Cosa succede in Medio Oriente?

Trump, gli Stati Uniti e l’attacco in Iran: conseguenze e scenari dopo l’offensiva sui siti nucleari

Editoriali - di Carmine Di Niro

22 Giugno 2025 alle 11:22

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Trump, gli Stati Uniti e l’attacco in Iran: conseguenze e scenari dopo l’offensiva sui siti nucleari

Un bombardamento su larga scala contro i tre principali siti nucleari iraniani, lì dove secondo le accuse israeliane, al momento non confermate dall’Aiea, l’Agenzia internazionale per per l’energia atomica, il regime dell’Ayatollah Ali Khamenei starebbe sviluppando armamenti nucleari.

Nella notte gli Stati Unito di Donald Trump sono pienamente entrati nel conflitto scatenato venerdì 13 giugno dal governo israeliano di Benjamin Netanyahu, che ha colpito la Repubblica Islamica scatenando un secondo fronte in Medio Oriente dopo Gaza: nel mirino dello Stato ebraico i sti nucleari ma anche “uccisioni mirate” di scienziati e leader militari del regime.

L’attacco Usa in Iran

Nella notte diversi bombardieri B-2, che ieri erano stati spostati nelle basi statunitensi nell’oceano Indiano, hanno sganciato bombe bunker buster, pesanti circa 14 tonnellate e in grado di penetrare nella roccia fino a 60 metri: Trump nella notte ha rivendicato in un discorso alla nazione che l’attacco ha “completamente e totalmente annientato” le capacità iraniane di arricchire l’uranio, minacciando di farne altri se il Paese non accetterà le sue condizioni.

La reazione iraniana non si è fatta attendere, col ministro degli Esteri Abbas Araghchi, che ha definito gli attacchi Usa “oltraggiosi e avranno conseguenze eterne”.

Gli scenari dopo l’attacco

Ma al di là della propaganda, di entrambe le parti, quali sono gli scenari percorribili nell’immediato futuro nella regione? Molto, se non tutto, sarà deciso dalla risposta di Teheran all’attacco subito nella notte tra sabato e domenica.

Il regime dell’Ayatollah Khamenei potrebbe scegliere una “semplice” ritorsione, ovvero nuovi bombardamenti sulle principali città israeliane, attacchi contro le navi commerciali occidentali che passano per il mar Rosso, in parte controllato dalle milizie yemenite Houthi, armate e finanziata da Teheran.

Sarebbe di fatto una replica di quanto già accaduto nel 2020, quando la prima amministrazione Trump uccise in Iraq il generale iraniano Qassem Suleimani, leader delle Forza Quds, l’unità delle Guardie della Rivoluzione responsabile per la diffusione dell’ideologia khomeinista fuori dalla Repubblica Islamica. Uno smacco durissimo per il regime che però, al di là della propaganda contro i nemici occidentali, nei fatti rispose con bombardamenti di basso livello su alcune basi militari statunitensi in Iraq senza conseguenze di rilievo.

Oggi inoltre l’Iran si trova in una posizione ancora più debole rispetto a cinque anni fa: i suoi alleati nella regione, da Hamas ad Hezbollah passando per il regime siriano di Bashar al Assad, sono stati sconfitti o pesantemente indeboliti. Anche l’economia iraniana, a causa delle pesanti sanzioni economiche imposte dall’occidente in questi anni, è vicina al collasso e difficilmente potrà sostenere uno sforzo bellico prolungato.

L’offensiva su larga scala

Per questo la seconda opzione, quella di una offensiva su larga scala da parte iraniana, appare difficile da realizzare. Teheran potrebbe però far pagare agli Stati Uniti l’impegno al fianco di Israele colpendo obiettivi statunitensi nella regione, dove sono presenti decine di basi militari: in questo caso però la reazione da parte dell’amministrazione Trump, soprattutto in caso di vittime Usa, potrebbe avere conseguenze gravissime per Teheran.

L’opzione diplomatica o il regime change

Infine l’opzione diplomatica, ovvero il ritorno dell’Iran al tavolo dei negoziati sul proprio programma nucleare. Negoziati che stavano andando da settimane prima che Israele due settimane fa decidesse di intervenire militarmente contro la Repubblica Islamica: per questo l’ipotesi che l’Ayatollah consenta una simile soluzione appare complicata.

A Washington probabilmente la speranza è che la pressione sul Paese spinga ad una sollevazione, dei leader militari o della popolazione iraniana, contro il regime.

Secondo l’emittente tv CBS, che ha parlato con più funzionari dell’amministrazione statunitense, Trump prima dell’offensiva militare americana avrebbe informato l’Iran di non avere obiettivi che esulino dai siti nucleari, e in particolare non ne hanno di “regime change”, cioè non vogliono rovesciare il regime dell’Ayatollah, come invece auspicato pubblicamente dal primo ministro israeliano Netanyahu anche rivolgendosi direttamente alla popolazione iraniana.

22 Giugno 2025

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