Il parlamentare Pd
“La ragion di Stato non consente la violazione delle norme, su Almasri Meloni scappa e fa lo scaricabarile”, parla Orfini
«La ragion di stato non consente di violare sistematicamente le norme. Nel rapporto con la Libia un meccanismo pericoloso. Oggi il Pd ha una linea del tutto diversa sugli accordi con Tripoli e Schlein li ha sempre combattuti»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli

Matteo Orfini, parlamentare e membro della Direzione nazionale del Partito Democratico: il caso Almasri, i balbettii e le contraddizioni di due ministri, Nordio e Piantedosi, i silenzi della presidente del Consiglio. Cosa racconta questa vicenda?
Anzitutto che questa vicenda non è chiusa, almeno per noi. Lo spettacolo desolante offerto in Parlamento da Nordio e Piantedosi non ha chiarito nulla, semmai ha alimentato dubbi e sconcerto. Una vicenda che racconta, fuori da ogni dubbio, che c’è stata una chiara, esplicita scelta politica da parte del governo, quindi di Giorgia Meloni…
Quale scelta?
Quella di liberare un criminale, un assassino, un torturatore, uno stupratore, un persecutore di donne, bambini, uomini. Ma Almasri non è solo tutto questo marciume. È anche un perno dell’organizzazione del traffico di esseri umani, perché questo fanno le cosiddette guardie costiere e polizie libiche. Assicurarlo alla giustizia, non solo sarebbe stato doveroso, ma sarebbe stato anche lo strumento per capire davvero come funziona il traffico di esseri umani. Fosse vero o no che li si vuole inseguire per tutto il globo terracqueo, era una grande occasione per scoprire come funziona quel meccanismo criminale. Quell’occasione l’abbiamo persa, volutamente. I due ministri sono arrivati in Parlamento esponendo due tesi non soltanto completamente diverse ma addirittura antitetiche l’una dall’altra.
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Nel merito?
Beh, Nordio ha fatto l’avvocato difensore, come giustamente ha detto Elly Schlein, di Almasri, spiegandoci che tutto sommato la Corte penale internazionale non ci aveva capito nulla e dunque che non aveva senso arrestarlo. Piantedosi, invece, ci ha spiegato che Almasri era talmente pericoloso, proprio sulla base di quelle notizie della Corte penale internazionale che Nordio aveva giudicato irrilevanti, da portare l’Italia a rimpatriarlo immediatamente. Sono convinto che esistano ancora molte domande inevase che necessitano una risposta immediata e che quella risposta debba venire da Giorgia Meloni. Noi continuiamo a chiedere che sia lei, in quanto a capo del governo, a chiarire cosa è successo, perché è del tutto evidente che le decisioni sono state assunte da Palazzo Chigi. Dico che è evidente anche dalla fuga della Meloni. È evidente che la Meloni non è voluta venire in Parlamento perché aveva chiarissimo che qualunque spiegazione si fosse data in quella sede, non avrebbe chiarito nulla ma avrebbe prodotto ulteriori domande, e con un po’ di viltà ha voluto scaricare su i suoi ministri responsabilità che sono sue.
Alla Corte penale internazionale è arrivata una denuncia sull’operato del governo italiano per “ostacolo all’amministrazione della giustizia ai sensi dell’articolo 70 dello Statuto di Roma” in riferimento al caso del generale Almasri. Palazzo Chigi minimizza. L’Aja puntualizza: “Al momento nessuna inchiesta su funzionari italiani nel caso Almasri”. Al di là degli sviluppi giudiziari, che segno è?
È un segno inquietante. Il governo italiano attacca in Parlamento, e in successive dichiarazioni del ministro Nordio, la Corte penale internazionale, a cui peraltro l’Italia aderisce e che nasce dallo Statuto di Roma. E Nordio lo fa spiegando di non averne voluto assecondare la richiesta di arresto di Almasri, di fatto non rispettando gli obblighi di legge, perché non era una facoltà ma un obbligo del governo attuare il mandato di arresto per Almasri emesso dalla Corte dell’Aja, come ha spiegato molto bene sul vostro giornale Gianfranco Schiavone in un lungo e documentato articolo. Come non bastasse Nordio, ora c’è pure Tajani che evoca una inchiesta sulla Corte dell’Aja. Siamo alle comiche, se non fosse una cosa molto ma molto seria.
