Le comunicazioni alla vigilia del Consiglio europeo
Anche Meloni condanna il massacro a Gaza: gli attacchi degli USA all’Iran e le basi italiane
Meloni definisce “inaccettabile” la strage in Palestina ma il Pd va all’attacco: “Solo parole, la destra ha detto no ai due Stati e alle sanzioni contro Israele”
Politica - di David Romoli

In teoria dovrebbero essere le tradizionali comunicazioni della premier prima della riunione del Consiglio europeo a fine settimana. Ma di mezzo c’è il vertice Nato dell’Aja, quello che porterà al 5% del Pil i contributi militari dei singoli Stati, e sullo sfondo ci sono le bombe israeliane e americane sull’Iran, oltre al rischio di una chiusura dello stretto di Hormuz, che per l’economia italiana sarebbe un flagello. Così, quando Giorgia Meloni si presenta di fronte alla Camera, mentre al Senato si recherà oggi, l’agenda è ben più folta del solito. Di suo, Giorgia aggiunge una mossa strategica in più: il tentativo di avviare un dialogo con il primo partito d’opposizione, il Pd.
Domenica, a bombe appena cadute su Fordow, la premier ha discusso del quadro internazionale per venti minuti tondi con Elly Schlein. A chiamare è stata la segretaria del Pd. Si sa che il capo dello Stato, con il quale pure la premier si è consultata domenica, spinge per il dialogo, almeno quando gli interessi vitali del Paese sono in ballo. Dunque Meloni ci prova. Si attesta sulla linea concordata con i Paesi europei, “mai atomica all’Iran”, ma la declina con un vocabolario più mite: “L’arma nucleare dell’Iran sarebbe molto pericolosa”. Quindi innalza la bandiera della de-escalation, della “soluzione negoziale”, della diplomazia al posto della guerra. Sa perfettamente per prima che al punto in cui sono arrivate le cose è solo una pia intenzione, ma è una linea accettata da tutta la Ue e che potrebbe essere accolta anche dal Pd. In più Giorgia condanna, forse per la prima volta davvero apertamente, il massacro di Gaza: la “legittima reazione” di Israele al 7 ottobre “sta assumendo forme drammatiche e inaccettabili”, dice. Urge il cessate il fuoco e Israele deve avere “il coraggio” di imboccare il percorso verso i due Stati.
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All’opposizione, che si presenta in ordine sparso con cinque mozioni distinte, una per partito, non basta. Mancano il riconoscimento dello Stato palestinese e soprattutto la richiesta di sanzioni europee contro Israele. Manca, sulla guerra in Iran, la condanna esplicita sia di Israele sia degli Usa e la richiesta aperta di interrompere i bombardamenti. La premier, inoltre, ha assicurato che i bombardieri Usa, nella notte tra sabato e domenica, non si sono avvalsi delle basi italiane. Ma è cosa ben diversa dal garantire che, ove fossero chieste, non sarebbero concesse. E quell’assicurazione il governo italiano non può darla. Se gli Usa chiederanno le basi, l’esecutivo non potrà fare a meno di dare il semaforo verde, magari a bocca storta ma inevitabilmente.
Sugli altri capitoli, poi, la divisione è altrettanto o più profonda. Al vertice Nato di oggi l’Italia dirà sì all’aumento del contributo per le spese destinate alla difesa sino al 5% del Pil. La premier è determinata: “È una necessità strategica che non possiamo disattendere. L’alternativa sarebbe più costosa e non lasceremo l’Italia esposta e indifesa”. Parla prima di tutto al suo vice leghista, Salvini, seduto al suo fianco con la faccia del lutto stretto. I ministri applaudono. Lui tiene le mani a posto. La scelta del riarmo la subisce, non la condivide nemmeno un po’.
Sull’immigrazione, poi, la distanza è abissale. La premier non solo difende la sua linea, sottolineando che tutta l’Europa accetta ormai la priorità della “difesa dei confini esterni” e che, non a caso, a gestire il dossier, al G7, è stata chiamata proprio l’Italia. Affonda anche contro i magistrati che hanno bloccato i trasferimenti in Albania adoperando “una distorta lente ideologica” della quale la lista dei Paesi sicuri stilata dalla Ue “ha fatto giustizia”. Nessun ponte dunque, nessun dialogo avviato. Almeno in apparenza. La sostanza potrebbe essere diversa. La telefonata di Schlein è conseguenza di un crescente disagio al Nazareno.
Il Pd vuole a tutti i costi l’alleanza con i 5S ma non può farsi trascinare su posizioni anti-Nato che imporrebbero una frattura con il resto del Pse e con il Quirinale. Già contrastare, sia pur timidamente, il riarmo è un azzardo che ha spaccato il partito e creato il gelo tra Nazareno e Quirinale. Il dialogo, poi, è un tasto sul quale il capo dello Stato non ha mai smesso di insistere, quasi sempre invano. La possibilità che quella telefonata e anche la modulazione dei toni scelta ieri dalla premier qualche frutto portino non è del tutto esclusa….