Il silenzio della premier

Meloni muta e defilata: sui neonazisti in Germania e sull’Ucraina è in un vicolo cieco

Se Salvini si spella le mani per il successo di AfD e Tajani prende le distanze. (“Noi e loro incompatibili”), Giorgia tace per non inimicarsi né l’Ue né Trump

Esteri - di David Romoli

25 Febbraio 2025 alle 07:00 - Ultimo agg. 25 Febbraio 2025 alle 08:40

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Foto Mauro Scrobogna / LaPresse
Foto Mauro Scrobogna / LaPresse

Non c’è cancelleria in Europa anzi nell’intero Occidente che non si congratuli con il vincitore delle elezioni tedesche e non c’è leader che non commenti l’esito. O meglio una ce n’è: Giorgia Meloni. Nel terzo anniversario dell’invasione russa non c’è quasi nessun leader europeo che non prenda posizione ribadendo il suo sostegno a Kiev. In realtà, almeno fino a ieri sera, una leader muta c’era ed era ancora Giorgia.

La premier lascia che a parlare senza alcuna ambiguità per confermare il sostegno all’Ucraina e la condanna della Russia sia il ministro degli Esteri Tajani. Non è la stessa cosa. Per quanto riguarda il partito, FdI, è il presidente della commissione Cultura Mollicone a pronunciare, rivolto all’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, le parole che la premier ha ripetuto per anni. Ma lei preferisce defilarsi. Non perché non sia più quella la sua posizione o perché voglia modificarla. Ma non vuole assumersene in prima persona il carico. Ritiene che la danneggerebbe nel tentativo di mantenere ottimi rapporti sia con l’Europa che con la Casa Bianca. Ma ieri sia all’Onu che nella riunione del G7, quella dove la premier italiana ha deciso all’ultimo momento di presenziare, Usa e Ue erano ai ferri corti. Stare con gli uni e anche con gli altri non è più possibile. Stare nel mezzo, postazione dalla quale negli ultimi due anni e mezzo Meloni ha saputo trarre notevoli profitti politici, sta diventando una via crucis anche su altri fronti.

Le elezioni tedesche hanno fatto emergere sia le distanze siderali tra Lega e Fi alleati sia l’imbarazzo della leader di FdI. Salvini si spella le mani applaudendo la Afd: “Il cambiamento vince, Afd raddoppia i voti: brava Alice Weidel, avanti così”. Ma se il vicepremier leghista esulta per il successo di AfD, che non è ancora tornato a far parte dell’eurogruppo dei Patrioti per il veto di Marine Le Pen, l’omologo forzista. Tajani, si dichiara “inconciliabile con AfD ed esalta la vittoria della Cdu, come Fi componente del Ppe, come muro contro i populisti, cioè appunto contro “il cambiamento” che infiamma Salvini. Poi prova a smussare: “Ma la Lega è ben diversa da AfD o non saremmo alleati”. Su quale sia la differenza glissa. Magari c’è ma ci vuole il microscopio.

Meloni tace e, trattandosi non solo di una leader politica ma della presidente del Consiglio di uno dei principali Paesi europei, il silenzio è qualcosina in più che semplicemente irrituale. Rivela in pieno la difficoltà, forse il vicolo cieco, nel quale si dibatte Giorgia. Nessuno si illude che il voto di ieri abbia chiuso la partita in Germania. La AfD non ha raddoppiato i voti: ha raddoppiato la percentuale ma in termini di voti assoluti è andata ben oltre il raddoppio. La Cdu ha vinto con una percentuale inferiore al previsto. Grazie a quella manciata di voti che ha escluso Sarah Wagenknecht dal Reichstag non dovrà cercare una difficilissima alleanza a tre. Potrà governare solo con la Spd ma anche quello si profila come un compito arduo, nella tempesta che sta montando. Di conseguenza i toni tra Ppe e AfD, ma forse tra Ppe e Patrioti diventeranno sempre più alti e bellicosi, con possibili ricadute su una maggioranza italiana che è già molto diversa da quella che vinse le elezioni nel 2022. Oggi, se non ci fosse la premier a fare da ponte come faceva un tempo Berlusconi, lo scontro tra Lega e Fi divamperebbe acerrimo. Un certo tasso di destabilizzazione come conseguenza della spaccatura sulla politica estera è inevitabile. Scosse in sè controllabili, che si aggiungono però alle difficoltà che la premier deve già fronteggiare.

Sabato, nell’intervento da remoto al Cpac, ha tenuto duro sul sostegno all’Ucraina, contraddicendo frontalmente la narrazione di Trump. Il presidente non deve averla presa molto bene dal momento che, subito dopo, nel suo lungo intervento, ha evitato di ringraziare e anche solo di nominare Meloni a differenza di tutti gli altri leader che avevano partecipato al raduno. Ieri l’Italia si è presentata all’Onu in versione salomonica, decisa cioè a votare sia la risoluzione degli usa che quella di Kiev appoggiata dai principali Paesi europei, che in realtà dicono cose molto diverse dal momento che gli Usa bocciano ogni condanna esplicita della Russia come paese invasore e non vogliono accenni all’integrità territoriale ucraina. Alla fine entrambe le mozioni sono passate con gli emendamenti europei al testo americano ma il braccio di ferro sugli emendamenti ha messo pienamente in luce la spaccatura dell’occidente. Al G7 Meloni ha deciso di presenziare solo all’ultimo momento, per evitare di perdere la faccia in Europa. Ma il tentativo di mediare tra Usa e Ue si è rivelato ancor più improbo del previsto. Ma il peggio per l’inquilina di palazzo Chigi è che tutto questo non è che l’inizio. Il peggio deve ancora arrivare.

25 Febbraio 2025

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