I due ministri riferiscono in Parlamento

Meloni scappa e sacrifica Nordio e Piantedosi: la premier si sfila sul caso Almasri

Incalzata dalle opposizioni, la premier spera di scrollarsi la vergogna del torturatore scarcerato. Ma i due ministri ripeteranno il già detto: “Era pericoloso”

Politica - di David Romoli

5 Febbraio 2025 alle 13:00

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Foto Roberto Monaldo / LaPresse
Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Il dibattito sul caso Almasri ci sarà, la premier no, la diretta tv prima no poi sì. Riferiranno i ministri degli Interni e della Giustizia, Piantedosi e Nordio: non diranno nulla in più delle scuse già accampate e degli alibi abborracciati nelle settimane scorse. L’arresto “irrituale” che imponeva la liberazione del torturatore libico. La pericolosità del soggetto che imponeva il suo allontanamento, subito e con l’aereo di Stato. Non parleranno per chiarire e del resto tutto è già chiarissimo. Il loro obiettivo sarà “voltare pagina”. Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato e non se parli più. La premier, reclamata ad altissima voce dall’opposizione ma senza ultimatum sul proseguimento del blocco del Parlamento, ha declinato il cortese invito. Per quanto funambolica possa essere un modo per uscire a testa alta dalla vicenda non c’era. Il meno che le si possa rinfacciare è essersi piegata al ricatto e per chi ripete da due anni e mezzo di non essere ricattabile non è una gran figura. Meglio non figurare per niente e mandare allo sbaraglio i sottoposti. Alla Camera la diretta tv è stata bloccata dal veto di Lega e Fi, essendo necessaria l’unanimità per avviare le telecamere, ma poi la maggioranza ha dovuto cedere alla protesta delle opposizioni. Al Senato la scelta è stata opposta: forse perché il governo si è reso conto di star restituendo al Paese un’ingloriosa immagine fuggiasca. O forse perché la diretta dal Senato permette di difendersi dall’accusa di nascondersi mentre negandola alla Camera si impedisce ai leader del centrosinistra, tutti e tre deputati, di mettere sotto accusa il governo di fronte al Paese. Per questo i capigruppo d’opposizione hanno scritto al presidente della Camera Fontana insistendo perché si vada in onda anche da Montecitorio, riuscendo infine ad averla vinta. Il capogruppo azzurro al Senato Gasparri, che pure ha concesso il semaforo verde è comunque sicuro che a seguire una vicenda che il governo ha fatto il possibile per silenziare saranno in pochi: “Sarà la diretta meno vista della storia”. Un wishful thinking da manuale.

I ministri non dovrebbero citare la ragion di Stato, altrimenti dovrebbero giustificare la decisione di non apporre il segreto di Stato. Ci penseranno i capigruppo di maggioranza, impugnando l’intervista rilasciata ieri da Marco Minniti nella quale l’ex ministro degli Interni pd, papà del memorandum con la Libia dal quale discende la liberazione di Almasri, sostanzialmente difende la scelta del governo. Scelta peraltro non rivendicata né ammessa: Giorgia e i suoi ministri si sono trincerati dietro alibi sgangherati, non hanno mai ammesso di aver agito per difendere quel memorandum che è stato sinora il grande rimosso dell’intera vicenda. Eppure senza accendere i riflettori su quel memorandum, confermato sia dal governo Conte 2 che da quello Meloni, diventa impossibile capire la clamorosa decisione di lasciare libero un criminale assassino e torturatore inseguito da mandato di cattura internazionale. E senza chiamare in causa quell’accordo turpe con Tripoli (la Libia non esistendo più) non ci si spiegano nemmeno le goffe bugie della premier e dei ministri Nordio e Piantedosi, con le quali alla vergogna si è sommato il ridicolo.

Oggi l’opposizione avrà a disposizione tutte le armi necessarie per inchiodare il governo alle proprie palesi responsabilità e per reclamare almeno le dimissioni del ministro della Giustizia. Non è il principale responsabile della vergognosa condotta dell’Italia, titolo che spetta di diritto a Meloni: però è il più esposto. L’opposizione può inchiodare Nordio alla scelta di non comunicare il suo parere in tempo per evitare la scarcerazione del “generale” libico e di non averne ordinato subito il riarresto. Può rinfacciare a Piantedosi la decisione di mettere in salvo Almasri di corsa, per evitare che il clamore dello scandalo rendesse il suo rimpatrio impossibile. Può smentire ogni favola sulla procura di Roma e la Corte d’appello alleate dell’opposizione segnalando che anche la Procura avrebbe potuto decidere in autonomia il riarresto e che la sentenza della Corte era evidentemente nota in anticipo dal momento che il Falcon destinato a riportare in patria il libico si è mosso con ore di anticipo sull’emissione delle sentenza medesima. Può inchiodare la premier alle sue responsabilità, essendo impensabile una manovra come quella sviluppatasi tra il 19 e il 22 gennaio, date dell’arresto e del rimpatrio, senza un suo preciso ordine, e alle sue bugie, avendo sempre negato di saperne niente.

Ma per evitare che il dibattito di oggi si risolva in nulla e serva solo a “voltare pagina”, come nelle precise intenzioni del governo, l’opposizione non può limitarsi a enunciare l’ovvio ripetendo che la premier si è fatta ricattare non da Almasri ma dai capi di Almasri. Deve avere il coraggio di ammettere che l’arma di ricatto dei complici era l’osceno memorandum in base al quale l’Italia paga i libici perché impediscano ai migranti di raggiungere le nostre coste e si impegna a chiudere tutti e due gli occhi su come assolvano al compito: con torture e lager, omicidi e stupri. Le dimissioni di Nordio sono necessarie perché un’enormità come quella di cui si è reso responsabile il governo italiano deve avere un prezzo. Ma ancora più necessario è che l’opposizione denunci a voce altissima e reclami la fine del memorandum della vergogna. Anche se finora tutti sono stati complici nel progettarlo e poi sostenerlo.

5 Febbraio 2025

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