Il responsabile esteri Pd

Parla Giuseppe Provenzano: “Meloni complice di Netanyahu”

«L’apocalisse di Gaza andava fermata non oggi o domani, ma ieri. Riconoscimento della Palestina, sostegno alla legalità internazionale, sospensione dell’Accordo di associazione Ue-Israele, il governo deve sapere che a chiedere questi impegni non sono solo i parlamentari dell’opposizione, ma un popolo»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

7 Giugno 2025 alle 07:00

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Photo credits: Marco Ponzianelli/Imagoeconomica
Photo credits: Marco Ponzianelli/Imagoeconomica

Peppe Provenzano, parlamentare e responsabile Esteri nella segreteria nazionale del Partito democratico, è tra i politici italiani, non molti ahinoi, che guarda ai grandi appuntamenti di popolo con emozione, pathos e al tempo stesso con la forza del ragionamento. Vale per la manifestazione nazionale di oggi a Roma.
“Me lo lasci dire, in premessa – ci tiene a rimarcare Provenzano nell’intervista a l’UnitàIl fatto che le principali forze politiche di opposizione, chiamino non una piazza qualsiasi, ma piazza San Giovanni, coinvolgendo le principali reti associative, su una questione profondamente sentita da tutto il popolo italiano – non solo dalla sinistra – non è per nulla scontato e non accadeva da molto tempo. Ma era qualcosa di assolutamente necessario e improcrastinabile. L’apocalisse di Gaza, il disegno di sterminio dell’estrema destra al Governo in Israele, andava fermato non oggi o domani, ma ieri. Abbiamo fatto missioni politiche e parlamentari, per 19 mesi abbiamo discusso mozioni, un lavoro di pressione politica sul Governo, con richieste precise, che oltre all’impegno condiviso per un cessate il fuoco permanente, che salvare la vita dei palestinesi e riportare a casa gli ostaggi ancora nella mani dei terroristi di Hamas, partisse dal riconoscimento della Palestina, dal sostegno alla legalità internazionale e ai suoi organi giurisdizionali all’embargo delle armi, fino ad arrivare alle sanzioni al Governo israeliano e alla sospensione dell’Accordo di associazione Ue-Israele. Sono i contenuti della mozione unitaria, bocciati dalla destra italiana, alla base della piattaforma della manifestazione di oggi. E sono indispensabili, perché non bastano più le parole. Servono atti. E il Governo italiano deve sapere che a sostenerli non ci sono solo i parlamentari dell’opposizione, ma un popolo. Che vuole reagire alla sensazione di impotenza, che partecipa con un sentimento di rabbia, dolore profondo, sgomento. E che pretende che l’Italia sia all’altezza della sua tradizione diplomatica, e del ruolo che ancora oggi potrebbe svolgere, nel promuovere se non la pace, almeno la fine del massacro, di quest’attacco non solo a un intero popolo, ma ai principi della nostra civiltà, del diritto internazionale, dell’umanità”.

La senatrice a vita Liliana Segre ha definito ripugnante ciò che il governo Netanyahu sta compiendo a Gaza. Il Presidente Mattarella ha parlato di atto disumano l’uso della fame come arma di guerra. Eppure, in Italia di fronte alla denuncia dei crimini di guerra e contro l’umanità reiterati da Israele, continua a parlare di atteggiamento pregiudizievole, tirando fuori l’accusa di “antisemitismo”. Accusa rivolta agli organizzatori della manifestazione nazionale a Roma.
Senta, l’antisemitismo è incompatibile coi nostri valori e con le nostre lotte, compresa quella che ci porta in piazza oggi. Non è mai mancata e non mancherà la nostra più ferma condanna nei confronti di episodi che suscitano orrore e sgomento, come negli USA. Del resto, è nel DNA delle forze della sinistra democratica nel nostro Paese, che hanno ricostruito la Repubblica antifascista riscattandola dall’abisso politico e morale del nazifascismo. È un pilastro, così come la lotta a ogni forma di razzismo, e tale deve rimanere, specialmente di fronte a rigurgiti di un antisemitismo mai sopito, che, come abbiamo visto, albergano anche nelle organizzazioni giovanili di alcuni partiti della destra italiana, nonché in diverse forze politiche dell’estrema destra europea. Ma proprio perché ci sta a cuore, non è accettabile che l’antisemitismo venga confuso con la più ferma e doverosa condanna dei crimini di guerra e contro l’umanità compiuti a Gaza dal Governo israeliano, del disegno di pulizia etnica rivendicata dall’estrema destra messianica che esprime Ministri autodichiaratisi fascisti e razzisti. Proprio perché non è accettabile addossare le responsabilità del Governo criminale su un intero popolo, occorre alzare il livello di consapevolezza pubblica su cosa sta succedendo in Palestina, uscire dai silenzi e dalle timidezze su Netanyahu e il suo Governo e agire per chiedere conto delle responsabilità.

