Il dibattito sul riarmo

Perché è giusto andare nella piazza di Michele Serra: non è tempo di guerrieri ma di partigiani dell’Europa

Per ripensare l’Unione occorre tornare a Savinio, che sul “Tempo” esortò dopo la guerra tutti gli antifascisti a fare fronte comune per ripristinare i valori del Vecchio continente: tolleranza e uguaglianza

Politica - di Filippo La Porta

15 Marzo 2025 alle 15:00

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Perché è giusto andare nella piazza di Michele Serra: non è tempo di guerrieri ma di partigiani dell’Europa

Per pensare di nuovo l’Europa ripartiamo da Alberto Savinio – spirito libero e artista geniale – che nel luglio del 1944, appena dopo la Liberazione, prova a riformulare la questione in un articolo sul Tempo (poi raccolto in volume con altri articoli da Bompiani un anno dopo, Sorte dell’Europa, e ripubblicato da Adelphi a cura di Paola Italia). L’auspicio era che il movimento stesso della Resistenza partigiana sfociasse in un’Europa unita: “Partigiani di tutta l’Europa, unitevi!”.

Questo nesso fondamentale di continuità tra Resistenza e idea europeista, certo avversato dall’attuale governo (per il quale la Resistenza è un fattore divisivo), dovrebbe innervare qualsiasi manifestazione, sit-in, piazza per l’Europa. Inoltre, polemizzando con Togliatti (nel 1948), auspica un “uomo europeo” caratterizzato da “senso di responsabilità” e “autonomia mentale”, e invita a un superamento dell’angustia propria di ogni nazionalismo: ogni cittadino in sé – sottolinea Savinio – è una Nazione, capace di tener conto del “principio morale delle cose”. L’idea di nazione contiene storicamente due anime: autodeterminazione dei popoli, costituzioni nazionali (entro cui si affermano i diritti civili), etc. e guerra imperialista, come ben sapevano gli estensori del Manifesto di Ventotene, Spinelli e Rossi, nel 1941. Nel ‘900 ha prevalso in Europa la seconda anima.

L’idea di Europa – si legge nell’articolo – viene da lontano, è stata il sogno di Carlo Magno, del Sacro Romano Impero, di Carlo V, di Napoleone, di Guglielmo II, infine di Hitler. Per Savinio quell’idea aveva però un difetto: “questo sogno è stato sognato finora da pompiere” (usa “pompiere” richiamandosi allo stile pittorico ottocentesco del neoclassicismo, enfatico e artificioso): per lui occorre liberarsi del concetto tolemaico, verticale, teocratico del mondo e giungere al concetto copernicano, orizzontale, democratico, e soprattutto passare dal concetto di Uomo al concetto di Idea: “Solo una Idea potrà fare l’Europa”. Bene, chiediamoci allora quale potrebbe essere oggi questa “idea”, aliena da ogni enfasi pompieristica.

L’idea, il discorso legittimante, che dovrebbe o potrebbe sorreggere l’Europa unita non è tanto e solo la democrazia (Amartya Sen ci spiegò che tolleranza e pluralismo si ritrovano anche in tradizioni non occidentali) quanto in un’altra disposizione – plasmata dalla nostra storia – che provo a riassumere: si tratta di una saggezza che nasce da una ferita e da una catastrofe, e perciò saggezza umile, consapevole dei propri limiti. L’Europa è il luogo dove si sono formulati alcuni dei valori più alti nella storia dell’umanità, a partire dalla Grecia classica – e poi attraverso cristianesimo, Rinascimento, illuminismo – e al tempo stesso è il luogo dove quei valori sono stati calpestati (colonialismo, genocidi, due guerre mondiali). La Grande Guerra, cui aderirono quasi tutti gli uomini di cultura (tranne Einstein, Bertrand Russell e pochi altri), con i suoi venti milioni di morti segnò il fallimento dell’umanesimo. Dopo il nazismo, fiorito nel paese più colto d’Europa, mostrò che aveva fallito la cultura stessa, la quale non necessariamente migliora gli esseri umani (Hitler leggeva un libro al giorno e si deliziava con la tetralogia wagneriana).

Ecco, aver meditato anche dolorosamente su questa esperienza tragica è il nostro retaggio e può diventare il nostro contributo specifico in un confronto tra i popoli e le culture. Proprio la autodistruzione degli ideali e valori della tradizione europea dovrebbe impedire qualsiasi “pompierismo”, qualsiasi vacua retorica nel riproporli. Eppure quei valori devono essere riproposti. L’Europa non è finita, non siamo al tramonto dell’Occidente (un interminabile crepuscolo artico!), come ci ha ripetuto tutta la fuffa reazionaria che tra le due guerre denunciava la perdita di spiritualità nell’epoca della tecnica. Nell’agosto del 1944 Savinio, dopo aver appreso della abolizione della pena di morte in Italia, scrive che la notizia gli dà una “profondissima letizia, superiore a una grande vittoria militare”.

Oggi l’Europa è l’unico continente in cui è stata abolita ovunque la pena di morte. Ecco dove si trova il discorso legittimante dell’Europa, in una promessa di libertà e integrità dell’individuo: proprio perché noi stessi abbiamo tradito quella promessa, sappiamo oggi quanto sia infinitamente preziosa e attuale. Partigiani di tutta l’Europa, unitevi! Certo, la altisonante parola “partigiani” – ossia “combattenti”, con l’enfasi che implica – potrebbe contraddire quella consapevolezza tragica. Ma proviamo a immaginare partigiani alla Fenoglio: privi di certezze eppure ostinati, scettici e idealisti. Continueremo a scontrarci, dentro la sinistra, sui modi e i contenuti del “riarmo”. E poi ricordiamoci della frase di Camus – che da non-violento volle aderire alla Resistenza francese – , rivolta al suo immaginario interlocutore tedesco, nel 1943: “Battersi disprezzando la guerra”. C’è dentro tutta l’Europa.

P.s. Nello spirito di questa tradizione libertaria, indocile e combattivamente nonviolenta (cosa diversa dal pacifismo) aderisco alla manifestazione di oggi.

15 Marzo 2025

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