Dietro tutto questo c’è anche una idea, che non nasce col governo Meloni, secondo cui con certi Paesi, Bruno Vespa l’ha gridato nei suoi “5 minuti”, per preservare la nostra sicurezza nazionale devi scendere a patti anche con brutti ceffi.
Ho visto il video di Vespa, e devo confessare di esserne rimasto colpito. Di solito invecchiando si acquisisce saggezza. Capita un po’ a tutti noi. Invece Bruno Vespa si sta radicalizzando, deve essere una specie di crisi tardo adolescenziale, che francamente mi ha colpito conoscendo l’uomo. Ciò detto, non penso che la ragion di Stato consenta di violare sistematicamente le norme. Mi piacerebbe vivere in un Paese, in uno Stato in cui quando si ha l’occasione di assicurare alla giustizia un pericolosissimo criminale, lo si fa senza tentennamenti e senza indugi. Dopodiché, quand’anche fosse vera quella tesi, io rifletterei sulla ragion di Stato…
Nel senso?
Nel senso che noi abbiamo costruito, e questo onestamente non è responsabilità solo di questo governo, un meccanismo pericoloso nel nostro rapporto con la Libia.
Giorgia Meloni, nel suo celebre video, ha detto io non sono ricattabile. Ecco, io ho qualche dubbio in proposito. Non tanto sulla Meloni, ma sul fatto che questo governo non sia sotto ricatto della Libia. Se noi non possiamo assicurare alla giustizia un criminale perché abbiamo paura della rappresaglia dei libici, vuol dire che ci siamo costruiti una condizione per cui l’Italia, una delle principali potenze mondiali, è sotto ricatto delle milizie libiche. Io rifletterei su questo, con molta serietà e preoccupazione.
Lei è stato tra i non molti parlamentari del Partito democratico che, sotto altri governi e segretari di partito, è andato controcorrente rispetto agli accordi con la Libia. C’è stato un cambio di linea del Pd o si tratta solo di un riposizionamento tattico?
Oggi il Partito democratico ha una linea completamente differente da allora. Un dato politico che era già chiaramente esplicitato nella campagna congressuale con cui Elly Schlein ha vinto le primarie per la segreteria. D’altro canto, Elly anche quando non era nel Partito democratico, le va riconosciuto di essere sempre stata tra quelli che hanno combattuto gli accordi con la Libia. Quando in pochissimi nel Pd conducevamo questa battaglia, fuori dal Pd c’erano tante altre personalità politiche, Nicola Fratoianni, Riccardo Magi, Emma Bonino per citarne alcuni, che, come Elly Schlein, contestavano quelle politiche.
Tutto questo mentre il governo, con la sua presidente del Consiglio, continua a magnificare il “Piano Mattei”...
Ci vuole un bel po’ di faccia tosta per esaltare un “Piano” che non esiste. È come il “Piano Olivetti” per la cultura che è stato approvato nel Decreto cultura. Sono scatole vuote. Sono nomi, cose già previste che vengono messe sotto il cappello del “Piano Mattei”. Da mesi stiamo attendendo, inutilmente, decreto del Consiglio dei ministri con i nuovi progetti del “Piano Mattei”. Che non ci sono. Sono operazioni di pura propaganda che peraltro sfregiano la memoria di grandi personalità, come Mattei o come Olivetti per quanto riguarda la cultura.
Silente sul caso Almasri, la nostra presidente del Consiglio si fa vanto di essere stata l’unica leader europea presente all’Inauguration day di Donald Trump, del presidente che fa postare le immagini di immigrati clandestini deportati a Guantanamo e che intende ripulire Gaza dai palestinesi.
