L'ex sindaco di Pesaro
Parla Matteo Ricci: “Meloni è solo una pedina di Trump, ci farà sbattere”
“Come ha spiegato l’ambasciatore Sequi il tycoon non considera nessuno suo pari, è per questo che non vuol trattare con l’Ue. La risposta dev’essere europea. Se pensa di fare da sola, la premier farà soltanto danni”
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Matteo Ricci, europarlamentare Pd già sindaco di Pesaro e coordinatore nazionale dei sindaci Dem, l’Europa di Francesco – solidale, inclusiva impegnata nel dare soluzione alle guerre e non ad alimentarle – che eredità lascia anche ai non credenti?
Quello di papa Francesco è stato un percorso non catalogabile, un pontificato eccezionale. Papa Francesco è sempre stato dalla parte degli ultimi. E non è possibile dimenticare la sua fermezza sulla questione climatica, i suoi messaggi chiari sui temi migratori. Non solo: Bergoglio ha più volte pronunciato moniti contro le derive antidemocratiche cui assistiamo nello scenario internazionale. È questo il testamento che lascia, non solo all’Europa, ma al mondo intero: è stato un Papa popolare, il papa del popolo, col quale ha coltivato un rapporto fortissimo fino agli ultimi istanti di vita. Non vedere questi insegnamenti sarebbe ipocrita: e questo vale sia per i credenti che per i non credenti. Da parte mia, avendo peraltro avuto, da sindaco, l’occasione di incontrarlo, ne ho un ricordo bellissimo e conservo un giudizio estremamente positivo del suo pontificato.
Ai funerali di papa Francesco la presidente del Consiglio rincontrerà il presidente degli Stati Uniti. La memoria va al tanto celebrato incontro alla Casa Bianca con Trump. Photo opportunity, parole al miele. Ma la sostanza politica?
Non c’è stata nessuna sostanza politica, al netto degli osanna della sua parte politica e dei media di parte e dello scambio di convenevoli nello Studio Ovale. L’Italia non si salva da sola: nello scenario globale apertosi con l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, il nostro Paese non ha nessuna possibilità di salvezza, se ci si basa sulle illusioni della presidente del Consiglio. Giorgia Meloni è volata a Washington con il cappello in mano, sperando in uno sconticino e auto-nominandosi controparte di Trump per l’Europa tutta. Allo stesso modo, ha accolto il vice presidente Usa, magnificando il “rapporto privilegiato” che l’Italia avrebbe con gli Stati Uniti. Ma, attenzione: gli stessi media americani, come riportato anche dai quotidiani italiani, hanno messo in guardia i loro lettori sulle astute mosse di Trump, che starebbe utilizzando Meloni solo per dividere l’Unione europea dall’interno. Del resto Trump non fa segreto della sua convinzione: crede che l’Ue sia nata per “fregare” gli Stati Uniti. Non è così naturalmente, ma è un fatto che l’Italia possa uscire dall’impasse aperto dalla guerra commerciale iniziata dagli Usa solo entro un’azione comune europea.
Annotava su la Stampa l’ambasciatore Ettore Sequi: “Per Trump, l’allineamento con l’Europa è debolezza. E le dichiarazioni multilaterali vengono respinte soprattutto perché implicano parità con governi ritenuti irrilevanti. È il riflesso di una diplomazia che considera il multilateralismo un ostacolo e il G7 rischia di diventare una liturgia vuota”. Il titolo dell’analisi è “Per Trump gli alleati sono solo gregari”.
