Il caso
Chi è e cosa sa Nijem Osama Elmasry, il capo della polizia libica arrestato a Torino: nel mirino il mattatoio di migranti finanziato da Roma
Da chi era protetto qui Nijem Osama Elmasry, il capo della polizia libica arrestato a Torino? Se parlasse per molti ministri italiani sarebbe una Norimberga. Sotto processo il mattatoio di migranti finanziato da Roma
Cronaca - di Luca Casarini

Italiani arrestati in Libia ancora, e per fortuna, non ce ne sono, quindi un’altra brillante operazione di scambio prigionieri la Meloni non può farla. E poi stiamo parlando della Libia, o meglio, di quel pezzetto di Libia che si dice sotto il controllo dell’unico governo riconosciuto dall’Occidente, mica dello stato canaglia degli Ayatollah. La Libia, Il fiore all’occhiello del “Piano Mattei”.
L’arresto avvenuto sabato scorso a Torino, su mandato della Corte Penale Internazionale, del capo della polizia giudiziaria libica, il generale di brigata Najeem Osema Almasri Habish, conosciuto da tutte le sue vittime come “Almasri”, conferma quello che da anni tutti sanno: il “sistema libico”, soldi dall’Italia e dall’Europa in cambio del fermo violento di migranti e profughi. È un mattatoio umano. Il criminale che adesso è rinchiuso nel carcere delle Vallette, accusato di omicidi, stupri, riduzione in schiavitù, uccisioni di massa di migranti seppelliti in fosse comuni e tutto il resto degli orrori, è un funzionario istituzionale di primo livello, in costante rapporto con il Ministero degli Interni italiano e con gli agenti dell’Aise, i “nostri” servizi segreti, che in questi anni hanno sempre saputo che fine facevano donne, uomini e bambini che non dovevano entrare nelle statistiche degli sbarchi in Italia.
Gran parte dei numeri che mancano al conteggio – “evviva, abbiamo ridotto gli sbarchi” – sono quelli di coloro finiti in un lager, o in una fossa comune, o in fondo al mare, affogati senza soccorsi. Dal 2017 in poi, l’incessante lavoro in Libia di qualsiasi governo, è stato questo: mettere in piedi una rete di relazioni con i peggiori criminali, i famosi “trafficanti del globo terraqueo”, per assicurarsi che profughi e richiedenti asilo non potessero arrivare sulle nostre coste. Alcune volte ci sono arrivati morti, come a Cutro e in altri casi. Se qualcuno come me ha fatto un minimo di esperienza in mare, il nome “Almasri” l’ha sentito nominare spesso. I sopravvissuti, ai lager e alla fuga in mare, ne ripetevano alcuni ossessivamente: Bija, Osama, Almasri. Un signorotto della guerra, uno dei tanti del dopo Gheddafi, anche se per la verità già prima della caduta del regime, la Segreteria di stato americana lo aveva segnalato, e il nome era finito nei primissimi rapporti Onu sui trafficanti di petrolio, di armi e di esseri umani, da attenzionare.
Ma il salto di qualità di Almasri avviene dopo l’incontro segreto a Mineo dove l’allora governo Gentiloni, seguendo la ricetta del suo ministro degli interni Minniti, prende Bija, già ricercato, e lo fa sedere ad un tavolo, per prendere accordi dal contenuto indicibile. La violazione sistematica dei diritti umani, quando si tratta di “ragion di stato”, non è mai un problema. Da quel momento i mafiosi di medio calibro, che gestiscono la guerra per bande in Libia attraverso la trasformazione dei loro clan familiari in “milizie”, capiscono che si può puntare alto. L’Italia, anche per motivi geografici, è la testa di ponte di una evoluzione possibile, che può trasformare affari di piccolo cabotaggio, legati perlopiù alla “protezione” dei pozzi petroliferi, del porto di Zawhia con il giacimento Eni, e ad alto rischio – la concorrenza è armata da quelle parti – a qualcosa di più ambizioso: fare lo “stato”, in cambio dell’imprigionamento di quelli la cui vita non interessa a nessuno, né in Libia, né tantomeno in Italia e in Europa.
Cosa sono tutti quei negri, magari anche cristiani – se sei cristiano i torturatori in Libia, come in Tunisia, ci vanno giù ancora più pesante – se non feccia, bestie, nullità? E se adesso ti pagano pure milioni di euro per farne ciò che vuoi, e ti trasformano da bandito in ufficiale della guardia costiera, della marina, della polizia, cosa chiedere di più? Almasri è diventato il capo della polizia giudiziaria libica per questo, perché serviva. Gestisce tutt’ora il lager governativo di Mitiga, di cui ho sentito parlare la prima volta da un attivista di Refugees in Libya, che ha avuto la sfortuna di finirci dentro, e la fortuna di poterlo ancora raccontare. Questa testimonianza, su chi gestiva la camera delle torture, sugli stupri, sui riscatti chiesti alle famiglie, sono state acquisite dalla Corte Penale dell’Aja. Come quelle di altri, costretti ai lavori forzati per costruire la nuova pista dell’aeroporto di Mitiga, quello dove in questi anni è atterrato e decollato, molte volte al mese, il Falcon 900 dei nostri servizi segreti che fa la spola da Pratica di Mare.
Se Almasri parlasse, una volta alla sbarra, si aprirebbe una nuova Norimberga. Stiamo parlando di un sistema che ha provocato decine di migliaia di morti e indicibili sofferenze a centinaia di migliaia di esseri umani innocenti. Sarebbe davvero una nuova Norimberga, perchè peggiori di questi spregevoli personaggi cresciuti nei rimasugli del mondo, vi sono solo coloro che li hanno addestrati, foraggiati, ingaggiati. Usati per il lavoro sporco. E non sono libici, i peggiori, e nemmeno indossano la mimetica. Sono in giacca e cravatta, fanno i ministri in Italia e alcuni di loro vanno a messa tutte le domeniche. Questo arresto, per ciò che potrebbe scoperchiare, è persino troppo strano. Il governo tace, non si sa se perché potrebbe solo balbettare, o per una strategia decisa in anticipo. Lascia a Nordio, il Ministro della giustizia, il cerino in mano. Tutti i twittatori seriali, Piantedosi e Salvini in primis, che se un migrante fa uno starnuto sono sempre in prima linea di social a sbraitare, questa volta muti.
La Meloni, finito il rave a Washington, ha spammato un video sulle discese dalle scalette degli aerei dei sui viaggi internazionali, ma sull’arresto di uno dei terminali dei finanziamenti italiani in Libia, non ha ancora avuto tempo. Forse è il “jet lag-er”. E il vecchio Nordio, lasciato solo, ha biascicato per iscritto “che il Ministero valuterà se trasmettere gli atti alla Procura generale presso la corte d’appello di Roma, come previsto dai trattati”. Peccato che la legge, quell’articolo 4 legge 237/2012, richiamata nella nota del Ministro, dica ben altro: “Il ministro della giustizia dà corso alle richieste formulate dalla Corte Penale Internazionale, trasmettendole al procuratore generale presso la corte d’appello di Roma perché vi dia esecuzione…”.
Che cosa sta valutando dunque Nordio? I maliziosi potrebbero pensare che la “valutazione”, così irrituale e anche di dubbia validità giuridica, si imponga perché la consegna all’Aja di Almasri, e la sua messa a disposizione del procuratore Khaan, potrebbe rivelarsi molto pericolosa per il governo. Ma sono solo maliziosità. Come pensare che un governo che ha fatto della lotta ai trafficanti del globo terraqueo il suo credo, possa mai trafficare per farla fare franca a un criminale come Almasri?