La responsabile Relazioni internazionali Arci

Intervista a Raffaella Bolini: “Gaza è il Vietnam dei nostri giovani, simbolo assoluto di ingiustizia”

«È la scintilla che serve a trovare il coraggio di ribellarsi. L’Occidente ha creato il caos con la sua illusione di dominio, ora si schiera con la guerra. Il 5% per le spese militari? Soldi rubati ai diritti e alla vita. Ma noi non ci rassegniamo»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

28 Giugno 2025 alle 09:00

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Photo credits: Andrea Panegrossi/Imagoeconomica
Photo credits: Andrea Panegrossi/Imagoeconomica

Raffaella Bolini, responsabile Relazioni internazionali dell’Arci, una vita nel pacifismo italiano ed europeo: il Medio Oriente resta in bilico tra fragili tregue e la minaccia di una guerra globale.
“Non sappiamo se stanotte la guerra scatenata da Israele all’Iran si allargherà o se Trump entrerà in guerra.” Cominciava così, il breve intervento di noi organizzatori, alla fine della manifestazione dei centomila a Roma sabato scorso promossa dalla convergenza di 500 attori sociali, sindacali, politici Stop Rearm Europe. Non ci voleva la sfera di cristallo per immaginare ma è stato lo stesso un incubo, svegliarsi la mattina dopo con i bombardieri USA sull’Iran. È stato paradossale, mentre le donne iraniane di “Donna Vita e Libertà” dicevano “Not in my name”, dover confidare nella moderazione della risposta dell’Iran, sperare che un regime dispotico e sanguinario avesse il buon senso di non far saltare il mondo.

A proposito di buon senso. L’Occidente ne ha ancora?
Il buon senso l’Occidente, Europa ovviamente inclusa, lo ha perso da tempo, in un percorso lungo decenni, prima illudendosi di poter dominare tutto il pianeta, economicamente, culturalmente, militarmente. E poi, di fronte al caos ingovernabile che ha prodotto, schierandosi apertamente dalla parte della guerra.
Ha scelto la guerra, quando ha risposto con le armi all’invasione russa dell’Ucraina, senza neppure provare a trovare una soluzione diplomatica, rivendicando come unica soluzione “una decisiva vittoria militare”, obiettivo rinnovato nero su bianco ancora due mesi fa dal Parlamento Europeo. Ha scelto la guerra, quando ha sostenuto, difeso e armato il genocidio di Israele a Gaza e il suo piano di annessione della Palestina, sessantamila morti e chissà quanti altri sotto le macerie, la morte per fame e ora per sete, cinquantamila bambini morti, feriti, mutilati – persino i cani addestrati a uccidere. Ha scelto la guerra, quando di fronte a un mondo in fiamme, con un conflitto ad Est e il genocidio a Sud, ha deciso di reagire riarmandosi fino ai denti e preparando la guerra, con gli 800 miliardi di Rearm Europe, la riconversione bellica, impegnandosi a preparare la cittadinanza a combattere, diffondendo la psicosi della invasione prossima ventura. E sceglie la guerra accettando senza battere ciglio il diktat della Nato di passare in soli due mesi dal già inaccettabile aumento delle spese militari al 2% all’insostenibile 5% del PIL – soldi rubati ai diritti e alla vita. Era possibile dire di no, ma solo la Spagna lo ha fatto. Ha ancora scelto la guerra, quando ha appoggiato l’attacco del tutto fuorilegge e criminale di Israele all’Iran, e poi quello di Trump, con la scusa dell’atomica, mentre l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica dichiarava di non aver mai detto che l’Iran fosse a un passo dalla bomba. Una guerra condotta da due potenze nucleari. Israele non ha mai firmato il Trattato di Non Proliferazione Nucleare a cui invece l’Iran aderisce. Gli USA si sono ritirati unilateralmente dall’accordo sulla attività nucleare iraniana JCPOA a cui invece l’Iran partecipa. Da quale pulpito viene la predica.

E adesso?
Ora aspettiamo a vedere cosa succederà dopo il cessate il fuoco, mentre prosegue il genocidio a Gaza. In poche ore, Trump è passato dall’obiettivo del “cambio di regime” alle congratulazioni rivolte anche all’Iran “per la resistenza, il coraggio e l’intelligenza dimostrati”. Siamo nelle mani di una razionale follia nera.
Il continuo cambio di linguaggio e di comportamento non è segno di incertezza: al contrario legittima il totale potere di arbitrio del più forte. Vuole trasmettere il messaggio: il mondo è nelle mie mani, decido io e posso deciderlo in un secondo, senza chiedere il permesso a nessuno. Comunque vada questa guerra “dei 12 giorni”, che è anche l’ennesimo atto di sostegno occidentale al genocidio di Gaza, chiude per sempre la breve epoca in cui gli umani hanno provato a darsi regole comuni per limitare la legge del più forte, con il diritto internazionale e i suoi strumenti. Sia pure insufficienti, erano comunque un orizzonte a cui tendere, e un argine almeno formale al potere della clava. Siamo entrati in un’altra epoca, e sarà lunga, e sarà drammatica. Noi più anziani temo che non ne vedremo la fine. Dobbiamo rassegnarci? Dobbiamo arrenderci? Neanche per sogno.

