La guerra Iran-Israele
Trump ferma la guerra ma non il massacro: milioni di civili resistono in ostaggio dei potenti
Netanyahu è isolato, l’Iran media, gli Stati Uniti oscillano. In mezzo, milioni di civili restano ostaggio dei potenti del pianeta, resistono, anche se si continua a morire
Esteri - di Luca Casarini

Siamo tutti appesi, noi spettatori divertiti o terrorizzati, ad un tweet. Ma certo quello di stanotte del signore della guerra numero uno, quello che ha le “magnifiche armi”, non può che essere definito un colpo di scena. Le bombe israeliane stanno ancora mietendo vittime, non sono magnifiche quelle, abituate ad esplodere facendo a pezzi innocenti a Gaza, quando il commander in chief lancia un siluro proprio a Netanyahu, più potente dei missili balistici iraniani caduti a Beersheba. Passando in meno di mezza giornata dal “regime change” a “God bless Iran”, il presidente americano ha assestato una pugnalata alla schiena, così, in pubblico, proprio in mezzo al salone da ballo, a Bibi, che stava tronfiamente celebrando la sua furbizia.
Gli iraniani, quelli con il turbante nero, hanno giocato la mossa del cavallo, telefonando a Qatar e Stati Uniti prima di lanciare i missili verso la più grande base militare americana presente nel territorio dell’emirato. “Nessun danno, nessun morto” ribadisce Trump, ma soprattutto una “cortesia” quella degli Ayatollah di avvertire gli americani in modo che uomini e mezzi fossero messi al sicuro. Il signore della guerra numero uno, dopo essere stato trascinato dalla furbizia israeliana quasi alle porte della terza guerra mondiale e non “a pezzi”, ma riunificata, con la possibile apertura di nuovi ed inediti teatri di conflitto non solo in Medio Oriente, ma anche in Asia – oltre a quello europeo al quale Putin sta imprimendo una ulteriore sanguinosa escalation – ha scelto almeno per oggi di rendere pan per focaccia a Tel Aviv. Scandendo il timing: “a 6 ore da adesso partono 12 ore di cessate il fuoco da entrambe le parti”. Se regge per le 24 ore successive, la “guerra dei 12 giorni” è “finita per sempre”. Trump ha così infilato il coltello tra le scapole dell’amico nevrotico israeliano, mettendolo all’angolo.
La speranza del governo israeliano che tutto si incendiasse, spinta anche dai bombardamenti vigliacchi delle zone residenziali di Teheran con centinaia di vittime civili (gli “avvisi alla popolazione di evacuare” poco prima di lanciargli tonnellate di esplosivo sulla testa sembrano più il “puntate, mirate, fuoco!” dei plotoni di esecuzione, che premura per evitare carneficine, come d’altronde bombardare la galera famigerata di Evin con i detenuti dentro “per liberarli”), è stata cancellata nello spazio di venti righe emanate dall’uomo con il cappellino rosso. La “pistola fumante”, la bomba atomica che l’Iran “era in procinto di costruirsi”, assume ormai, anche per i media americani, lo stesso valore delle “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein. Si è capito che, in questo mondo, chi vuole una atomica può procurarsela, come nel caso del Pakistan, dell’India, dello psicopatico coreano del Nord. Medved il russo lo ha dichiarato senza peli sulla lingua: “Perché non gliela diamo noi la bomba agli iraniani?”.
