Il ddl sicurezza

Decreto sicurezza, così il governo Meloni abolisce il diritto di protesta e assalta la Costituzione

Abolire il diritto di protesta di lavoratori, ambientalisti, carcerati, anche se esercitato senza violenza, come pura forma di resistenza. Che cos’è questo se non un assalto alla Costituzione?

Politica - di Marco Boato

24 Ottobre 2024 alle 18:30

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Nella foto la Polizia davanti al Viminale/Lapresse
Nella foto la Polizia davanti al Viminale/Lapresse

Il 18 settembre 2024 alla Camera dei deputati la maggioranza di destra del governo Meloni ha approvato il disegno di legge sulla sicurezza, che poi è passato all’esame del Senato della Repubblica, dove è stato preceduto già da una forte manifestazione di protesta da parte di forze sindacali e politiche e da molti esponenti della società civile.

Norme “anti-Gandhi”

Si tratta di un gravissimo provvedimento legislativo, che si colloca, ma ancor più aggrava, sulla linea dei “decreti sicurezza” dell’allora ministro dell’Interno Salvini e poi dei decreti “rave”, “Cutro” e “Caivano” dell’attuale Governo. Non solo i partiti politici di opposizione e i principali sindacati, l’Arci, l’Anpi e la Caritas, ma anche molti osservatori giornalistici (tra questi Roberto Saviano, il quotidiano cattolico Avvenire ed altri), giuristi e magistrati (in particolare Magistratura Democratica, ma non solo) hanno gettato l’allarme su misure finalizzate quasi esclusivamente alla repressione del dissenso, dei movimenti di contestazione in specie ambientalisti ed ecologisti, anche delle manifestazioni improntate alla nonviolenza e alla resistenza passiva, persino nelle carceri o nei Cpr, al punto che alcune delle norme sono state emblematicamente stigmatizzate come “anti-Gandhi”.

Il portavoce italiano di Amnesty international, Riccardo Noury, ha definito questo provvedimento “un modello di ‘cattivismo’ che intacca profondamente, tra gli altri, il diritto di protesta pacifica inasprendo criminalizzazioni o introducendone di nuove”. In generale, ha osservato Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, “il ddl sicurezza contiene un attacco al diritto di protesta come mai accaduto nella storia repubblicana, portando all’introduzione di una serie di nuovi reati con pene draconiane, anche laddove le proteste siano pacifiche”. Secondo Gonnella, “così si colpiranno persone detenute che in carcere protestano contro il sovraffollamento delle proprie celle, gli attivisti che protestano per sensibilizzare sul cambiamento climatico, gli studenti che chiederanno condizioni più dignitose per i propri istituti scolastici, lavoratori che protestano contro il proprio licenziamento”.

Inoltre, secondo il presidente di Antigone, “se consideriamo anche il carcere per le donne incinte e le madri con figli neonati o per chi occupa un’abitazione, si vede come il governo abbia deciso di voler gestire numerose questioni sociali nella maniera più illiberale possibile, cioè reprimendole con l’utilizzo del sistema penale, anziché aprirsi al dialogo e all’ascolto”. Perciò, è il suo appello, “chiediamo alle forze politiche di opposizione e anche a quelle moderate della maggioranza di non assecondare questi propositi e di fermare il disegno di legge nella discussione al Senato”.

Sanzioni contro la “resistenza passiva”

Secondo i sindacalisti della Cgil, la parte più inquietante del disegno di legge è quella che contiene le sanzioni sulla cosiddetta “resistenza passiva”: “Una vergogna che introduce norme pensate e volute per colpire in maniera indiscriminata chi esprime il proprio dissenso verso le scelte compiute dal governo o che manifesta per difendere il posto di lavoro e contro le crisi occupazionali, pacificamente ma in modo determinato, prevedendo fino a due anni di carcere per chi effettua queste proteste nelle strade o in altri luoghi pubblici”.

Per la Cgil, “il principio che anima questo provvedimento è lo stesso del decreto Caivano, del decreto rave, della legge 50 impropriamente chiamata decreto Cutro”, ossia con proposte che “vanno verso un inasprimento delle pene e la codificazione di nuovi reati che peraltro riducono gli spazi di dissenso e protesta, come i reati contro le manifestazioni o le occupazioni di immobili, arrivando a peggiorare il codice Rocco, con la non obbligatorietà del differimento della pena per le donne incinte e le madri di bambini fino a un anno di età. Norme con cui si danno risposte penali a problemi che sono soprattutto sociali e che non aumentano la sicurezza dei cittadini”.

Un emendamento del governo ha equiparato inoltre le infiorescenze della canapa industriale alla droga, imponendo il divieto di importazione, vendita e distribuzione. Questa norma ha incontrato forti critiche dagli operatori del settore, preoccupati per le grandi ripercussioni economiche e occupazionali.

Ordinamento penitenziario: alimentare la tensione

Per quanto riguarda le norme sull’ordinamento penitenziario, secondo la presidente del Tribunale di sorveglianza di Cagliari, Maria Cristina Ornano, si rischia “di alimentare la tensione già oggi molto forte nella popolazione detenuta”, per via di nuovi reati come quello di “rivolta all’interno degli istituti penitenziari”, che punisce chi promuove, organizza e dirige una rivolta all’interno del carcere, ma comprende “nella condotta di reato non solo il partecipare alla rivolta col ricorso alla violenza, ma anche con la resistenza, precisando ulteriormente che quest’ultima è integrata anche dalla mera resistenza passiva; previsione, quest’ultima, che appare di dubbia legittimità costituzionale”.

