Il parlamentare dem
Parla Roberto Morassut: “Le sinistre si alleino in Europa per dare credibilità alla democrazia”
«In Germania una nuova collaborazione con i cristiano democratici sarebbe mortale per i socialisti. Nei paesi europei dove non governano, i progressisti contengono il trionfo sovranista e fascista. Ma la trincea non basta più. Devono trovare un collegamento tra loro»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli

Roberto Morassut, parlamentare e membro delle Direzione nazionale del Partito Democratico, Vicepresidente della Fondazione Giacomo Matteotti: In Germania l’avanzata della destra estrema di AfD è stata forte ma non travolgente, i socialdemocratici sono crollati. Che valutazioni si possono trarre da questo voto tedesco?
Il voto tedesco fa riemergere le due Germanie del dopo guerra. La parte orientale ha avuto una ricostruzione parziale che non ha creato solide basi democratiche e prima ancora una coesione sociale in grado di reggere l’impatto con la crisi attuale. Tra le principali motivazioni che hanno determinato le scelte dell’elettorato tedesco sembra vi sia stata la questione dell’immigrazione che ha fatto largamente premio su tutto il resto. Il successo nazionalista era previsto ma non ha sfondato nelle roccaforti cristiano democratiche e cristiano sociali come in Baviera, dove i ceti medi più protetti si sentono ancora tutelati più dalla tradizione che dall’avventura. Ad est non è così perché lì il radicamento dei partiti che erano occidentali è stato debole e faticoso dopo gli anni ’90, la società civile è più fluida e scalabile, in un certo senso. I socialdemocratici pagano anni di convivenza governativa coi moderati, lo smarrimento di certe radici popolari, la crisi della condizione operaia. La pagano a destra ma anche a sinistra dove c’è una affermazione di Linke e dei Verdi. Allo stato attuale la Spd non è più la forza guida della sinistra tedesca. Adesso la formazione di un governo è molto difficile perché è da escludere una rinnovata collaborazione tra socialisti e cristiano democratici. Per i socialisti sarebbe mortale. Vedremo. Molto dipenderà anche da come la destra cercherà di capitalizzare questo risultato. Il dato interessante, comunque, è l’innalzamento dell’affluenza al voto. Evidentemente i tedeschi hanno avvertito la grande posta in gioco. I giovani hanno premiato la destra e la Linke. C’è stata una lotta politica vera, profonda e radicale.
La Spd è scesa al minimo storico ma le forze progressiste, nel loro complesso, sfiorano il 40%. Non è poco…
Numericamente non è poco ma non c’è un progetto comune. E questo è un dato europeo in tutti quei Paesi europei dove le sinistre non governano come in Francia e in Italia. Parliamo di contesti assai diversi ma in tutti questi Paesi le sinistre contengono il trionfo sovranista e fascista o impedendone l’ascesa al governo o combattendo con un’estesa ma frammentata opposizione. In Spagna e in Inghilterra, che pur fuori dalla UE la voglio considerare parte del contesto europeo, governano ma devono fare i conti col cambiamento epocale che stiamo iniziando a vivere. Insomma, ce n’è abbastanza per dire che la trincea non basta più e basterà sempre meno nel prossimo futuro. Bisogna dare rapidamente all’Europa una base morale, democratica, statale e sociale più avanzata. Le tradizioni democratiche europee -socialiste, cristiane e liberali – sono radici ancora forti ma possono essere rapidamente logorate agli occhi di generazioni nuove che con la tradizione hanno ormai un rapporto assai difficile… Le sinistre nazionali, nelle loro diverse configurazioni e profili e nei loro diversi contesti, debbono trovare tra loro un qualche collegamento, fin tanto che oltre alla frammentazione c’è ancora una forza numerica complessiva importante.
Come si fa a coagulare dalla Francia, all’Italia, alla Germania cose così diverse dai socialisti, a France Insoumise, al Movimento Cinque stelle in Italia, la Linke e così via…Poi i socialisti sono cose diverse in ogni Paese…
Non c’è dubbio. Nulla toglie che si possa tentare di costruire in ogni paese un “patto di unità d’azione” su alcune fondamentali battaglie che sia inizialmente a maglie larghe, non tolga identità e autonomia a nessuno ma inizi a far percepire a larghe masse di cittadini europei che c’è una base comune, un “idem sentire” alternativo al sovranismo, ai valori della destra estremista e a questa nuova forma di fascismo tecnocratico.