Ma anche la quantità di uranio arricchito al 60% dalle centrifughe iraniane (con uno sforamento del 3,76 per cento secondo i limiti fissati dall’accordo di non proliferazione sottoscritto da Teheran, ma non da Israele che di atomiche ne ha in quantità) non si sa che fine abbia fatto. Potrebbe essere stato spostato in tempo dalle caverne, oppure no. Ma per fortuna di noi comuni mortali, per Trump le magnifiche armi ne hanno causato la distruzione, e tanto basta a dire che l’operazione è stata un successo. “Rising Lion”, dopo la coltellata di stanotte, è diventato “Wounded Lion”, il leone ferito. Quando è quello che credevi tuo amico, anche se l’avevi trascinato in un casino dagli esiti imprevedibili, che ti accoltella, fa ancora più male. E quando è il tuo nemico, quello che con fatica certosina hai descritto al mondo come il male assoluto, a giocare di intelligenza di fronte alla tua forza soverchiante e a metterti al tappeto con una mossa di judo, i “bombardamenti con telefonata” in Qatar, eh allora ti senti perso. Il gioco della vittima più feroce di tutti forse ti si sta rompendo tra le mani. “L’asse del Male” viene oggi benedetto dal capo supremo delle armate occidentali. Per iscritto. E quel Dio con cui il King benedice l’Iran degli Ayatollah è lo stesso con cui benedice Israele di Netanyahu.
Lo stesso per gli Stati Uniti d’America, e lo stesso con cui benedice il mondo intero. La lama del pugnale, conficcato nella schiena, viene rigirata sulla ferita: ma come, non stavamo combattendo per conto del nostro Dio, giusto, contro il loro Dio, sbagliato? Come può il nostro Dio benedire loro, che sono il male assoluto, i nemici, i mostri, i non umani? Da non crederci, ma a volte un tweet ha il peso di una sacra scrittura. Ora vedremo se Rising Lion si ritira a leccarsi le ferite e continua solo ad essere la Jena di Gaza. Le prospettive che lascia questo giretto all’inferno che abbiamo fatto negli ultimi giorni sono un regime degli Ayatollah che si rafforza al suo interno, il Qatar che è artefice di una mediazione storica insieme agli Stati Uniti, il governo israeliano messo a nudo nella sua volontà di guerra a prescindere. Un governo che dovrà fare i conti con parte della sua popolazione che vuole andarsene adesso da lì, dove i missili cadono e fanno morti. Dove il respiro di vittoria comincia sempre di più ad essere aria avvelenata di sangue per il sangue.
Cominciano ad andarsene quelli che stanno bene economicamente, e chi non lo farebbe, visto che il mondo è grande e vivere da assediati più di sempre non è certo un bel destino. Vogliono i cittadini israeliani misurarsi con una vita da guerrieri, in una società così democratica e civile da essere costretta a praticare colonialismo e apartheid, a ergersi su una montagna di cadaveri e bombe atomiche, sulle torture per i prigionieri, sul massacro di persone inermi come i bambini palestinesi che non bisogna far crescere perché si ricorderanno di quando il loro padre, la loro madre, i loro fratelli sono stati ammazzati mentre cercavano un pezzo di pane? Quanto durerà l’illusione che impedisce di vedere come siano gli interessi privati di un primo ministro corrotto ed inquisito a muovere gran parte delle decisioni di guerra e vendetta, appoggiato da banditi veri, condannati dagli stessi tribunali israeliani per terrorismo?
Nessuno, con questi signori della guerra, uno con i capelli argento e il riportino lungo, uno con il turbante nero, e l’altro con il cappellino rosso che copre i capelli gialli, sa cosa sarà domani. Di certo, come ammettono quelli che “Israele ha bombardato il carcere per aiutare i dissidenti”, forse per quei prigionieri adesso sarà peggio. Di certo, per le vittime della milizia dell’ICE nelle città santuario americane, non andrà meglio. Per i palestinesi di Gaza continuerà il massacro, aumentato dalla frustrazione di una jena che voleva essere un leone. Di certo, la popolazione ucraina continuerà a morire bombardata come a Kiev. E allora scriviamo noi quello che il King non ha scritto: che Dio benedica i popoli oppressi, bombardati, chiusi nei lager, in balia dei signori della guerra ovunque siano. Che Dio benedica loro che non contano niente. Loro che sono in balia di un tweet, di un regolamento di conti, di un gioco di morte che è quotato in borsa. Con un pensiero ai morti innocenti, vittime sacrificali di questo giro, in Iran, in Israele, in Ucraina, in Yemen, in Siria, in Libano, e in ogni parte del mondo. God Bless the people.