Intanto l’idea di gestire le relazioni con gli Stati Uniti in un rapporto bilaterale è molto pericolosa, perché in questo schema saremmo in una condizione di estrema sudditanza per ovvie ragioni. Noi abbiamo bisogno dell’Europa, non perché l’Europa sia perfetta, tutt’altro, ma per provare a discutere da potenza a potenza con gli Stati Uniti d’America. L’idea di rompere l’unità dell’Europa, cercando un rapporto politico diretto, privilegiato, fuori dal vincolo europeo, con gli Stati Uniti, è una idea pericolosissima, che vuol dire consegnarsi a Donald Trump e non fare l’interesse nazionale. Tra l’altro, progetti come quello su Gaza annunciato da Trump, sono assolutamente irricevibili. L’idea che si possa espellere i palestinesi dalla loro terra è abominevole, irricevibile. Abbiamo sempre sostenuto la necessità di costruire le condizioni, certo oggi più difficili, per una coesistenza di due Stati per due popoli in quel martoriato tratto di terra. Oggi mi pare che il tema centrale sia come fermare stabilmente i comportamenti criminali di Netanyahu non di come cacciare i palestinesi dalla loro terra.
A proposito d’Israele e della sua indiscussa capacità nel campo della security. C’è da aver paura per lo spionaggio informatico, operato con la spyware israeliana Paragon, contro attivisti e giornalisti?
Assolutamente sì. Noi abbiamo presentato interrogazioni e chiesto al governo di riferire in Parlamento. L’idea che in un Paese democratico come il nostro, in una democrazia liberale, nel 2025, in modo totalmente illegale vengano spiati giornalisti e attivisti politici, fa paura. Siamo fuori da ogni tollerabilità. Il governo deve chiarire perbene cosa è successo. La smentita iniziale mi pare già superata, non vorrei che fossimo di fronte all’ennesimo utilizzo improprio di strumenti nella disponibilità del governo. Sarebbe gravissimo.
Fin qui abbiamo toccato argomenti molto seri, per certi versi drammatici: Libia, Gaza, spionaggio. Eppure, i narratori della politica interna, si cimentano pressoché quotidianamente nel descrivere un Pd impregnato h24 nel fare e disfare correnti…
Noi abbiamo bisogno di continuare il lavoro che stiamo facendo, cioè cercare di capire come ognuno di noi può dare una mano al Partito democratico a crescere.
Nel mio piccolo, sono uno dei terribili capi componente del Partito democratico. Sono nell’album dei capi corrente. Ho provato a interpretare questi anni con la convinzione che il dovere di ognuno di noi sia quello di costruire le condizioni per battere questa destra. Per questo ho votato Bonaccini, ho perso il congresso, e dal giorno dopo ho provato, da una posizione autonoma, a dare una mano a Elly Schlein, che sta facendo bene e che ritengo sia stata molto brava anche nel costruire le condizioni dell’unità dentro al Partito democratico. Penso che ogni sensibilità politica che c’è nel Pd, debba misurarsi su questo terreno: quale contributo porta al Pd, di idee, di battaglie, d’impegno per far crescere il Partito. Questo è anche il modo sano per far vivere le diversità. Nel mio piccolo, ho provato a portare una storia di battaglie su temi come quelli di cui abbiamo parlato in questa conversazione. Misuriamoci e confrontiamoci su come rendere il Pd più forte e come ognuno di noi può mettere il suo mattoncino alla costruzione di una vittoria che ci chiedono gli elettori. Perché più passano i giorni e più questa destra orribile sfida tutti noi a costruire un’alternativa credibile.
Elly Schlein insiste molto sull’unità. Vale per il Pd e anche per la coalizione di centrosinistra. È una missione impossibile?
Se noi stressiamo troppo questa discussione finiamo per renderla più complicata. Penso che rispetto all’inizio di questa legislatura, a due anni e mezzo fa, i temi sui quali siamo uniti siano molti di più di quanti fossero a inizio legislatura: salario minimo, sanità pubblica, scuola pubblica, università, politiche industriali, automotive, contrasto alle politiche securitarie del governo e alle politiche orribili sui fenomeni migratori, l’autonomia differenziata… l’elenco delle cose su cui abbiamo costruito l’unità sono tante. Andiamo avanti così e ci ritroveremo tra un po’ di tempo a capire che una coalizione c’è perché è nata nel fuoco di una battaglia di opposizione e in questa battaglia ha saputo costruire e far vivere un’agenda politica alternativa a quella delle destre al governo.