Altro nodo è quello riguardante la norma “anti-borseggiatrici Rom”, come alcuni media l’hanno definita. Secondo la giudice Ornano, “si ritiene di far prevalere una presunta esigenza di sicurezza sulla salute e il benessere di individui innocenti, come i nascituri e i figli in tenerissima età di madri detenute, le quali (e con loro i bambini), con le nuove norme potrebbero venire incarcerate anche prescindere dalla reale pericolosità”.

Magistratura Democratica: problemi sociali affrontati con la leva penale

Secondo Magistratura democratica,colpisce la tendenza a introdurre nuove incriminazioni e a introdurre inasprimenti sanzionatori. E preoccupa, in secondo luogo, la costruzione di nuove fattispecie penali (o l’introduzione di aggravanti) che perseguono l’obiettivo di sanzionare in modo deteriore gli autori di reato che hanno commesso fatti nel corso di manifestazioni pubbliche o di iniziative di protesta”.

In generale, argomentano i magistrati di Md, nel testo è contenuta “una ‘visione’ dei rapporti tra autorità e consociati fortemente orientata al versante dell’autorità, che coltiva l’ambizione di risolvere – con l’inasprimento di pene, l’introduzione di nuovi reati, l’ampliamento dei poteri degli apparati di pubblica sicurezza – problemi sociali che probabilmente potrebbero trovare più efficaci risposte senza usare per forza la leva penale”.

Misure da “Stato di polizia”

Scettico sulle prospettive ipotizzate è pure Antonello Ciervo, docente di diritto pubblico, che appunta le proprie critiche su diverse misure, che definisce da “Stato di polizia”. Ad esempio, spiega, quella che “prevede l’arresto in differita anche per le manifestazioni pubbliche”. In pratica, osserva, “ti vengono a prendere a casa dopo aver visto il video della manifestazione; se alla polizia è sfuggito qualcosa, ex post ti arrestano per comportamenti che a questo punto anche discrezionalmente valuteranno come reato”. Oppure, aggiunge il professor Ciervo, rispetto all’aggravio di pena previsto “se la violenza o la minaccia è commessa al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica, il fatto che io commetta violenza o minacci un pubblico ufficiale in una manifestazione il cui obiettivo è la protesta contro un’opera pubblica è illogico”.

A suo parere, “non c’è nessun nesso di conseguenzialità tra l’aggravamento di pena e il fatto che io protesti in un corteo per la liberazione della Palestina o perché sono contrario al Ponte sullo Stretto di Messina. Perché dovrebbe aumentarsi la pena in questo secondo caso? Cosa faccio di più grave rispetto a una ‘normale’ manifestazione?”. Secondo il docente universitario, “è chiaro l’intento di criminalizzare le proteste ambientaliste”.

Un’altra previsione che fa discutere è quella che vieta ai gestori telefonici di vendere una scheda Sim con numero di cellulare a stranieri non provenienti da Paesi europei che siano sprovvisti di permesso di soggiorno valido. “Non crediamo che la misura possa avere un reale effetto di deterrenza – secondo Oliviero Forti, responsabile Immigrazione della Caritas italiana -. Rischia invece di essere una norma discriminatoria che va ad ostacolare il diritto di comunicare con i propri familiari nei paesi di origine e al contempo potrebbe alimentare il mercato nero delle Sim, con inevitabili conseguenze in termini di sicurezza”.

Una stretta repressiva: allarme per la democrazia

Secondo il prof. Roberto Cornelli, audito alla Camera dei deputati, “i dati Istat oggi disponibili dicono che l’insicurezza derivante dalla percezione della criminalità nel proprio quartiere di vita è in netta diminuzione negli ultimi 5 anni e, negli anni precedenti, ha avuto degli innalzamenti, poi rientrati, proprio in corrispondenza dell’approvazione di decreti sicurezza o in presenza di campagne mediatiche particolarmente pressanti. L’ipotesi, già validata in altri Paesi, è che le leggi sulla sicurezza non intervengano per rispondere a una domanda di sicurezza che viene dal basso, ma al contrario che alimentino campagne politico-mediatiche finalizzate, a volte, a ottenere visibilità o legittimazione politica, altre volte, a irrigidire il quadro delle libertà e delle garanzie democratiche”.

E ha aggiunto. “Non sembri un riferimento eccessivo: ogni torsione autoritaria è accompagnata o anticipata da strette repressive presentate come necessarie per garantire la sicurezza.” E ha concluso: “Il problema è semmai capire quando la stretta repressiva sia da considerarsi un effettivo segnale di allarme per la democrazia”.

Corte costituzionale e Presidente della Repubblica

Sebbene non sia stato ancora licenziato il testo definitivo, che è ora all’esame del Senato, è possibile immaginare i margini di intervento della Corte costituzionale. In particolare, la Consulta ha più volte sottolineato che le scelte di politica criminale rientrano nella discrezionalità del legislatore, ma ciò non significa che la materia penale sia uno spazio franco, sottratto al sindacato di legittimità costituzionale.

La stessa Corte costituzionale, infatti, ha chiarito che, salvo l’ambito di scelta discrezionale rimessa al legislatore, è sempre possibile valutare la compatibilità delle norme incriminatrici con l’assetto di princìpi e diritti consacrati all’interno della Carta costituzionale. E, prima ancora che talune norme del ddl sicurezza approdino eventualmente, una volta approvate definitivamente, al giudizio della Corte costituzionale, è lecito immaginarsi che lo stesso Presidente della Repubblica si astenga dalla promulgazione di un simile obbrobrio giuridico e possa rinviare il testo al Parlamento per un suo radicale riesame, sulla base delle sue prerogative costituzionali.

24 Ottobre 2024

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