La presidente di Emergency

Parla Rossella Miccio di Emergency: “A Gaza un popolo sotto le macerie”

La presidente di Emergency: “Il bilancio dei morti è molto più pesante di quanto non sappiamo. Ma i giornalisti stranieri non sono ammessi, e si spara sugli operatori umanitari. Diritto e umanità sono stati presi a picconate”

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

2 Luglio 2025 alle 08:00

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Palestinians carry bags containing food and humanitarian aid packages delivered by the Gaza Humanitarian Foundation, a U.S.-backed organization, in Rafah, southern Gaza Strip, Wednesday, June 25, 2025. (AP Photo/Abdel Kareem Hana)
Palestinians carry bags containing food and humanitarian aid packages delivered by the Gaza Humanitarian Foundation, a U.S.-backed organization, in Rafah, southern Gaza Strip, Wednesday, June 25, 2025. (AP Photo/Abdel Kareem Hana)

Fa bene ricordarlo sempre: c’è chi disserta su guerre, tragedie umanitarie, comodamente seduto in uno studio televisivo, mettendo i voti, dando patenti di affidabilità e cartellini rossi, e chi le guerre, le tragedie umanitarie le vive sul campo, cercando di salvare, ogni giorno, centinaia di vite umane. È il caso di Emergency, di cui Rossella Miccio è la Presidente nazionale. L’Ong fondata da Gino e Teresa Strada ha vissuto tutti i conflitti che hanno segnato gli ultimi quarant’anni. Sempre dalla parte delle tante e tanti che pagano. Come i palestinesi di Gaza e della Cisgiordania. Come i migranti che continuano a morire nel Mediterraneo o nel deserto.

La guerra all’Iran come arma di distrazione di massa rispetto alla tragedia senza fine, alla mattanza in atto a Gaza.
È così. Purtroppo, a Gaza la situazione continua a peggiorare. Durante la “distrazione” iraniana sono state uccise più di 400 persone che stavano cercando di accedere agli aiuti, distribuiti attraverso questa fantomatica Gaza Humanitarian Foundation. In più, continua a non esserci accesso, oltre al cibo, ai farmaci, all’acqua potabile, il gasolio è centellinato. La situazione a Gaza è sempre più invivibile.

Secondo un recente – e sconvolgente – report di Harvard, nella Striscia di Gaza ci sarebbero oltre 350mila “desaparecidos”, probabilmente sepolti sotto 40mila tonnellate di macerie.
Non sapremo mai l’entità reale di questo disastro, di questo massacro. Non mi meraviglierei, visto il livello di distruzione fisica che c’è in tutta la Striscia, dalla parte nord fino al confine con l’Egitto, che il bilancio dei morti sia molto ma molto più pesante di quello, già terrificante, accertato. Sappiamo che Gaza è il luogo al mondo con la più alta densità di popolazione rispetto al territorio. Quando distruggi edifici interi, quartieri interri, ma non ci sono gli strumenti per rimuovere le macerie, non saprai mai quanta gente è sepolta lì sotto. Questa sarà una macchia che ci porteremo addosso tutti, per tantissimo tempo.

