Il leader di Sinistra Italiana
Intervista a Nicola Fratoianni: “Piano di riarmo di von der Leyen? Una risposta suicida e complice”
«L’Europa è sotto attacco: non militare ma commerciale. Altro che riarmo, per difenderci dobbiamo fare contrario. Restare il continente del diritto internazionale, della diplomazia, dei diritti: quello che odiano gli autocrati esterni, le tecno-oligarchie, e i nazionalisti reazionari interni»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli

Nicola Fratoianni, leader di Sinistra Italiana, parlamentare di Alleanza Verdi e Sinistra. Libro Bianco per la difesa e ReArm Europe: l’idea di fondo è che la pace la si conquista attraverso la forza. È questa l’Europa per cui battersi?
No. Questa è l’Europa che si candida al suicidio. Inesorabilmente e anche un po’ stupidamente. E se vogliamo aggiungere un’altra aggettivazione, che non ci sta male, anche ciecamente. L’Europa è sotto attacco oggi? Io rispondo di sì. Il punto dirimente è intendersi sulla natura dell’attacco che l’Europa oggi subisce e per questa via attrezzare la difesa dell’Europa. Una difesa efficace ed intelligente invece che complice e suicida.
Qual è questo punto dirimente di analisi dal quale poi far discendere una politica conseguente?
A me non pare affatto che l’attacco da cui guardarsi, il più imminente e probabile, sia quello di natura militare. Non credo che siamo alla vigilia di una invasione dell’Europa da parte della Russia o di qualche altro soggetto. Penso, invece, che l’Europa sia sotto l’attacco di una guerra commerciale. Il tema cruciale di questi giorni e ore è quello dei dazi di Donald Trump che, come si vede, non si sofferma neanche per un secondo sulle sue presunte amicizie. E questo dovrebbe consigliare ai nostri governanti, ai leader della maggioranza di governo, a smetterla con la corsa, affannosa quanto ridicola e improduttiva, tra chi interpreta meglio il ruolo di un “Americano a Roma”. Siamo al centro di una guerra commerciale. Siamo al centro di una guerra ibrida, che è la guerra che i tecno-oligarchi, con il controllo monopolistico delle loro piattaforme digitali, dei social, stanno scatenando nei confronti delle opinioni pubbliche europee, condizionandone anche in modo significativo l’orientamento. Il lavoro delle destre globali su questo fronte va avanti da molti anni. Si sono dimenticati tutti di Cambridge Analytica con una velocità impressionante e, aggiungerei, alquanto sospetta. Ma da allora, non solo quel lavoro non è cessato, si è moltiplicato, sul terreno della qualità degli strumenti, del volume delle risorse investite. A tutto questo si aggiunge una duplice offensiva…
Quale?
Quella condotta dagli autocrati esterni, si chiamino Putin o Trump, che tra loro, non a caso, hanno un formidabile rapporto di amicizia e e quella che l’Europa subisce dall’interno. Le forze nazionaliste, dell’estrema destra, xenofoba, neofascista, talvolta neonazista, come l’AfD in Germania, che hanno perfino nel loro codice genetico impresso l’obiettivo programmatico di far saltare l’Unione come possibile alternativa nel mondo di oggi. Mi pare del tutto evidente che la risposta di Ursula von der Leyen sia suicida, cieca e forse perfino complice.
Complice?
Beh, occorrerebbe ricordare che la prima cosa che Trump ha chiesto all’Europa, una volta vinte le elezioni, in realtà lo aveva già detto in campagna elettorale, è: riarmatevi. Spendete più in armi e magari, come è inevitabile, comprate buona parte di quelle armi dalle mie aziende, visto che almeno il 60% dei sistemi d’arma che oggi utilizza l’Europa, provengono da aziende statunitensi.
Che fare?
Per difenderci da questi attacchi, occorre fare esattamente il contrario rispetto al piano di riarmo. Anche perché segnalo che ogni volta che si utilizzano miliardi per la spesa in armamenti – peraltro spesa nazionale, non stiamo parlando della difesa europea, dell’esercito europeo – quei soldi vengono sottratti agli investimenti per il lavoro, per il welfare, per la sanità pubblica, per l’istruzione, per la ricerca. E ogni volta che togli un euro per cose che hanno direttamente a che fare con la vita delle persone in carne ossa, della maggioranza dei cittadini, le forze xenofobe e nazionaliste guadagnano un punto percentuale, perché diventa immediatamente comprensibile lo slogan di chi dice: l’Europa matrigna si occupa non della vostra vita ma di altro e dunque date retta a noi che con l’Europa vogliamo farla finita una volta per tutte. Sembra la tempesta perfetta, nella natura concentrica dell’attacco e nella stupidità della reazione che l’élite europea ha messo in campo. Aggiungo che tutto questo non fa i conti con quello che invece l’Europa dovrebbe fare. Ciò che più è inviso a chi vuole la fine dell’Europa, è proprio ciò che l’Europa potrebbe rappresentare, perfino oltre e contro le scelte che l’hanno caratterizzata in questi anni.
