Scintille nel destra-centro

Tajani dà una sberla a Salvini: “I nazi di Afd mi fanno schifo”

Il leader di FI affonda i sogni del leader leghista, alleato degli estremisti tedeschi. E il segretario del Carroccio abbozza: “Così vince la sinistra”

Politica - di David Romoli

18 Agosto 2023 alle 17:30

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Tajani dà una sberla a Salvini: “I nazi di Afd mi fanno schifo”

Il botta e risposta a getto continuo fra Tajani e Salvini era da copione. Le europee si avvicinano, anche se solo in Italia una prova elettorale distante 10 mesi è considerata “vicina”.

Ma stavolta c’è in tutta evidenza qualcosa in più nella foga con la quale Antonio Tajani, solitamente un tipo sobrio e poco portato ad alzare i toni, si è buttato nella mischia. Che il vicepremier e leader di FI, che incidentalmente è anche vicepresidente del Ppe, spari a zero e chiuda tutte le porte a ogni possibile alleanza con i partiti estremisti dell’eurogruppo Identità, ovviamente Lega a parte, è nell’ordine delle cose.

L’AfD tedesca è vissuta come una minaccia molto preoccupante dalla Cdu ed è pertanto il nemico numero uno per l’intero Ppe. Ma stavolta i toni sono andati molto oltre la classica sceneggiatura. Tajani, oltre ad assicurare che nessuno in Europa, e neppure lui, si alleerà con Marine Le Pen e con il partito di estrema destra tedesco ha adoperato parole pesantissime, in riferimento alla sparata del portavoce di AfD sulle classi differenziali per i disabili: “Mi fa schifo. Hanno una cultura nazista”. Tombale e definitivo.

L’occasione per replicare è arrivata per Salvini dalla Spagna. La socialista Francina Armengol è stata eletta presidente del Congresso dei deputati grazie al voto dei separatisti catalani. La trattativa per la formazione di un nuovo governo Sanchez non è ancora chiusa ma il voto per Armengol dice chiaramente che la strada è aperta e la chances di successo altissime. “Ecco cosa succede in Europa quando nel centrodestra si mettono veti e ci si divide: vince la sinistra anche se ha meno voti”, attacca il leader leghista confermando una strategia opposta a quella del leader azzurro: “L’unico modo per avere l’alternanza in Europa è trovare l’accordo tra popolari, conservatori e liberali”.

In realtà proprio la partita che si sta giocando sulle alleanze europee, con la prospettiva concreta di un cambio di maggioranza a Strasburgo che avrebbe incidenza notevole sulle politiche dei singoli Paesi ma taglierebbe fuori proprio l’eurogruppo a cui appartiene la Lega, spiega in parte perché la partita si stia facendo così dura. Solo in parte però. Ancora più determinante è l’ “incidente” della tassa sugli extraprofitti bancari: fattaccio sul quale Tajani non vuole e non può sorovolare né nel merito né nel metodo. Nel merito a prendere malissimo la tassa che penalizzza le banche, inclusa Mediolanum, è stata prima di tutti la famiglia Berlusconi, colpita nei propri sonanti interessi da un governo che senza l’appoggio di Fi non esisterebbe e del quale Fi è parte integrante.

Ce n’è abbastanza per suscitare dubbi sulla scelta del ministro degli Esteri come capo e bisogna tener conto del fatto che il leader di FI, a differenza di quelli di tutti gli altri partiti, somiglia un po’ a un amministratore delegato. Non può occupare quella postazione senza almeno il beneplacito della proprietà e la proprietà del partito azzurro è della famiglia Berlusconi. Anche gli elettori pare non abbiano gradito o almeno di questo è convinto il Tajani passato da un sostanziale semaforo verde in nome della necessaria “correzione degli errori della Bce” a un’opposizione sempre più evidente e dura.

Il metodo ha pesato anche di più. La decisione presa sulla testa del leader azzurro sarebbe stata pesante comunque ma la premier ha rincarato ammettendo apertamente di non aver avvertito nessuno, neppure uno dei suoi due vice, per impedire che si mettessero di mezzo. È vero che Meloni si è addossata l’intera responsabilità della tassa senza citare il capo leghista ma è altrettanto vero che Tajani non le ha creduto, tanto da parlare al plurale, con accenti che definirli critici è molto poco, di quelli “che non hanno neppure aspettato la chiusura delle borse” per annunciare una misura che sulle borse era palesemente destinata a impattare come un ordigno esplosivo.

Trattato come una figura minore, della quale tener conto, certo, ma sino a un certo punto, il leader azzurro ha capito che farla passare stavolta avrebbe significato trovarsi quegli ingrati panni cuciti addosso per sempre. Dunque ha iniziato a battere i pugni sul tavolo e ha tutte le intenzioni di continuare a farlo quando la tassa arriverà in Parlamento.

Salvini, però, è in condizioni non dissimili e dunque darà battaglia con la medesima determinazione. L’aspetto bizzarro della sfida nel centrodestra è che il leader di Fi e quello della Lega se le danno per conquistare visibilità e credito ma la minaccia per entrambi è la stessa e viene non dal rivale in questo duello ma da Giorgia Meloni. Perché quella che minaccia di pescare in entrambi i bacini elettorali alle prossime europee è lei e solo lei.

18 Agosto 2023

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