Le testimonianze che vengono dagli eroi in camice bianco che continuano ad operare a Gaza, a rischio della loro stessa vita, e tra questi ci sono anche medici e infermieri di Emergency, sono a dir poco sconvolgenti. Le chiedo: cos’altro deve essere testimoniato dall’inferno di Gaza, per smuovere il mondo, i leader mondiali, quelli europei?
Ce lo chiediamo costantemente, tutti i giorni. Noi continuiamo a ricevere dalle colleghe e dai colleghi che sono lì testimonianze che iniziano sempre così: “quello che vedo qui non l’ho mai visto da nessun’altra parte”. E sono tutte persone che hanno lavorato in tanti conflitti, in tante guerre, dall’Afghanistan all’Iraq alla Libia… Quando ti raccontano che è arrivato un signore malato cronico di diabete, emaciato, sottopeso, che ci ha detto che da 2 mesi mangia una volta al giorno solo dei ceci.
Quando il costo delle cipolle è arrivato a 3 dollari per una cipolla, sono cose che non hanno nulla a che fare con quelli che noi consideriamo standard minimi di vita.
A Gaza non si vive. A Gaza si cerca di sopravvivere. Di fronte a questo disastro, i cittadini si mobilitano, chiedono alla politica, a chi ha responsabilità di governo, istituzionali, di fare qualcosa per porre fine a quelli che sono veri e propri crimini di guerra e contro l’umanità. Lo chiedono riempiendo le piazze, come è accaduto a Roma e non solo a Roma, firmando petizioni, dimostrando una solidarietà fattiva, fatta di tanti piccoli gesti che messi insieme raccontano di una società civile capace ancora di indignarsi e di non voler essere complici della mattanza di Gaza. Emergency ha lanciato una petizione per chiedere al Governo italiano di denunciare l’accordo bilaterale per il commercio di armi con Israele, e in due-tre giorni hanno firmato più di 200mila persone. Vuol dire che le persone questa cosa la sentono.

E la politica?
La politica è sempre più sorda. Sempre più irrazionale. Sempre più illegale. Perché continuano a violare il diritto internazionale nell’impunità più totale.
La domanda che a mio avviso ci dovremmo porre è come si fa a ricostruire un rapporto di responsabilità tra i cittadini e la politica. Questo credo che sia il vero e irrisolto problema.

Emergency è parte importante di quel mondo solidale che è sceso in piazza a Roma per due grandi manifestazioni, in due settimane. Una certa stampa mainstream non ha trovato altro modo di parlare di quelle due manifestazioni così partecipate e pacifiche, come se fossero il raduno di antisemiti e pure filo-ayatollah.
Sono anni che lo ripetiamo. Noi di Emergency siamo stati accusati di essere filotalebani, filoterroristi, filo-Bashir, il dittatore sudanese incriminato dalla Corte penale internazionale per i crimini in Darfur…Non ne possiamo più di dover rispondere sempre la stessa cosa: noi siamo filo-esseri umani. Tutte le volte che ci sono persone, come noi, che stanno subendo ingiustamente delle conseguenze gravissime legate ai conflitti, noi siamo sempre dalla parte di queste persone. Sempre.
Lo facciamo con i nostri progetti, e cerchiamo di farlo a casa nostra, unendoci a una opinione pubblica che sta rispondendo alla grande. Il 21 giugno a Roma, sotto un sole che spaccava le pietre, con 40 gradi, decine di migliaia di persone hanno sentito il bisogno, più che il dovere, di essere lì a denunciare il genocidio in atto a Gaza. Quel sabato potevano andare al mare, invece erano in piazza a chiedere pace, a chiedere di non investire più nel riarmo, a chiedere di scegliere finalmente la strada del dialogo che è l’unica percorribile in questo momento.

Gino Strada, che insieme alla grande sua compagna Teresa, è stato il fondatore di Emergency, diceva che l’umanità si salva solo se dichiara guerra alla guerra, se la bandisce.
Se la devo guardare con gli occhi della razionalità, credo che sia l’unica cosa sensata, logica da fare. Sono cose in cui Gino credeva fermamente e che praticava, come tutti noi di Emergency. Ma quelle cose le diceva prim’ancora Einstein, che la guerra, per quanto l’uomo era riuscito a sviluppare una tecnologia che ci può portare all’autodistruzione, doveva essere bandita. Il manifesto Russell-Einstein dice che l’umanità è davanti a questa scelta drastica: vuole cacciare la guerra dalla storia o sarà la guerra a cacciare l’umanità dalla storia. Non c’è nulla di utopico in questo. C’è tantissimo buonsenso, razionalità, e voglia di essere costruttivi per garantire un futuro all’umanità.