L’Europa moltiplica vertici sull’Ucraina, mette in campo i “volenterosi” in armi. Ma per Gaza non ci sono “volenterosi” a Bruxelles e nelle cancellerie europee.
Solo dall’inizio di questa legislatura il Parlamento europeo avrà votato cinque o sei risoluzioni sull’Ucraina. E sa quante su Gaza? Zero. Il silenzio o il balbettio dell’Europa sul Medio Oriente ha minato la nostra credibilità agli occhi del mondo, determinando una clamorosa perdita di ruolo e funzione nell’area, malgrado l’Ue sia il primo partner commerciale di Israele e il primo erogatore di sostegni economici alla Palestina. Le parole che Ursula von der Leyen ha detto sull’Ucraina e non ha voluto dire su Gaza, la parzialità e la timidezza delle risoluzioni ufficiali nella difesa del diritto internazionale violato, restano una macchia indelebile, che h a indebolito e smentito i tentativi compiuti nei mesi scorsi dall’Alto Rappresentante Joseph Borrell di svolgere un ruolo o, almeno, esprimere una posizione che salvasse la coscienza europea. Ma c’è un fatto nuovo. Quando, dopo mesi di ignavia, persino questa Europa ha provato finalmente a fare qualche passo per superare l’insopportabile doppia morale manifestata dai vertici delle sue istituzioni, a mancare è stata l’Italia. Una maggioranza di paesi europei ha chiesto di rivedere l’accordo di associazione Ue-Israele, che è diventato il simbolo di tutta la nostra incoerenza, mancanza di credibilità. E il Governo italiano ha votato contro. Questo è inaccettabile. E la piazza di oggi serve a dire che lo ha fatto “non nel nostro nome”.

Cos’altro deve accadere perché l’Italia riconosca lo Stato di Palestina e segua gli altri Paesi europei nel bloccare gli accordi commerciali con Israele?
Probabilmente di essere l’ultimo grande paese europeo a restare amico di Netanyahu. Guardi, l’urgenza nasce proprio da qui. È la prima volta, a più di trent’anni da Oslo, che la leadership politica al Governo in Israele esplicitamente nega la soluzione dei due Stati. Ed è precisamente per questo che chiediamo il riconoscimento: per preservare l’unica vera prospettiva di pace da chi predica l’annientamento del popolo palestinese. È un atto, peraltro compiuto da quasi 150 paesi delle Nazioni Unite, che non ha, come dice qualcuno, un valore soltanto simbolico: ha un valore profondamente politico, perché riafferma i principi del diritto internazionale sui confini, sull’occupazione illegale delle colonie che l’attuale Governo israeliano ha moltiplicato e vorrebbe espandere ancora. Il vile rifiuto del riconoscimento della Palestina da parte del Governo Meloni, però, si inserisce in una questione più generale. L’Italia sta deragliando dai binari della sua tradizione diplomatica. Nella storia del nostro Paese, non solo con la famosa equivicinanza praticata durante la Prima Repubblica, l’Italia ha sempre espresso un protagonismo diplomatico nell’area. La missione Unifil del 2006 che assicurato quasi vent’anni di pace fu il frutto del nostro protagonismo politico. La tregua in Libano del novembre scorso è stata invece un’operazione franco-americana, mentre noi che lì dispieghiamo il contingente militare più numeroso siamo rimasti meri spettatori. Malgrado le pose assunte sulla scena internazionale, alimentate dalla propaganda dei nostri media, la premier sul Medio Oriente è sparita per mesi, persino quando presiedeva il G7. Non solo. E con le ripetute astensioni alle Nazioni Unite sui diritti della Palestina, il disimpegno sull’UNRWA e la delegittimazione della Corte penale internazionale – nata con lo Statuto di Roma – a seguito del mandato di arresto a Netanyahu, ha fatto saltare alcuni cardini della politica estera italiana, a partire dalla fedeltà ai principi del multilateralismo. La verità è che la destra italiana in tutti questi anni ha saldato un legame con l’estrema destra israeliana, un po’ per affinità ideologica, soprattutto perché alla ricerca di rifarsi le credenziali storiche e rimuovere l’antisemitismo di Almirante. E questo legame è stato rivendicato anche in questi ultimi mesi. Così il Governo Meloni, coi suoi silenzi e le sue omissioni, ha partecipato alla copertura internazionale di cui ha goduto Netanyahu. Salvini è persino andato a stringergli la mano. È questa la complicità – tutta politica – che noi denunciamo.

