Il vertice dell'Aja
Giorgia dice ‘Si’ alla Nato: ma con quali soldi?
I leader in fila per esaudire i voleri del tycoon. L’Italia aveva già garantito il 2% senza successo. Ma Meloni rilancia da 34 a 100 miliardi all’anno...
Politica - di David Romoli

Un Donald Trump così furioso, dal giorno festoso del secondo insediamento alla Casa Bianca, non lo si era mai visto. “Non sono molto felice con Israele”, ha sibilato prima di attaccarsi al telefono per un liscio e busso con i fiocchi a danno di Benjamin Netanyahu. Anche l’Iran era nel mirino del presidente per la violazione della “tregua trumpiana” ma senza neppure un’oncia della stessa ira. Il premier israeliano ha capito l’antifona e derubricato l’attacco che stava per lanciare a un colpo simbolico contro un radar di Teheran. La tregua resta fragile ma almeno non è franata e quel che temeva The Donald era invece proprio arrivare all’Aja, per il vertice Nato, con un fragoroso nuovo fallimento sulle spalle, dopo quelli dell’Ucraina e di Gaza.
Quando c’è di mezzo The Donald la vanità fa sempre la sua parte e la sfuriata di ieri non fa eccezione. Però non è solo questione d’immagine. Quella che l’Alleanza dovrà accettare oggi non è una proposta del segretario generale Rutte dovuta all’incombere della minaccia russa. È un diktat del presidente degli Usa dettato dalla scelta di scaricare sulle spalle degli alleati il peso, effettivamente sin qui sobbarcatosi in larghissima misura solo dall’America, della Difesa atlantica. La richiesta di devolvere il 5% del Pil alla Nato viene da Trump. Rutte si è limitato a metterla in bella forma articolando la spesa in due tronconi: 3,5% per la Difesa, 1,5% per Infrastrutture e sicurezza. In più ha trattato con i vari Stati membri la tempistica, che sarà del 2035, i margini di flessibilità, e ancora non è chiaro quanto saranno elastici, il momento di verifica ed eventuale ridiscussione, il 2029. Zelante, il segretario ha scritto a Trump un messaggio che neppure ai tempi dei Cesari: “Otterrai quel che nessun presidente era riuscito a ottenere. Tutti si sono impegnati per il 5%”. Il che, peraltro, non è del tutto vero.
Naturalmente è molto diverso arrivare a dettar legge avendo appena risolto una crisi che preoccupava immensamente tutti, non solo dal punto di vista dei rischi di guerra ma anche e anzi maggiormente da quello dell’economia, oppure a mani vuote e con un paio di fallimenti alle spalle. La partita in ogni caso non è vinta in partenza. La Spagna resiste e ripete che non andrà oltre il 2,1%. Le voci di una “deroga” per la Spagna si moltiplicano da giorni e sarebbe una falla irrecuperabile perché altri Paesi chiederebbero lo stesso trattamento. La Nato smentisce ogni ipotesi di deroga ma il governo di Madrid rincara: “Quella di Rutte è solo un’opinione. I nostri tecnici stimano che per rispettare gli impegni è sufficiente il 2,1%”. La Spagna è un problema, commenta imbufalito Trump dall’Air Force One ma la Svezia gela gli ottimismi facili: “L’accordo sul 5% non è scontato. Non consideratelo un dato di fatto fino a che non avremo preso una decisione”.
La decisione sarà presa oggi e l’Italia, pur essendo uno dei Paesi messi maggiormente in difficoltà dall’aumento si schiererà a favore. I dati parlano da soli. In dieci anni e passa, quelli passati dall’impegno a devolvere il 2% del Pil all’Alleanza, l’Italia, che partiva dall’1% non è arrivata oltre l’1,47% circa. Quest’anno raggiungerà il 2%, ma solo grazie a funambolici giochi di prestigio. Nei prossimi dieci anni, con risultati intermedi che saranno pure elastici ma comunque devono esserci, dovrebbe fare molto di più. Germania, Francia, Polonia e fuori dall’Unione, l’Uk intendono procedere a tappe forzate ma la bozza di risoluzione finale del Consiglio europeo, che si riunirà a Bruxelles subito dopo il vertice dell’Aja, è più cauto e non si sbilancia troppo.
Anche a Bruxelles si parlerà di guerra e di riarmo. L’euforia armata è tale che le due sfide si confondono mentre in realtà sono cose diverse, pur se ovviamente intrecciate. C’è l’aumento Nato, di cui si parla oggi, e c’è l’aumento della spesa militare propriamente europea di 800 miliardi che proporrà von der Leyen al Consiglio. Quanto le due spese possano dirsi la stessa cosa e quanto no non è perfettamente chiaro. In compenso è molto oscuro quali strumenti verranno messi in campo dall’Europa per consentire agli Stati di riarmare senza finire strangolati dal debito. Quelli predisposti dalla presidente non piacciono a moltissimi Paesi, a partire da Francia e Italia, ma la Germania di Merz è stata sinora rigida rispetto alla proposta di sostituirli con strumenti di debito comune o, come chiede l’Italia, di garanzie europee per gli investimenti provati. La partita dell’Aja di oggi non sarà tutta in discesa, quella di Bruxelles è già in salita. Ma alla fine una cosa è certa: gli italiani spenderanno in armi molto più di prima e per quanti salti mortali si facciano spendere senza tagliare spese o aumentare le tasse non è possibile.