Vale a dire?
L’Europa in questi anni ci ha messo del suo per allontanarsi dalla speranza che poteva e io spero possa continuare a evocare: la speranza di un continente capace di primeggiare sul terreno del diritto internazionale, della diplomazia, del welfare, della difesa del lavoro, della difesa dell’ambiente, della transizione ecologica, della difesa e dell’estensione dei diritti civili, sociali, di cittadinanza. Quello che è più odiato dagli autocrati esterni, dalle tecno-oligarchie imperanti e dai nazionalisti reazionari interni, è proprio questo. In fondo l’Europa resta, nonostante i suoi errori e i suoi limiti, il continente fondato sulle costituzioni, in particolare quelle dell’Europa del sud ma non solo, nate dalla resistenza antifascista; fondata sul welfare più avanzato del mondo, che resta ancora tale nonostante gli anni dell’austerità e le spinte verso la privatizzazione. L’Europa resta il continente del diritto internazionale, dei diritti. Tutto questo è insopportabile per le destre fasciste e per i tecno-oligarchi del capitalismo contemporaneo, che ormai dichiarano, come ha fatto il Ceo di PayPal, Peter Thiel, che libertà, democrazia e capitalismo non sono più compatibili. È facile immaginare che per Thiel, come per tutti i suoi compari d’avventura, ciò che va gettato nel cestino della storia non sia il capitalismo ma la democrazia e la libertà.
A proposito dell’Europa dei diritti e della legalità internazionale. Nel dibattito sull’Europa che si vorrebbe, più o meno riarmata, c’è una parola che non viene mai pronunciata: Palestina.
Non viene mai pronunciata perché evidentemente pronunciarla produrrebbe per buona parte delle classi dirigenti di questo continente un moto di vergogna insopportabile, insostenibile. Qualche giorno fa in Parlamento, nell’ennesimo Question time che ho rivolto al ministro degli Esteri sul tema della Palestina, di Gaza, della Cisgiordania – credo di averne fatti davvero tanti dall’inizio di questa carneficina, di questo genocidio, di questa pulizia etnica, non so più che parole utilizzare perché le ho utilizzate tutte ormai – a conclusione di quel Question time, spento il microfono, ho avuto un piccolo sfogo, che qualche giornale ha ripreso, a volte si riprendono più gli sfoghi che le parole che si dicono, mi è scappato un vaffa…Approfitto de l’Unità per dire al ministro Tajani che se si è sentito offeso me ne scuso. Non era rivolto a lui. Quel vaffa…era rivolto, e questo sì lo rivendico pienamente, all’ipocrisia, al doppiopesismo, al doppio standard, a quell’insopportabile, vergognosa ipocrisia che ogni giorno di più si trasforma in complicità. In questo doppio standard, muore l’Europa. L’Europa muore qui. L’Europa muore a Gaza, ogni minuto che passa, di fronte alle stragi, agli assassinii. Muore ogni volta che l’Orban di turno si permette di ospitare sul suolo patrio, che è anche suolo europeo finché fa parte dell’Europa la sua Ungheria, il criminale di guerra Benjamin Netanyahu. Vorrei che l’Europa che pone il tema della sua sopravvivenza e della sua difesa, per difendersi cominciasse a dire a Orban vattene fuori dall’Unione Europea. Vattene fuori dopo che hai vietato per legge il Gay Pride. Vattene fuori dopo che hai ospitato sul tuo territorio un criminale di guerra, violando l’ordine di arresto della Corte penale internazionale. L’Europa muore ogni qualvolta che si demolisce il diritto internazionale. E questo chiama in causa direttamente anche l’Italia.
Su cosa in particolare?
Quando riaccompagniamo a casa, con un volo di Stato e con tutti gli onori Almasri, il torturatore libico, perché siamo troppo preoccupati della vergogna che coprirebbe tanta parte delle classi dirigenti, non solo dell’attuale destra di governo, se quel torturatore, stupratore, nelle carceri dell’Aja dicesse tutto quello che sa sulle relazioni che lui e quelli come lui hanno per anni costruito con il nostro Paese anzitutto e con l’Europa; relazioni di convenienza che prevedono, lo sanno tutti, gli stupri, gli assassinii, gli omicidi, la violenza, l’umiliazione, in funzione dei nostri presunti interessi nazionali. Siccome io sono un convintissimo europeista, penso che occorra una grande reazione. Perché l’Europa rischia di morire anche su questo. Nella sbornia dell’atlantismo elevato a religione civile salta per aria l’europeismo.
