Il governo abbandona Kiev

Dietrofront di Meloni su Kiev: ora Giorgia segue l’alleato Trump e torna amica di Putin

L’imbarazzo è palpabile: sulla questione ucraina Meloni è muta da giorni. Ma ordina ai suoi la retromarcia: “Ora dobbiamo essere più pragmatici”

Esteri - di David Romoli

21 Febbraio 2025 alle 07:00 - Ultimo agg. 21 Febbraio 2025 alle 08:30

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LaPresse/Palazzo Chigi/Filippo Attili
LaPresse/Palazzo Chigi/Filippo Attili

La premier italiana parlerà alla Convention dei conservatori inaugurata ieri a Washington dal vicepresidente Vance sabato. Ma lo farà solo in diretta video, senza varcare a sorpresa l’Atlantico come era stato ipotizzato. In realtà l’ipotesi di un’incursione di Giorgia a Washington, dove avrebbe incontrato Trump, non è mai stata realistica.

Lo sgarbo nei confronti del premier inglese Starmer e soprattutto del presidente francese Macron sarebbe stato più o meno irrecuperabile. I due saranno a Washington all’inizio della settimana prossima, l’eventuale viaggio della premier italiana sarebbe sembrato, non senza fondamento, un tentativo di anticiparli per scippare l’interlocuzione diretta con il presidente americano: incidente diplomatico decisamente di evitarsi in un momento in cui l’Europa di guai ne ha sin troppi. Molto meglio, per l’italiana, prendere tempo. Nella remota ipotesi che dall’incontro di Washington esca un accordo tra Usa e Ue, mai prima così divise, Giorgia si accontenterà di essere almeno per un po’ fuori dai guai enormi in cui si trova. In caso contrario potrà provare a raggiungere lei l’obiettivo fallito dai due leader.
Intanto però qualcosa Meloni dovrà decidersi a dire e il silenzio in cui si è chiusa, unica tra i principali capi di governo europei, rivela quanto sia imbarazzante e difficile la situazione.

In un vertice a palazzo Chigi la premier e i suoi due vice hanno affrontato ieri la questione ma senza riuscire ad andare oltre gli esercizi di equilibrismo e i giochi di parole. Tajani, ministro degli Esteri colpito anche lui dal virus del silenzio, ieri è risorto: “Sosteniamo l’Ucraina e il governo legittimo di Zelensky. Finché sarà presidente le nostre interlocuzioni saranno con lui. Al tavolo della trattativa, quando ci sarà, debbono esserci ucraini e europei oltre che ovviamente gli Usa”. Non si può dire che abbia adoperato toni bellicosi ma anche solo ribadire il rispetto del ruolo di Zelensky è più di quanto si senta di osare la premier. Sul giro di valzer al termine del quale Giorgia si ritroverà molto più vicina a Washington che a Kiev ci sono pochi dubbi e in realtà il processo di sganciamento dal presidente ucraino è in corso già da un pezzo.

A porte chiuse da palazzo Chigi facevano capire già da mesi che bisogna arrivare a una trattativa realistica e che Zelensky stava diventando un problema. Ma una cosa sono le ammissioni in riservata sede, tutt’altra le prese di posizione ufficiali. Il gioco poteva ancora essere governato se Trump, come avrebbe fatto chiunque altro al suo posto, avesse cercato di salvare le forme. Il presidente americano ha invece spiazzato tutti, e Meloni forse più degli altri, mettendo da parte ogni garbo diplomatico per scagliarsi contro quello stesso presidente ucraino che l’Europa, come gli Usa fino a ieri, tratta da mesi come eroe. La premier italiana non può mollarlo così. Il rapporto con i vertici europei che ha pazientemente costruito nell’arco di due anni e mezzo, usando proprio il sostegno a Kiev come leva, crollerebbe come un castello di carte.

Meloni ha invece più che mai bisogno di una Bruxelles amica. Si è inoltre esposta troppo in passato per potersi permettere ambiguità senza arrecare un danno esiziale alla propria immagine, passando da traditrice. Per ora l’unica via che permetta di non mettersi contro l’Europa senza peraltro arrivare a frizioni con Trump è proprio il silenzio. Quando lo romperà, e alla fine sarà costretta a farlo, la premier confermerà il sostegno sia all’Ucraina che al suo presidente ma allo stesso tempo definirà le mosse di Trump come iniziative per la pace da apprezzare e sostenere. Se la premier e Tajani sono prudentissimi, quest’ultimo anche perché le posizioni di Trump somigliano come una goccia d’acqua a quelle della buonanima il cui verbo resta sacro, Berlusconi Silvio, Salvini non ha vincoli né freni. Insiste col nobel a Trump. Si produce in un tifo da stadio: “Gli attacchi a Trump non fanno un buon servizio alla pace. Spero che vada fino in fondo”. Persino lui però evita di associarsi al linciaggio americano di Zelensky: “Se condivido il giudizio di Trump su Zelensky? Condivido quello che fa per porre fine alla guerra”.

Ma non ci si inganni. L’attacco personale al presidente ucraino è la linea del Piave che il governo non può varcare. Ma la resistenza si fermerà lì. Il più onesto nel delineare il quadro è il portavoce di Fi Nevi: “L’Italia ha sempre sostenuto l’Ucraina con determinazione ma oggi è necessario mostrare maggiore prudenza. Dobbiamo trovare un equilibrio tra prìncipi e pragmatismo”. È l’annuncio di un addio a Kiev.

21 Febbraio 2025

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