A Gaza si muore per le bombe e per fame. Ma poco si parla del regime di apartheid instaurato da Israele in Cisgiordania. I pogrom dei coloni, spesso coperti dall’esercito di Tel Aviv, contro i villaggi palestinesi sono ormai pratica quotidiana.
Quando nel dicembre del 2023 andai in West Bank, la domanda che tutti ponevano era questa: ma cosa c’entrano le violenze dei coloni e i raid dell’esercito in Cisgiordania con il 7 ottobre? O con la liberazione degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas? Nulla, a ben vedere. E questa è la prova madre, semmai ce ne fosse bisogno, che l’obiettivo del Governo Netanyahu non è stato soltanto infliggere una punizione collettiva ai palestinesi che nulla avevano a che fare coi terroristi di Hamas, ma rendere impossibile la vita dei palestinesi sulla loro terra. La verità è che l’estrema destra messianica di Israele, quella che vede nel popolo palestinese il biblico Amalek e che nel Jerusalem Day ha urlato “morte agli arabi”, ha voluto approfittare della situazione dopo il 7 ottobre: “prendiamoci tutto, ora o mai più”, questo si sono detti. Così la guerra è diventata come la notte che copre tutto, la rioccupazione della Striscia di Gaza, la deportazione dei palestinesi, la pulizia etnica invocata da Smotrich e Ben-Gvir, l’annessione di fatto della Cisgiordania con l’altrettanto criminale espansione degli insediamenti illegali nei territori palestinesi occupati. E, ovviamente, il mantenimento del potere di Netanyahu, che la settimana scorsa non a caso ha annunciato 22 nuove colonie. Anche per questo va sanzionato e fermato.

La metto giù seccamente. Cosa significa per lei essere “Sinistra per Israele”?
E altrettanto seccamente potrei dirle che non rispondo – e non sarebbe nemmeno serio – per un’associazione di cui non faccio parte. Ma sono convinto da tempo che ormai ci siano due Israele. Che ci sia un’altra Israele, che prova repulsione – appunto, come ha detto Liliana Segre – per questa destra messianica e razzista. Che si batte per cacciare Netanyahu e riprendere una prospettiva di pace. E che anche per questo è necessaria la ripresa di un grande lavoro di dialogo con le forze di sinistra e di opposizione israeliane. Che un’altra Israele possa rinascere dopo il “suicidio”, per dirla con Anna Foa, cui l’ha condotta Netanyahu. Una Israele in cui la democrazia non sia privilegio etnico e religioso e si affermi una maggioranza consapevole che, come ha detto un coraggioso giornalista, “non si può pensare di vivere in un paradiso quando tutto intorno è inferno”. È un’altra Israele che non rinuncia ai “due popoli, due Stati”. Una prospettiva irrealistica, secondo molti? Sicuramente difficile, ma sinceramente non ne vedo un’altra più realistica. Ma ora l’urgenza è fare tutto quello che è nelle nostre disponibilità per impedire la condanna a morte collettiva del popolo palestinese.

7 Giugno 2025

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