Un Patto su cosa?
L’espressione “patto” serve per dire che occorre una trama comune di obbiettivi sui quali restituire alla democrazia e all’Europa credibilità e attrattività. Il rapporto Draghi è l’infrastruttura fondamentale per un tale discorso. A partire dall’Italia. Serve una prospettiva di inclusione sociale che non può che prendere le mosse da un programma che restituisca competitività all’Europa nel contesto mondiale. La democrazia si basa sulla prosperità sociale, crolla quando cresce l’ingiustizia sociale e non viene più percepita come utile, soprattutto dalle classi più deboli che si consegnano ai tiranni, ai dittatori, ai demagoghi. È sempre stato così…. E naturalmente c’è il tema della difesa comune, tema già posto da Ernesto Rossi nel Manifesto di Ventotene e quindi non nuovo. Perché soprattutto in un mondo come quello che si va configurando la capacità di deterrenza è una componente della pace….
Quindi, da questo punto di vista, torniamo al detto latino “si vis pacem, para bellum”…
È pur vero che la saggezza degli antichi non manca mai di dimostrarsi quasi eterna e questo perché le civiltà antiche erano essenziali, poco tecnologiche, basate quasi totalmente sull’elemento umano. Se si vuol dire che per preparare la pace bisogna sempre avere una pistola sotto il tavolo in un mondo di briganti, diciamolo pure. La lotta per la pace non si fa più, in Europa, come nel dopoguerra. La sinistra lo deve capire. Ormai siamo soli. Ciò che serve è una grande politica, una visione del mondo di oggi ed una idea di governo mondiale in un mondo multipolare che riconosca i diversi protagonisti in campo, quelli reali. Conseguentemente una grande capacità diplomatica affiancata e corroborata da una deterrenza militare. L’Europa non ha e non ha avuto mai né l’una né l’altra. E adesso cosa pretendiamo?…
Trump ha umiliato l’Europa liquidando la pratica ucraina…
La pace è sempre la pace ma deve essere una pace vera altrimenti prepara altri disastri. Trump ribalta il detto latino in “Si vis bellum para pacem”. Perché una pace in Europa fatta senza l’Europa può preparare drammatiche conseguenze in un tempo non lungo. L’Europa unita e protagonista è un fattore di stabilizzazione mondiale. Un’Europa divisa, impotente, aggredita dalla crisi economica e sociale, invasa da un’immigrazione non governata su scala continentale, tenuta al laccio ora dagli Stati uniti, ora dalla Russia per la sopravvivenza energetica può diventare una polveriera esattamente come erano i Balcani all’inizio del Novecento, da cui di fatto iniziarono le guerre mondiali. La miseria dei sovranisti italiani ed europei sta in questo. Non capiscono che scodinzolare come dei barboncini dietro il molosso americano per avere un avanzo di osso ci porta nel burrone. E questa vocazione della destra fascista italiana a distruggere il Paese, mettendosi col più cattivo, l’abbiamo già vissuta!
L’Europa è morta dopo questo passaggio?
L’Europa ha subito un colpo durissimo, un’umiliazione senza precedenti. E c’è da sperare che, come a volte accade, dalle umiliazioni maturi una maggiore coscienza di sé, i germi di un patriottismo europeo. Un senso di cittadinanza e appartenenza europea che esiste sul piano culturale, morale, ma non politico. Come fu per secoli per l’Italia, unita dalla lingua, dalla cultura ma divisa dalle élite aristocratiche egoiste, preoccupate solo ed esclusivamente della loro ricchezza, che ci ha lasciato tesori inestimabili ma ha ritardato la creazione di uno Stato unitario con tutti i problemi che ancora ci portiamo dietro. Il modello sociale europeo, inclusivo, universale basato sulla centralità dell’uomo è una grave minaccia per le autocrazie e gli imperi del globo. La possibilità che possa affermarsi una grande Unione federale, aperta e democratica di 500 milioni di esseri umani, con un modello sociale universalistico, che punta ad una prospettiva economica, industriale ed energetica che chiude con l’uso delle energie fossili è destabilizzante per i grandi dittatori e autocrati del mondo: la Russia, la Cina, le élite che tengono schiave le masse con il fondamentalismo religioso e anche questi Stati Uniti di Trump. Tutti hanno interesse a soffocare l’Europa, a liquidare la sua tradizione cristiana, socialista, liberale. Cercano nell’Artico e nel Pacifico nuove fonti fossili, nuove rotte commerciali, fanno accordi per governare il mondo su quei ghiacciai in scioglimento e quegli immensi mari. Accordi tra potenze pronte a “belligere”. Non è il mondo delle generazioni future e dei giovani che in tutto il mondo guardano invece all’Europa come ad una parte della Terra più giusta, più libera, dove vivere una vita più piena. Questa è la loro minaccia più insidiosa.
