La storica dell'ebraismo
Intervista ad Anna Foa: “Israele? Pratica l’Apartheid, non è una democrazia, forse non lo è mai stata”
«Un paese che porta avanti da decenni un’occupazione e sottopone a un regime di apartheid le popolazioni sotto occupazione, difficilmente può essere considerato un paese a democrazia compiuta». «Impressionante l’aggressione dei cittadini arabi a Gerusalemme». L’orrore di Gaza «è senza fine e senza limiti. Terrificante la fame usata come strumento politico»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli

Definirla una intellettuale coraggiosa è peccare in difetto. Perché non è da tutti, soprattutto in questi tristi tempi dove a “regnare” è una sorta di pensiero unico e una informazione mainstream, andare controcorrente soprattutto su temi scottanti e divisivi. Il coraggio di prendere posizione, argomentando con la forza delle idee. Cosa che Anna Foa fa alla grande nel suo ultimo libro Il suicidio di Israele (Editori Laterza), giunto alla seconda edizione, con vendite sorprendenti per un saggio. Una premessa è d’obbligo. Importante è il contenuto, certamente, ma anche il momento in cui si ha il coraggio di prendere posizione. Oggi, di fronte alla mattanza senza fine, di Gaza, c’è chi rivede le proprie posizioni di difesa ad oltranza d’Israele. Meglio tardi che mai. Ma ancora meglio sarebbe stato farlo con qualche decina di migliaia di morti in meno sulla coscienza. Anna Foa lo ha fatto.
Professoressa Foa, la tragedia in Terrasanta esce anche dal campo di sterminio di Gaza e investe Gerusalemme, la città santa per tre grandi religioni monoteiste.
Purtroppo, è così. Le immagini dei giovani coloni, molti dei quali poco più che adolescenti, che nella Giornata di Gerusalemme attaccano, con una violenza fisica e verbale allucinante, cittadini arabi nella città vecchia, raccontano di una situazione che definire allarmante è peccare in difetto. I supporter coloni del governo e degli orridi ministri che ne fanno parte, hanno deciso che per la Giornata di Gerusalemme, in ricordo della presa di Yerushalayim nella Guerra dei Sei giorni del ’67, di provocare i palestinesi della città vecchia. Era già successo, ma in un contesto meno pericoloso e con meno violenza. Stavolta hanno sputato contro cittadini inermi, hanno provato a sfondare le saracinesche dei negozi, hanno aggredito e minacciato di morte. Una cosa davvero impressionante. La loro arroganza, si trattava di ragazze e ragazzi, è impressionate.
Tutto questo mentre a Gaza l’orrore è senza fine.
Senza fine e senza limiti. La tragedia dei nove bambini uccisi, figli di due medici, è allucinante. Quando lo dici, ti rispondono subito e allora i due giovani fidanzati dell’ambasciata israeliana, uccisi a Washington… Certo che l‘attacco terroristico contro questi due giovani è stata una cosa terribile, che comporta una condanna senza se e senza ma, però devi anche vedere cosa sta succedendo a Gaza. E quello che sta succedendo è la morte di tanti bambini, è la fame usata come mezzo di pressione per togliere gli abitanti di Gaza dalle loro terre. Il progetto, che è già in via di realizzazione, dei contractors e della riduzione dei punti di distribuzione degli aiuti, è gravissimo, allucinante. Vuol dire spostare a forza la popolazione. E poi l’obbligo del riconoscimento facciale per ricevere un po’ di pane o di latte in polvere. Una cosa terrificante. La fame usata come strumento politico. È una cosa pesante, dolorosissima, anzitutto per loro ma anche per chi non la condivide.
Tutto questo rende ancora più attuale, “profetico”, il suo ultimo libro dal titolo emblematico: Il suicidio d’Israele. Professoressa Foa, questo suicidio è compiuto?
Non so se è ancora compiuto, spero con tutto il cuore di no. In questo terribile disastro ci sono dei segnali che alimentano un po’ di speranza.
A cosa si riferisce?
Le manifestazioni delle ultime settimane per la prima volta hanno messo al loro centro non soltanto le questioni che riguardano gli ebrei israeliani, a cominciare dalla liberazione degli ostaggi ancora in cattività a Gaza, ma anche quelle che riguardano i gazawi. Le foto dei bambini palestinesi assassinati, le voci contro l’occupazione. Questa è una cosa nuova, importante. Un altro fatto da rimarcare è l’aumento dei refusnik (ebrei israeliani che si rifiutano di prestare il servizio militare o compiere azioni belliche contro gli arabi perché contrari all’occupazione dei territori palestinesi, ndr) . Questa è una cosa molto importante per Israele. Ci sono segnali che questa rivolta morale, oltreché politica, stia diventando importante. L’aumento dei refusnik è qualcosa che può cambiare la situazione. Lasciamo stare la narrazione di Tsahal, come l’esercito più etico del mondo. Non lo è e forse non lo è mai stato. Ma è un esercito popolare, nel senso che è composto da figli di cittadini israeliani, chiamati in diverse stagioni della loro vita, fino a 45 anni, a rifarne parte. Sono i riservisti. Qualche giorno fa un riservista è stato condannato a. qualche settimana di carcere perché si era rifiutato di andare a servire a Gaza. E questo è un altro segnale importante. Ma questi segnali scatenano ancora di più la destra israeliana. Sempre più violenta, nei comportamenti e nei messaggi che lancia. Nella Giornata di Gerusalemme, Ben-Gvir, che oltre a essere un fanatico estremista messianico è ministro della Sicurezza nazionale, si è recato sulla Spianata del Tempio. E questa è una cosa illegale. Secondo gli accordi con la Giordania, gli ebrei non possono andare a pregare sulla Spianata del Tempio.
