Tutti i Paesi chiedono un rinvio
Flop Europa su riarmo e Ucraina, il Consiglio Ue è un fiasco: bocciati aiuti a Kiev e debiti per le armi
Tutti i Paesi, tranne la Germania, bocciano il finanziamento a debito per le armi e chiedono un rinvio. Bocciati anche i 40 miliardi di aiuti a Kiev
Politica - di David Romoli

Annunciato con assordanti squilli di tromba il piano di riarmo europeo si è impantanato senza aver ancora mosso neppure il primo passo. Sulla carta non c’è nessuno che obietti sulla necessità di armarsi fino ai denti. Su come finanziare la santa barbara invece di intese non se ne vedono neppure col binocolo e non è un particolare leggerino. L’obiezione italiana, quella secondo cui gli strumenti approntati dalla presidente von der Leyen fanno ricadere tutto il debito sulle spalle dei singoli Paesi con conseguenze nefaste sul fronte dello spread, è stata condivisa in massa. Alla Germania la strada di Ursula va benissimo e ci mancherebbe pure. A quasi tutti gli altri, che non godono dello stesso ampio spazio fiscale invece no.
In teoria si tratta solo di un rinvio. I vari Paesi dovrebbero dire entro la fine di aprile se intendono accedere alla possibilità di fare ulteriore deficit destinato solo ai cannoni e mai sia che considerino anche il burro senza incorrere nel cappio del Patto di Stabilità. Senza bisogno di aspettare i Francesi hanno già detto che non se ne parla. La premier italiana vede aprile come scadenza troppo vicina. La formula è destinata a sbattere sul muro della realtà, al secolo dei contrastanti interessi dei Paesi dell’Unione, entro la fine di aprile. Poi si vedrà. La quota in prestito del gruzzolo vagheggiato dalla presidente, pari a 150 miliardi, non sta messa meglio: di quella però se ne riparla in giugno. Di certo c’è solo che il tesoro di 800 miliardi indicato da Ursula non sarà mai raggiunto.
Sull’Ucraina però la compattezza è quasi totale, scalfita solo dalla ritirata di Orbàn che tanto se l’aspettavano tutti. È così ma solo in superficie. Il Piano dell’Alta commissaria Kallas, ulteriori aiuti in armi per 40 miliardi, è stato cassato con la velocità della luce, sostituito da molto più modesti aiuti per 5 miliardi in proiettili. È il segno che, dietro i ruggiti pubblici, buona parte dei leader europei prega perché a risolvere le cose sia la trattativa gestita dal ribaldo di Washington. Peraltro quell’esborso non era gradito neppure alla presidente von der Leyen, che però non era stata consultata dalla responsabile della politica estera. Forse voleva rendere pan per focaccia dal momento che la presidente, a propria volta, non aveva concordato con l’Alta commissaria il suo piano di Riarmo.
Sulla missione di peacekeeping in Ucraina, che è Europa pur senza essere Unione europea, il quadro non cambia e la retromarcia è solo mal camuffata. Macron, il francese già primo supporter della missione dei volenterosi che, a farla davvero, finirebbe in guerra, si è spostato su una missione europea ma sotto egida Onu. Un gioco delle tre cartine: egida Onu dovrebbe voler dire decisione del Consiglio di sicurezza, dunque accolta dalla Russia che altrimenti metterebbe il veto, e la Russia accetterebbe una missione di peacekeeping di paesi Nato solo se disarmata e possibilmente senza neppure le mostrine, e forse neppure in quel caso. L’Europa si dibatte cercando di giocare un ruolo per il quale, come direbbe Trump, avrebbe anche le carte, se fosse in grado di giocarle invece di infilarsi nei vicoli ciechi dei contrasti tra gli interessi dei diversi Paesi o dei miraggi di potenza come il riarmo o le spedizioni Booths on the Ground. Ma così non è e il risultato è desolante. Non per tutti però. Per Giorgia Meloni, al contrario, lo stallo europeo è salvifico.
La premier versa in una situazione davvero difficile. Non può sostenere il Piano senza entrare in rotta di collisione con la Lega, né bocciarlo (ove mai ne avesse intenzione) perché in quel caso a puntare i piedi sarebbe Forza Italia. La posizione considerata troppo vicina a Trump la sta riportando in Europa pericolosamente vicina al ghetto dal quale era riuscita a tirarsi fuori grazie allo schieramento nettamente atlantista e antirusso. La politica estera, che per due anni e mezzo è stata il pezzo forte della sua politica, potrebbe trasformarsi in un fianco disastrosamente esposto. Ma le cose starebbero così solo se sul versante europeo ci fosse una posizione chiara, ben definita e davvero unitaria, di quelle che non lasciano spazio a esercizi di equilibrismo o giochi di prestigio. Che così non sia stato per la premier in difficoltà è comunque un ottima notizia.