Eppure, si continua a spendere per il riarmo.
Sì. Ed è una vergogna. L’anno scorso le spese mondiali per gli armamenti hanno toccato la cifra record di 2718 miliardi di dollari. Un crescendo negli ultimi vent’anni. Non vedo alcun collegamento tra questo aumento delle spese militari con una maggiore sicurezza. Anzi, oggi viviamo in un mondo ancora più instabili, insicuro. I conflitti in corso sono almeno 57, e qui si parla ancora di aumentare questa follia delle spese militari. Quando il mondo avrebbe bisogno di tanto altro. E non solo i Paesi a medio-basso reddito. Con quei soldi sottratti agli armamenti, potremmo fornire a milioni di persone servizi di base – sanità, istruzione e tant’altro. Ma penso anche a casa nostra, all’Italia. Abbiamo un sistema sanitario al collasso; un sistema educativo per cui non si può più andare a scuola perché sono quasi tutte inagibili. Il Covid ci ha messo di fronte all’evidenza che non avevamo dispositivi medici sufficienti per poterci curare tutti e bene. Invece di investire in questo, si sceglie di investire in armi. Una logica perversa, distruttiva.

Nella guerra a Gaza, sono morti più operatori umanitari e giornalisti che in ogni altro conflitto dopo la Seconda guerra mondiale. Testimoni scomodi da eliminare?
Decisamente, assolutamente. I giornalisti internazionali non sono ammessi a Gaza. Questo fa sì che quel poco di notizie che riescono ad uscire, vengono sempre tacciate di essere notizie di parte. Basterebbe far entrare i giornalisti internazionali per avere una pluralità di vedute. E poi, gli operatori umanitari. Lo abbiamo visto ancora pochi giorni fa, con l’uccisione di un operatore della Croce Rossa. I nostri colleghi tutte le mattine sperano di rivedere i colleghi palestinesi che erano tornati alle loro tende, perché non hanno più case. Non sono mai certi di poterli rivedere la mattina dopo in clinica. La situazione è devastante. Non si rispetta neanche più quel principio di umanità e di neutralità che è garantito dall’azione delle organizzazioni umanitarie. Questo è gravissimo per Gaza ma lo è anche per noi, perché quello che è sempre stato un pilastro della nostra società, soprattutto dopo le due guerre mondiali, è stato preso a picconate.

C’è una parola che fa discutere e scatena polemiche riguardo a Gaza. Quella parola è genocidio.
Ormai ci si concentra più sul termine che sul contenuto, su quello che sta succedendo a Gaza. Il numero dei morti che aumenta in maniera esponenziale sembra non far più impressione a nessuno, almeno se si leggono certi giornali o si guardano certi programmi televisivi. Lo si chiami come si vuole, poi sarà la Corte penale internazionale o quella di Giustizia a darne una definizione giuridica-legale. Il problema vero è che questa mattanza deve finire. Che bisogna far tacere le armi e restituire dignità e una possibilità di vita ai palestinesi nelle loro terre. Punto. Non ci sono altre cose di cui ci si dovrebbe occupare in questo momento.

In questo mondo segnato da guerre, tragedie umanitarie, il diritto internazionale è diventato carta straccia. L’unica “legge” che vale è quella del più forte.
Si chiama giungla. Non più comunità. E con il livello di tecnologia che abbiamo rischiamo sempre più l’autodistruzione. Sereni verso la catastrofe nucleare. E così sarà se non si ritorna a parlare, a dialogare, invece di mostrare i muscoli. E a pretendere che sia la legge del più forte ad avere la meglio.

Un segnale di speranza è dato dalla presenza dei giovani alle manifestazioni per la pace.
Per fortuna i giovani ci stanno dando torto. Non è che noi siamo stati molto bravi a preparargli un mondo particolarmente accogliente. Penso alle guerre, alle crisi climatiche…I giovani sono molto più consapevoli di noi, delle generazioni più adulte, di quanto importante sia il rispetto della dignità e dei diritti di ciascuno, anche di quelli che vedi distanti da te. E questo ci dovrebbe far riflettere tutti. Spero che attraverso anche la loro mobilitazione, in atto in Italia e a livello internazionale, la direzione pericolosissima che sta prendendo il mondo cambi radicalmente e finalmente si possa iniziare a parlare di come si possa vivere meglio tutti insieme piuttosto che minacciarci a vicenda.

2 Luglio 2025

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