Recentemente, la senatrice a vita Liliana Segre, ha avuto parole forti di condanna della politica portata avanti da Netanyahu. L’ha definita ripugnante.
Non posso che apprezzare quello che la senatrice Segre ha detto. La senatrice Segre ha detto delle cose che corrispondono assolutamente a quello che io e tanti oppositori di Netanyahu pensano. Ha parlato anche di crimini di guerra e contro l’umanità. Ed è importante che le cose dette dalla senatrice Segre siano state riprese e rilanciate da Edit Bruck che ha parlato della disobbedienza. La disobbedienza è importante. L’ho scritto qualche giorno fa in un articolo su La Stampa: la disobbedienza è qualcosa di cui in Israele si teneva conto decenni fa. Nel 1956, quando ci fu una terribile strage di palestinesi, il governo, Ben Gurion e altri hanno reagito scusandosi. Ci fu un processo che si concluse con la condanna dei responsabili dell’esercito, cosa che oggi non potrebbe mai avvenire. I condannati uscirono poco dopo, ma non è questo l’importante. L’importante è il principio della condanna. Il giudice parlò di un drappo nero che sventola su ordine e afferma che quell’ordine era illegale, proibito. Adesso non ci sono più ordini proibiti, però forse la disobbedienza è un’altra strada per arrivare a mettere in crisi il governo dalla politica ripugnante.
Professoressa Foa, Israele è ancora una democrazia?
Forse non lo è mai stata. Nel senso che certamente è una democrazia rispetto al fatto che ha elezioni regolari. Ma non ha mai avuto un atteggiamento paritario nei confronti dei suoi cittadini ebrei e dei cittadini palestinesi. Fino al’66, i palestinesi cittadini di Israele erano soggetti alle leggi militari e gli ebrei no. Anche se non c’è apartheid dentro Israele rispetto ai palestinesi, indubbiamente c’è una situazione di progressivo deterioramento dei loro diritti, mentre c’è apartheid nei Territori occupati. Un Paese che porta avanti da decenni un’occupazione e sottopone a un regime di apartheid le popolazioni sotto occupazione, può difficilmente essere considerato un Paese a democrazia compiuta.
In una fase in cui l’unico linguaggio praticato è quello della forza, ragionare su una soluzione politica appare fuori dal tempo. Proviamo ad andare controcorrente. Nel regno del possibile, lei ritiene più realistica o auspicabile una soluzione a due Stati o come dirigenti palestinesi adombrano in questi giorni, la sfida è quella di uno Stato binazionale?
La sfida definitiva, a mio avviso, è quello di uno Stato binazionale. L’adombramento fatto da alcuni esponenti dell’Anp mi ha fatto molto piacere. Dubito però che si possa applicare in questo momento. Già arrivare a due Stati potrebbe essere una cosa che ha dell’utopia ma resta l’unica possibilità concreta in questa fase. Francamente non riesco a immaginare in questo momento una coabitazione, con l’odio che è tracimato in maniera sconvolgente dopo il 7 Ottobre ma che esisteva anche prima, e con questo mare di sangue creato dal 7 Ottobre e poi dalla distruzione di Gaza. Ci sono nuclei in Israele che hanno provato ad attuarla, ci sono esperienze pilota che sono riuscite a far vivere, anche in tempi tragici come quelli che stiamo vivendo, un dialogo fecondo, premessa fondamentale ad una futuribile coabitazione. Ma parliamo di un futuro indefinibile. Ad oggi penso che anche una soluzione temporanea e parzialmente significativa di due Stati, in questo momento potrebbe essere un grande passo in avanti.
In una delle tante conversazioni che ho avuto il privilegio di imbastire con Abraham Yeoshua, lui disse che per gli israeliani fare i conti con il problema dei confini, era molto più che un fatto politico, territoriale. Era porsi il problema, culturale, identitario, del limite. Dotarsi di una coscienza del limite. È così, professoressa Foa?
Direi proprio di sì. Se guardiamo ai coloni, a questo desiderio di estendere la Terra, a questo rapporto al tempo stesso strettissimo e deforme con la Terra, con Eretz Israel…Perché questa importanza della Terra, questa bramosia di possesso assoluto. Non ci sono cose molto più importanti della Terra! Qui è la Terra voluta da Dio. È la Terra della Bibbia. E quando si ha a che fare con la religione è difficile ragionare.
Ed è proprio in nome di questo messianesimo, che rabbini ultraortodossi lanciarono una “fatwa” mortale contro Yitzhak Rabin, poi realizzata da un giovane zelota. Nel farlo, quei rabbini usarono la Bibbia…
Qualcosa di agghiacciante. Prendere spunto dalla Bibbia per propagandare l’odio e la violenza è davvero qualcosa che dovrebbe fare inorridire. Nella Bibbia c’è tutto è il contrario di tutto. Quello che la destra messianica estrapola dalla Bibbia è ciò che più le fa comodo per veicolare i suoi messaggi ripugnanti e legittimare azioni scellerate. Certo non si guarda all’universalismo dei profeti ma si brandisce come un’arma di propaganda il rapporto con il sangue e con la Terra.
Questo sommovimento di emozioni, di riflessioni impegnate, sta portando a una qualche modifica all’interno della diaspora?
Lentissimamente un po’ sì. Le voci che sono meno decisamente schierate con Israele senza se e senza ma, mi sembra che si stiano un po’ modificando e si siano un po’ attenuate rispetto a 6 mesi fa. Resta un processo molto lento, che guarda un po’ da tutte le parti con prudenza, casomai il mainstream andasse in un’altra direzione…Il che fa pensare è che quando questo processo si compirà i “giochi” saranno già conclusi.