Un invito alla resilienza…
Non tutti gli antifascisti e le antifasciste fecero in tempo a festeggiare il 25 aprile del 1945. A tanti di loro toccò lottare nei decenni bui, quando pareva che niente potesse cambiare. Eppure, senza di loro la Liberazione non ci sarebbe stata. Nella corrente ostile della storia, posero i loro sassi in fondo al fiume. Stavano in fondo, i loro sassi. Ma uno sopra l’altro quei sassi arrivano in superficie, e permisero ad altri e altre, infine, di attraversare il guado. A noi spetta mettere i sassi sul fondo, in questo tempo oscuro dominato dalla guerra e dall’autoritarismo. Il guado lo passeranno le generazioni giovani, quelle che stanno scendendo in campo con la loro cultura e la loro identità per i diritti delle donne e di genere, per la giustizia climatica, contro la precarietà, contro il razzismo. Lo passerà la generazione nuova che in tutto il mondo anima la mobilitazione contro il genocidio a Gaza. Per loro, Gaza è quello che fu per noi il Vietnam o il Cile: il simbolo assoluto dell’ingiustizia del mondo e di un sistema insopportabile, la scintilla che serve a trovare il coraggio di dire no, e ribellarsi.

Cosa è oggi Israele?
Israele è il laboratorio avanzato dove la destra estrema mondiale realizza la sua agenda, che rivendica e glorifica le grandi e mai affrontate tare del codice genetico occidentale ed europeo: il colonialismo, il razzismo sistemico, il suprematismo bianco. Trump inizia a praticarla anche a casa sua, con le deportazioni degli immigrati presi per strada e portati via in catene: stesso programma, stessa cultura. Ma non possiamo illuderci di cavarcela buttando tutta la croce sulla destra estrema. Purtroppo, non possiamo.

Di chi sono le responsabilità?
I muri e lo sterminio dei migranti, l’altra strage infinita dove le vittime sono da anni solo numeri, non se le sono inventate i fascisti, le ha messe in atto la civile Europa quando la destra estrema era ancora minoranza. La crescita esponenziale della diseguaglianza, il lavoro povero, la distruzione dello stato sociale, la guerra alla marginalità sociale non se le sono inventate i fascisti, ma il quadro politico mainstream neoliberista europeo degli ultimi decenni. La deriva della politica come ricerca del consenso elettorale, invece che processo democratico dal basso, non è nata con la vittoria della destra ma ben prima, con l’umiliazione dei corpi intermedi e dei movimenti in nome dei diktat del mercato e del profitto. Tom Benetollo diceva “Arrendersi al presente è il modo peggiore per costruire il futuro”. Arrendendosi al presente, per decenni la sinistra mainstream ha lasciato un vuoto di futuro. In quel vuoto si sono inserite e hanno fatto incetta di consensi le forze reazionarie, che hanno un progetto, una cultura, una rete globale e una grandissima intelligenza politica. Orientata al male, certo, ma sono tutt’altro che macchiette. Per fermarli serve un progetto, un’agenda, una cultura del tutto opposta, ma all’altezza e rivoluzionaria altrettanto. Serve oggi, non domani. Noi, la nostra parte proviamo a farla. L’abbiamo fatta il 21 giugno, centomila persone in piazza a Roma. “No alla guerra, al riarmo, al genocidio, all’autoritarismo”. Non è stata solo l’ultima di una serie di cortei estivi, faticosi, sudati e tutti però riusciti – a dimostrazione che davvero la maggioranza del popolo italiano è contro la guerra.

Cosa ha rappresentato il 21 giugno?
Il 21 giugno è stato l’inizio di un percorso verso la ricostruzione di un grande, unitario, plurale movimento contro la guerra. In questi anni, il lavoro delle reti pacifiste dedicate è stato e continua ad essere essenziale: presidiano, con competenza e impegno quotidiano, un tema che per anni era tornato ad essere per gli addetti ai lavori. Ma oggi, con la guerra che torna ad essere la cifra del presente, il solo orizzonte proposto dalla leadership europea, i pacifisti da soli non bastano. Il militarismo, anche prima di diventare guerra vera, distrugge tutto: la democrazia, i diritti, le libertà, la convivenza. Serve una convergenza contro la guerra larga, inter-tematica, accogliente, aperta, non gerarchica, inclusiva, per produrre non solo la somma delle forze che ne fanno parte, ma per creare uno spazio confortevole e abitabile dalle tante persone che non ne possono più, di vivere circondate dall’orrore e dalla morte. C’è spazio per tutti e per tutte, abbiamo appena cominciato. E non ci fermeremo.

28 Giugno 2025

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