La rubrica Sottosopra
L’Europa si rin-Serra e Vecchioni qualche volta sonnecchia
Mi piacciono le sue canzoni, mi addolora il suo nazionalismo europeo. Voglio bene a Michele, ma perché ha dimenticato i palestinesi e il riarmo?
Politica - di Mario Capanna

Dobbiamo disarmare le parole, per disarmare le menti e disarmare la Terra.
(Papa Francesco)
Se Michele Serra, nel suo discorso ufficiale alla manifestazione pro Europa del 15 marzo a Roma, da lui promossa, avesse detto , più o meno: “Europa svegliati! Il tuo futuro non è nel riarmo, ma nel coltivare la pace, per esempio costruendo una Helsinki 2 (dopo la Conferenza del 1975), dove le nazioni, soprattutto quelle del vecchio continente, promuovano la distensione fra l’Est e l’Ovest come controtendenza alle pericolose spinte di guerra in corso”, sarebbe stato splendido.
A Piazza del Popolo non mi sono presentato, temendo quello che è avvenuto. Sarò invece alla manifestazione promossa, sempre a Roma, dai 5 Stelle per sabato 5 aprile, con una piattaforma chiara contro il riarmo. Non sono andato non perché diffidassi delle intenzioni di Serra, ma perché mi puzzava il martellante battage, durato 15 giorni, di Repubblica, dietro cui si staglia l’accordo fra Elkann e Leonardo per produrre carrarmati.
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Penso che il mio amico Michele abbia fatto bene a lanciare il suo appello. L’aver fatto uscire di casa un po’ di gente di questi tempi è una cosa buona. Ma – ecco la critica fraterna – il tutto si è risolto in una occasione mancata. Chiedo: è mai possibile che Serra non abbia speso una parola in merito alla follia degli 800 miliardi (a debito!) per il riarmo dei Paesi dell’Ue, che già ora spendono insieme circa un terzo più della Russia? E che non si sia fatto un cenno – almeno un cenno! – allo sterminio dei palestinesi a Gaza, dove dal primo marzo il criminale di guerra Netanyahu, con la vergognosa complicità di Washington e Bruxellese, non fa più entrare cibo, medicine, elettricità, oltre a produrre nuove stragi?
Certo, dire queste verità elementari avrebbe scontentato l’esausto Calenda, mezzo Pd e i 4/5 dei sindaci tricolorati. Chiaramente il mio amico non se l’è sentita, avendo peraltro il difetto di essere filo Pd (anche se ci sono peccati peggiori al mondo…). E che dire dell’altro mio amico Roberto Vecchioni che, dopo avere elencato le eccellenze culturali europee, si è chiesto: “Ma gli altri le hanno queste cose”?, dando l’idea di un becero eurocentrismo. Volendogli bene, e amando le sue canzoni, confesso che la sortita mi ha procurato un dolore capillare. Ho pensato: Quandoque bonus dormitat Homerus (“ogni tanto anche il buon Omero sonnecchia”). Massacrato sui social, Roberto si è poi scusato su Facebook, affermando che si riferiva alla “cricca di Trump e Musk”. Mannaggia, poteva dirlo subito, il fatto è che tutti avevano inteso altro. Fortunatamente ci sono stati altri interventi significativi, come quello, assai bello, di Lella Costa, vanificato però da quello pessimo di Scurati.
L’Europa faccia l’Europa…: questa piana tautologia non ci fa fare nessun passo in avanti se non si dice quale realtà europea vogliamo. Non abbiamo certo bisogno di un’Europa infarcita di armi, arroccata su se stessa, che si rin-Serra con la presunzione delle sue “verità” culturali autoesaltanti, senza una politica estera che non sia sdraiarsi come un tappeto sotto quella degli Usa. Con il risultato paradossale che mentre Trump negozia con Putin per porre fine al conflitto in Ucraina, il 27 Paesi dell’Ue continuano sulla strada della guerra. Una… Europeina… come una qualunque ridotta di Salò, con analoga fine? Il mondo, squassato da contraddizioni e pericoli sconcertanti, con la guerra nucleare come sfondo tragicamente possibile, ha bisogno di un’Europa capace davvero di costruire pace e libertà, che necessariamente richiedono la fatica di tessere relazioni autentiche, non suprematistiche, con il resto del mondo.
Questo dovrebbe essere il compito degli intellettuali, capaci di lanciare pensieri alti che superino il decrepito e spocchioso solipsismo europeo. Senza relazioni non c’è cultura autentica, come non c’è progresso senza la comprensione dell’altro e la convivenza pacifica con lui. Ho avuto la fortuna di interloquire con Altiero Spinelli. Entrambi parlamentari europei, dopo le sedute spesso tornavamo a piedi in albergo, e a me sembrava di parlare con la storia… All’epoca l’Ue era composta solo da 10 Paesi. Confrontando la realtà con il sogno di Ventotene (che bello sarebbe se per una volta Giorgia Meloni tacesse!), Altiero, pur non essendo privo di fiducia nel futuro, era molto deluso per l’eccesso di burocrazia e, soprattutto, per la mancanza di un vero federalismo da parte degli Stati membri. Le sue parole mi sono tornate in mente sentendo dire ufficialmente, nella manifestazione romana: “Questa piazza (…) non sa esattamente che cosa si deve fare, ma cerca di farlo lo stesso”. Il che significa solo giocare in modo leggiadro con le parole, ma non fa progredire di un millimetro.
E’ consolante, rispetto all’attempata depressione romana, il segnale che viene dai giovani. Un recentissimo sondaggio di Eurobarometro, promosso proprio dalla Commissione europea, mette in evidenza che i cittadini dell’Unione non sono per niente convinti della corsa al riamo di Ursula von der Leyen. I giovani europei mettono al primo posto la pace, i diritti umani e la democrazia (45 per ceto), e poi la libertà di parola e di pensiero (41 per cento). Per quanto riguarda l’Italia, solo il 5 per cento dei cittadini crede alla effettiva possibilità di proteggere la pace tramite la forza militare e la capacità di deterrenza e che, per avere una pace duratura, bisogna mettere al primo posto il rispetto dei diritti umani (33 per cento), il dialogo interculturale (19), la cooperazione economica (17) e il disarmo nucleare (13). Sono dati significativi, e rafforzano l’idea che a Piazza del Popolo si poteva – e si doveva – osare molto di più.