Per aver “osato” criticare ReArmEurope. Per avere detto parole chiare e nette contro la pulizia etnica messa in atto da Israele a Gaza, Elly Schlein è stata accusata di tutto e del peggio: “vetero pacifista”, “anti-israeliana”… È così difficile a sinistra coniugare riformismo e radicalità?
Non lo credo affatto. Tant’è che Elly Schlein ha detto, per quel che penso, cose giuste. Poi ci sono sfumature, articolazioni, differenti accenti anche tra le nostre parole, questo ci sta. Ma ha assunto posizioni che io ritengo importanti. Non è la prima volta, ma lo rifaccio volentieri qui su l’Unità, le esprimo non solo solidarietà ma vicinanza. Sono in tante e tanti a pensare che la possibilità di un’alternativa in questo Paese al governo delle destre, al governo degli interessi forti, al governo dove nulla cambia mai nelle politiche di fondo, possa essere rappresentata da un asse che tiene insieme il Partito Democratico di Elly Schlein. Alleanza Verdi e Sinistra, il Movimento5Stelle. In questa ottica, quella di sabato scorso a Roma è stata una manifestazione importante. Quando le persone si mobilitano per la pace è sempre una buona notizia. Ero lì perché le piazze vanno sempre attraversate e perché anche quella è stata una occasione importante per costruire convergenza ed unità, per costruire l’alternativa. È una prospettiva che da quelli che detengono il potere, e non solo il governo, viene giudicata spaventevole insieme inaccettabile. Ed è partita subito la caccia. Noi ci siamo abituati. Contro di noi di Sinistra Italiana e Avs la caccia è sempre aperta. Non c’è stagionalità, la caccia è aperta tutto l’anno, notte e giorno. Siamo sempre estremisti perché diciamo che di fronte all’insopportabile diseguaglianza ci vuole la patrimoniale e perché ci ribelliamo quando Giorgia Meloni ci spiega che di fronte all’attacco del suo “amico” Donald Trump, bisogna prima di tutto occuparci di togliere gli autodazi imposti, che sarebbero sempre quelli, il Green deal. Se la prendono sempre con il Green deal invece di riconoscere che i loro ritardi, il ritardo dell’Europa su questo fronte, quello dell’innovazione, della transizione ecologica, rischia di rendere l’Europa debole davanti agli altri mercati, non solo davanti a Trump ma anche di fronte alla Cina, alla sua corsa all’innovazione. Contro di noi la caccia è sempre aperta, quindi abbiamo la pelle un po’ più dura. Magari anche per questo continueremo a farci carico del lavoro che stiamo facendo ormai dalle elezioni politiche in avanti. Avevamo provato perfino prima a impedire il suicidio politico del centrosinistra. Da lì abbiamo ricominciato con lo stesso vigore, a coniugare radicalità e unità. Perché questo è un passaggio obbligato per il cambiamento e dunque anche per le riforme. E per liberare anche questa parola, riforma, dal terribile manto che ormai l’accompagna da molti anni. Vogliamo dircelo? Riforma è una parola meravigliosa. Che nella storia ha rappresentato grandi momenti di liberazione, di emancipazione, sul terreno dei diritti civili, del lavoro. Da molti anni quando un governo annuncia una riforma, le lavoratrici, i lavoratori, chi ha meno diritti, corre a cercare il primo nascondiglio utile.
Perché?
Perché in questo Paese c’è da molto tempo chi interpreta la parola riformismo come lo strumento attraverso cui non cambiare mai nulla, con cui mimetizzare le proprie posizioni, nascondersi. Alla fine con un unico esito: quello di continuare a garantire all’infinito l’autoconservazione e riproduzione dei privilegi e di un modello che con tutta evidenza non funziona. Sono come quelli che di fronte ai dazi ci spiegano che insomma, è ovvio che solo il mercato libero, senza vincoli e regole, è in grado di rispondere alle crisi. Siamo arrivati a questo punto per responsabilità di decenni di un liberismo sfrenato, di una globalizzazione neoliberale che aveva tolto ogni regola al commercio, determinando gli squilibri di debito e di credito che oggi occupano la scena globale, Nemmeno di fronte all’evidenza hanno il pudore non dico di chiedere scusa ma almeno di smetterla di ripetere le solite favolette che hanno fatto così tanti danni alla maggioranza della popolazione nel mondo