Il conflitto
Trump fa retromarcia e apre al “regime change” a Teheran: raid in Iran, colpita la prigione di Evin e la sede dei pasdaran

Donald Trump ci ha ripensato. Dopo aver più volte smentito, tramite il suo vicepresidente JD Vance ma anche col capo del Pentagono Pete Hegseth che fra gli obiettivi dell’operazione militare statunitense in Iran ci fosse un “regime change”, un “cambio di regime”, il presidente degli Stati Uniti tramite il suo social Truth ne ha parlato apertamente.
Trump scritto che il termine “cambio di regime non è politicamente corretto”, ma se quello attuale non è in grado di “rendere l’Iran di nuovo grande perché non dovrebbe esserci?”, aggiungendo poi l’acronimo MAGA (Make America Great Again, ndr) adattato all’Iran, ovvero MIGA.
OH. Trump *seems* to be okay with regime change in Iran after all. pic.twitter.com/pUY1EujO98
— Alex Ward (@alexbward) June 22, 2025
Una posizione, quella di Trump, che ribadisce la confusione che regna alla Casa Bianca dopo l’operazione “Midnight Hammer“, l’attacco con i bombardieri B-2 contro i tre principali siti nucleari iraniani, ovvero Fordow, Natanz e Isfahan. Dopo oltre 24 ore non è ancora chiara la portata dei danni ai tre siti nucleari: l’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, ha detto di non avere elementi sicuri, evidenziando che non vi sono state fuoriuscite di materiale nocivo.
A Washington, come detto, le idee appaiono confuse: se in un primo momento l’amministrazione Usa, in primis Trump, aveva rivendicato di aver “completamente e totalmente annientato” le capacità iraniane di arricchire l’uranio, si è poi mostrata più prudente parlando di “danni gravi”. Uno dei dubbi maggiori è quello sullo stato delle riserve di uranio arricchito iraniane, che potrebbe essere utilizzato per la produzione di armi nucleari: gli Stati Uniti dicono che probabilmente sono state distrutte nei loro attacchi, mentre il capo dell’Aiea Rafael Grossi, così come diversi analisti internazionali, reputa che siano state spostate prima dell’offensiva militare statunitense.
I raid israeliani in Iran
Sul fronte militare in attesa della ritorsione iraniana, che nei fatti nonostante i messaggi minacciosi dell’Ayatollah Khamenei non c’è stata, salvo dei bombardamenti di portata limitata che non hanno coinvolto le numerose basi Usa in Medio Oriente, è Israele che ha proseguito le sue operazioni militari contro il regime islamico.
I jet dell’aviazione israeliana questa mattina hanno bombardato diversi aeroporti in Iran, colpendo anche i siti di lancio di missili balistici iraniani nell’area di Kermanshah: si tratta dei missili terra-aria utilizzati da Teheran per attaccare il suolo israeliano, ben più pericolosi dell’aviazione.
Ma soprattutto l’IDF ha bombardato diversi luoghi simbolici per la Repubblica Islamica, tra cui la prigione di Evin, dove sono detenuti in condizioni disumane gli oppositori politici del regime: nel raid sono stati evitati gli edifici in cui sono detenuti i prigionieri, colpendo esclusivamente la porta di ingresso del carcere e alcuni edifici ammnistrativi.
Videos sent to Iran International show the moment Tehran’s Evin Prison was struck by an Israeli air strike on Monday. pic.twitter.com/NPhZ2upLGs
— Iran International English (@IranIntl_En) June 23, 2025
L’attacco al carcere è stato confermato sia da Israele che da media iraniani. Il ministro della Difesa di Tel Aviv, Israel Katz, ha detto che l’intento era proprio quello di colpire gli obiettivi legati al regime e al suo apparato di repressione. Preso di mira anche un edificio dell’emittente statale iraniana IRIB, noto come la struttura “9 Dey”, che gestisce la trasmissione dei canali televisivi nazionali da 1 a 5, nonché la programmazione educativa e coranica.
Fra i siti colpiti ci sono la sede dell’organizzazione paramilitare Basij, legata ai Guardiani della rivoluzione, e diverse basi dei Guardiani stessi legati alla loro attività di contrasto dei disordini interni al paese: secondo Tel Aviv “numerose” Guardie rivoluzionarie sarebbero stati uccise nell’attacco.
Tra gli obiettivi dell’IDF anche il cosiddetto orologio della ‘Distruzione di Israele’ che si trova in Piazza Palestina a Teheran, che scandisce il tempo che manca fino alla “distruzione di Israele”. Esposto nel 2017 dalle autorità iraniane, l’orologio è un’installazione provocatoria che segna il conto alla rovescia fino al 2040, in base alla previsione della Guida Suprema dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei, secondo cui Israele cesserà di esistere entro quella data. Secondo le prime informazioni l’orologio è stato gravemente danneggiato dal bombardamento israeliano.
Israel has confirmed it destroyed the “Destruction of Israel” countdown clock in Palestine Square, which was set to hit zero in 2040—the year Khamenei claimed Israel would no longer exist. pic.twitter.com/v1xNWVuALT
— Open Source Intel (@Osint613) June 23, 2025
Nei fitti bombardamenti israeliani è finita nel mirino un’università con sede nella capitale, la Shahid Beheshti University, situata nell’area nord di Teheran: sui social sono comparsi video e foto dei danni, come denunciato anche da studenti e ricercatori.
Da parte iraniana la risposta odierna è stata col lancio di 6 missili balistici contro Israele, che secondo quanto riferito dall’IDF non hanno causato né morti e non hanno neanche colpito direttamente gli edifici.
La partita diplomatica
Sul fronte diplomatico la situazione appare ugualmente difficile. Il ministro degli Esteri di Teheran Abbas Araghchi incontrerà oggi il presidente russo Vladimir Putin a Mosca, con lo Zar che resta uno degli alleati del regime dell’Ayatollah Ali Khamenei.
“L’aggressione non provocata contro l’Iran non ha motivi né giustificazioni“, avrebbe detto Putin ricevendo al Cremlino il ministro iraniano Araghchi, secondo quanto riferisce l’agenzia Interfax. Russia che sta facendo “sforzi” per sostenere il popolo iraniano, le parole del leader russo.
Domenica sera invece alla riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (l’assemblea di 15 paesi che prende le decisioni più importanti dell’Onu) Cina, Russia e Pakistan hanno presentato una proposta di cessate il fuoco in Iran: è praticamente certo che la mozione non passerà perché serve il voto favorevole dei 5 membri permanenti del Consiglio, fra cui gli Stati Uniti, la cui opposizione è scontata.