che produrre sicurezza di facciata e creare nemici invece di costruire soluzioni. Ma la violenza, ad esempio tra i giovani non diminuisce e le droghe prosperano. Poi non si parla più di contrasto alla criminalità organizzata e alle mafie. Sicurezza non può essere solo più reati, più armi, più respingimenti, come se il problema fosse chi arriva disperato sulle nostre coste e scappa dalla fame e dalla guerra e non invece le crescenti diseguaglianze che esistono nelle nostre città. Proprio qualche giorno fa l’ISTAT ha pubblicato il rapporto sulle condizioni di vita nel nostro paese: sempre più famiglie non guadagnano abbastanza per vivere una vita dignitosa, 2,7 milioni di persone non riescono ad affrontare una spesa imprevista. Dov’è la sicurezza data da un lavoro dignitoso, di fronte a questi dati? La vera sicurezza nasce dalla giustizia sociale, dall’accesso alle cure e ai servizi, dal non lasciare nessuno indietro. Dov’è la sicurezza per i lavoratori, che muoiono 3 al giorno nel nostro Paese? Quando le persone migranti, o i poveri, o i senza fissa dimora, o i lavoratori precari sono trattati come “scarti”, quando sono disumanizzati e trattati come non persone, la società diventa più insicura e più violenta. Perché un paese che lascia indietro chi è più fragile non è un paese sicuro: è solo un paese più ingiusto.

Dietro il considerare la vita dei più indifesi una “vita da scarto” non c’è anche una pericolosa disumanizzazione dell’altro da sé, del più indifeso? Vale per i migranti come per le donne e bambini di Gaza.
Non solo si compie una disumanizzazione dei più fragili, come se non fossero persone o come se le loro vite fossero vite di serie B. Ma assistiamo quotidianamente anche ad un imbarbarimento sociale: siamo costantemente sottoposti ad una furia mediatica tale per cui il dolore degli altri non ci tocca più, ci stiamo abituando a quelle immagini tragiche dei bambini che subiscono le conseguenze di guerre che non hanno chiesto, muoiono, non ricevono aiuti umanitari e non possono curarsi. E questa logica è trasversale: la vediamo nei migranti lasciati morire in mare, nei senza dimora trattati come un problema di decoro urbano, nei detenuti, verso i quali esponenti del nostro governo hanno avuto il ‘coraggio’ di gioire all’idea di ‘non farli respirare’. Ed è proprio questo atteggiamento a non farci scorgere il pericolo di arrendersi all’idea che la guerra sia inevitabile. D’altronde la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha detto che “l’Europa deve prepararsi alla guerra” e in questi giorni ci ha presentato il kit di sopravvivenza per affrontare ogni possibile crisi. Io trovo tutto questo sbagliato e non credo debba diventare normale: continuare ad investire nelle armi non fa altro che alimentare l’idea che le guerre e le risposte armate possano rappresentare soluzioni per risolvere i conflitti: la verità è che con le armi le guerre si eternizzano, non si risolvono.

L’Europa s’indigna quando Trump prova a negoziare una pace in Ucraina, ma nulla dice o fa di fronte alle immagini scioccanti dei migranti illegali deportati in catene a Guantanamo o quando il tycoon posta un video della “Riviera Gaza”.
L’accordo tra Usa e El Salvador sulla gestione dei migranti irregolari di cui l’Amministrazione Trump si vuole disfare è terrificante, e va nel solco dei nostri accordi con l’Albania. Forse anche per questo motivo la nostra premier non si espone. Lo spot choc di qualche giorno fa della Segretario alla Sicurezza Interna degli Stati Uniti d’America, che si fa riprendere con l’orologio di lusso all’interno della controversa maxi-prigione Cecot a El Salvador, ringraziando il Paese e il suo presidente per «aver portato qui i nostri terroristi e averli incarcerati per le violenze perpetrate nel nostro Paese», con tanto di minaccia verso chiunque cerchi di entrare nel territorio americano illegalmente non è accettabile, almeno dal mio punto di vista. Diciamo che i leader europei hanno oggi problemi più importanti che commentare le follie di Trump, come ripostare sui social un video AI sulla “Riviera Gaza”; dovrebbero capire come incidere per fermare quel conflitto con una pace “giusta e duratura” invocata altrove. Anche perché resta il fatto che gli USA sono un attore molto importante nelle dinamiche globali, dalle guerre reali a quelle commerciali e la cautela è essenziale. Non bisogna cedere alla logica del commento estemporaneo, gli equilibri si costruiscono con dialogo e l’incontro tra Trump e Zelensky ci dà idea che commentare estemporaneamente l’atteggiamento di Trump non serva, anche perché ogni giorno lancia nuove “idee” e provocazioni.

Su temi come il disarmo, una pace nella giustizia, nell’accoglienza, temi cari a Papa Francesco, la sinistra sta facendo il suo?
Purtroppo, su questi temi fondamentali la sinistra non sempre è stata all’altezza delle sue stesse radici e dei suoi valori. Il disarmo, la pace giusta e l’accoglienza sono battaglie che devono tradursi in azioni concrete. Papa Francesco ci ricorda che non basta parlare di pace: bisogna costruirla, con il dialogo, con la diplomazia e con il coraggio di dire no alla corsa al riarmo. Su questo la sinistra deve tornare a essere un riferimento, perché senza una posizione chiara e coerente, rischia di perdere la sua anima. L’accoglienza è un altro tema cruciale. Se la sinistra si dimentica della giustizia sociale e della solidarietà, smette di essere tale. La nostra identità politica si costruisce proprio nella capacità di coniugare sicurezza e umanità, di difendere i diritti dei più deboli senza cedere a populismi e semplificazioni. Eppure, vediamo spesso esitazioni e compromessi al ribasso. Serve più coraggio. Abbiamo il dovere di costruire una società più giusta e solidale, di portare avanti i valori dell’inclusione, di promuovere un’Europa della pace e non della guerra. La sinistra deve ritrovare questa spinta, altrimenti lascia spazio a chi soffia sul fuoco delle divisioni e delle paure.

1 Aprile 2025

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