Ma l’Europa non ha fatto nulla per giungere preparata a questi appuntamenti.
Il voto tedesco dimostra che ci sono ancora almeno due “Europe”, se non di più. Prendiamo il rapporto con la Russia. Sono stato membro della delegazione italiana presso l’Assemblea Parlamentare del Nato fino al 2018 e ricordo benissimo che almeno fino alla prima invasione russa dell’Ucraina, nel 2014, la Nato e gli Stati Uniti non avevano nessuna voglia di portare truppe e confini dell’Alleanza sotto il muso russo. Furono i baltici e gli scandinavi a premere sempre più fortemente perché questo avvenisse, nella paura di essere aggrediti dalla Russia o provocati dalle sue scorribande cibernetiche. L’Europa non aveva una visione comune e non aveva nessun ruolo complessivo all’interno dell’alleanza militare. Si muoveva in modo disarticolato. L’accerchiamento Nato della Russia c’è stato davvero e ha contribuito a rafforzare quella che era già una direttrice revanscista di Putin di tornare a giocare un ruolo nel Baltico e nel Mar Nero. La capacità di iniziativa diplomatica al fianco di una giusta deterrenza, come ho detto all’inizio, è mancata totalmente.
Cosa fare in Italia?
Continuo a ritenere, come ho detto altre volte, che si deve cercare già nel nostro contesto nazionale di costruire una trama di valori e linee condivise comuni tra le forze di opposizione. Un “programma fondamentale” o, per l’appunto, un “patto di unità d’azione” su alcuni temi essenziali che non tolga spazio alle identità delle singole forze ma faccia percepire che c’è un’alternativa e non solo un fronte difensivo. Lo si sta già facendo ed il Pd se ne fa carico per primo, come ci spetta. Non mi sfugge che vi sono competizioni interne…. Ma proprio per questo non bisogna agevolarle, incoraggiarle, legittimarle come se fossero una tattica per vincere tutti insieme, come è stato proposto. La competizione va sviluppata nella società reale, nell’azione popolare e questo il Pd deve farlo superando definitivamente i residui di certe incrostazioni burocratiche di una vecchia componentistica interna che non ci rende simpatici, ma aprendosi e discutendo in modo aperto di tante questioni cruciali che a volte per equilibri interni non sciogliamo. Invece dobbiamo farlo e dare dei messaggi chiari. Io, per esempio, vorrei discutere meglio delle politiche che riguardano il governo dei nostri territori, della nostra politica sulla riforma del governo locale – oltre la giusta lotta contro l’autonomia differenziata – o della legge sulla partecipazione dei lavoratori agli utili d’impresa. Io ho grande rispetto per la tradizione sindacale cattolica che si esprime nell’articolo 46 della Costituzione, rimasto inattuato e che fu proposto da Gronchi. E che trae le origini più profonde dalla Rerum novarum di Leone XIII. Ma un conto è questo. Un conto è la proposta di legge del governo che finisce per farci ripiombare in una caricatura di corporativismo sindacale di ben altra tradizione. Cancellando il sindacato di classe. Si lo chiamo così. Quel sindacato che lotta non solo per il salario ma per grandi battaglie democratiche generali. Su questo dobbiamo fare molta molta attenzione. Insomma, per competere con gli altri servono battaglie di partito e una presenza nella società davvero più aperta e con maggior respiro ma anche una condotta unitaria con gli alleati sul piano politico con un manuale di battaglie comuni che sia base di una alternativa. Lo stiamo facendo. Ma adesso la storia e la situazione generale deve spingerci ad una ancora maggiore determinazione.