Insorge l'opposizione
Il governo Meloni si “sveglia” sullo sterminio a Gaza, ma la condanna a parole di Tajani non basta
Tajani definisce “inaccettabili” i raid di Israele. Ma sinistra - e centro - insorgono. “Ipocriti, allora riconoscete i due Stati e dite sì alle sanzioni”
Politica - di David Romoli

L’idea di sentir scandire da Ettore Rosato, numero due di Azione, le parole “Sono d’accordo con Fratoianni” sarebbe apparsa comunque, sino a ieri, azzardata. In materia di Israele, poi, quelle parole sarebbero apparse pura fantapolitica. Alla Camera, nel dibattito seguito alle comunicazioni del governo su Gaza, il miracolo si è invece compiuto.
Nonostante la marcata differenza di toni il calendiano ha dato ragione al leader di Avs che aveva appena accusato il governo di criticare a parole il governo Natanyahu salvo poi non fare assolutamente niente nel concreto. “Se Netanyahu non ascolta nessuno bisogna esercitare una pressione e per questo sono necessarie le sanzioni”, sancisce uno degli esponenti politici più vicini a Israele che ci siano nel Parlamento italiano. Non è il solo. Della Vedova, ex radicale, non si spinge sino a invocare sanzioni ma bersaglia Netanyahu: “Basta! Israele deve fermarsi”. Faraone, capogruppo di Iv, considera “un mistero” la posizione del governo appena illustrata dal ministro degli Esteri: “Con il suo silenzio il governo italiano rischia di fare il gioco dell’estrema destra italiana e di Hamas”. Non sono particolari. Il fatto che anche l’opposizione centrista e più vicina da sempre a Israele condanni senza appello la guerra di Netanyahu e accusi il governo di immobilismo è il segno di quanto isolati siano in questo momento governo e maggioranza non solo in Parlamento, dove la cosa è tutto sommato ovvia, ma anche nell’opinione pubblica e in Europa.
Nella sua informativa il ministro degli Esteri Tajani, di fronte a un aula piena di ministri – Salvini incluso – ma senza la premier e di leader dell’opposizione, ha in realtà provato ieri a dire parole chiare sulla condanna dei metodi adoperati a Gaza da Israele. La sua è stata la critica più severa ed esplicita contro Netanyahu, non perché fosse la prima, dal momento che erano già stati tassativi lui stesso e il ministro della Difesa Crosetto, ma perché ieri Tajani parlava a nome dell’intero governo. Il ministro esordisce chiedendo un minuto di silenzio in piedi “per tutte le vittime israeliane e palestinesi”. Poi però affonda: “La reazione di Israele sta assumendo forme assolutamente drammatiche e inaccettabili. I bombardamenti devono finire, l’assistenza umanitaria deve riprendere al più presto, il rispetto del diritto internazionale umanitario deve essere ripristinato”. Tajani aggiunge un punto di vista definitivo sull’espulsione della popolazione palestinese dalla Striscia: “Non è e non sarà mai accettabile”.
Tajani è stato molto duro anche nel denunciare i rigurgiti di antisemitismo, “virus che non ha diritto di cittadinanza”. Tra le righe ha quasi accusato l’opposizione di fomentare l’antisemitismo, provocando così la prima protesta sonora, da destra, dell’aula. La seconda, poco dopo, è arrivata quando il capogruppo del Pd Provenzano se l’è presa con Salvini per “essere andato due mesi a stringere le mani sporche di sangue di Netanyahu”. Ma le baruffe d’aula, ieri, hanno nel complesso avuto poco spazio. Lo scontro c’è stato, e frontale, ma sulla sostanza. E la sostanza è che alle parole di denuncia il rappresentante del governo non ha dato alcun seguito nei fatti e nelle decisioni. Tajani ha escluso il richiamo dell’ambasciatore, invocato soprattutto dai 5S: “Israele non deve essere isolata. Quale soluzione diplomatica è mai stata raggiunta senza lasciare aperte le porte al dialogo?”. Esclude il riconoscimento dello Stato di Palestina, che oggi suonerebbe come una vittoria di Hamas e del suo attacco. Ma soprattutto conferma il no italiano alla proposta approvata da 17 Paesi sui 27 dell’Unione di rivedere l’intesa commerciale con Israele.
Gli accordi sulle armi, che nell’importazione non hanno subito variazioni rispetto a prima della guerra e che si rinnoveranno automaticamente l’8 giugno, resteranno quelli che sono. È questa in effetti stridente contraddizione tra la denuncia, che a questo punto sia pur con tutte le cautele del caso è almeno chiara, e l’assenza di decisioni conseguenti. Sono i fatti, non le parole, a rendere il governo italiano il più vicino che ci sia in Europa a Netanyahu. È sull’assenza di fatti ma anche sulla timidezza della condanna che affonda la lama l’opposizione, impegnata a preparare la manifestazione del 7 giugno. Per il Pd Provenzano le parole del ministro “erano buone 50mila morti fa. Non bastano le nostre parole, figuriamoci le sue, timide, vaghe, inadeguate imbarazzate e imbarazzanti. La maggioranza del Paese chiede di rivedere l’accordo Ue e Israele. Se siete per i due Stati, perché bocciate il riconoscimento dello stato di Palestina?”.
Il 5S Ricciardi dà spettacolo: il Movimento di Conte è riuscito a identificarsi come il più impegnato, con Avs, nella difesa dei palestinesi e non intende mollare la postazione. Fratoianni, pacato nei toni, è però altrettanto infiammato: “Avrebbe dovuto chiedere un altro minuto di silenzio in memoria delle parole che non ha detto e soprattutto delle scelte che non avete fatto. Avreste il potere di fare qualcosa ma avete scelto l’ignavia del silenzio, la vergogna della vigliaccheria, la comodità dell’ipocrisia”. Che i tre partiti del centrosinistra si muovano su questa lunghezza d’onda era prevedibile e previsto. La manifestazione del 7 giugno è una scadenza importante sia perché i leader sperano nell’effetto traino sul referendum del giorno dopo sia perché dovrebbe cementare, col fuoco di una fiammeggiante causa comune, la nascitura coalizione.
Non ci saranno i centristi che miravano a un ammorbidimento dei toni sia a una manifestazione anche in nome della parte migliore di Israele. Ma ieri in Parlamento la posizione più rilevante e meno prevedibile è stata la loro: danno voce a un’area del Paese confinante, e a volte sconfinante, con quella della destra. La posizione del governo su Gaza è impopolare in Italia non solo a sinistra e sempre più isolata in un’Europa che, sia pur faticosamente, sta scegliendo una linea decisamente più dura. Per Giorgia la guerra di Gaza è già diventata una trappola.