È quel che sto dicendo: per Trump non esistono rapporti privilegiati, ma solo gregari. Meloni si illude di essere la controparte del trumpismo in Italia. Vive nell’illusione di essere accolta da pari a pari. Non è così: è una pedina nelle mani del presidente degli Stati Uniti, leader della nuova destra populista e reazionaria, che alza muri, vive di chiusure e impone dazi al mondo intero. La politica dei dazi è il simbolo della nuova destra populista mondiale, un sovranismo che inganna i popoli. I conservatori di stampo liberale – dal fu presidente Usa Ronald Reagan, a Silvio Berlusconi in Italia – si stanno rivoltando nella tomba nell’assistere alle scellerate scelte commerciali di Trump. La sua decisione di imporre dazi del 20% su quasi tutte le importazioni europee è un tentativo di dividere e indebolire l’Europa, e rischia di innescare una crisi economica e politica globale senza precedenti. Se davvero si dovesse arrivare a un’escalation protezionistica, la sola Italia potrebbe perdere fino allo 0,6% del Pil nel 2026. Già ora si vedono i primi risultati dei dazi di Trump: crollo delle borse, dollaro più debole, tassi di interesse che tornano a crescere. La guerra commerciale non fa bene a nessuno. Il sovranismo, unito alla decisione di Trump di mettere i dazi, sta già mettendo in grave difficoltà le nostre imprese. Rischiamo una nuova recessione. Uno scenario inquietante dinanzi al quale la destra meloniana al governo si inchina, senza opporre obiezioni. Servirà una risposta forte e unitaria dell’Europa per difendere cittadini e imprese dall’aumento dei prezzi e dell’inflazione: difronte alle sfide di Trump all’Europa, la risposta giusta è un’Europa federale. E, attenzione: la storia ci insegna che le guerre commerciali sono il preludio di conflitti reali.
Per Donald Trump la pace, vale per l’Ucraina come per la Palestina, sembra coincidere con le ragioni del vincitore, sia esso Putin o Netanyahu, con cui negoziare. Il resto è per “anime belle”.
Non possiamo dimenticare, credo, due momenti chiave del trumpismo anche mediatico, cui abbiamo assistito non appena il nuovo inquilino si è insediato nello Studio Ovale. Donald Trump che bullizza in diretta mondiale il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, durante l’incontro per l’accordo sulle terre rare, è stato probabilmente uno dei punti più bassi per la politica e la diplomazia mondiali. Allo stesso modo, il video realizzato con l’intelligenza artificiale e diffuso sui social dallo stesso Donald Trump – nel quale viene mostrato l’ipotetico futuro della Striscia di Gaza, resa resort di lusso per ricchi turisti e, nel contempo, luogo di adorazione per Trump stesso, trasformato in idolo pagano, una sorta di vitello d’oro – ebbene ci dice molto di quali siano i desiderata del presidente statunitense. Non c’è rispetto per la vita umana in quel video, non c’è rispetto per il diritto all’autodeterminazione dei popoli. Vaneggiamenti, cui Netanyahu si è accodato. Quel video è stato un insulto al diritto internazionale, in spregio a un popolo martoriato di cui si è arrivati a ipotizzare la deportazione. A fronte di tutto ciò, in Ucraina come in Medio Oriente serve un pacifismo pragmatico.
La pace va conquistata con la forza. È la linea Macron-Starmer-Von der Leyen. Ma è questa l’Europa per cui battersi?
Nelle ore in cui tutto il mondo dà il suo estremo saluto a un uomo di pace, papa Francesco, non posso non sottolineare che le sue ultime parole sono state per la pace, nelle terre martoriate dai conflitti, e per il disarmo: cessate il fuoco, questo il suo ultimo appello. L’Europa dei nostri padri fondatori, l’Europa sognata a Ventotene da Altiero Spinelli, è un’Europa di pace e accoglienza. Proprio Francesco, nel suo incontro con i migranti, in Grecia, nel 2016, disse: “L’Europa è la patria dei diritti umani, e chiunque metta piede in terra europea dovrebbe poterlo sperimentare”. Non possiamo sottrarci a questo imperativo: essere vessillo di pace e diritti nel mondo. Come ha ricordato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, lo scorso febbraio, l’Ue deve scegliere tra un vassallaggio felice e la difesa dei suoi valori fondativi: libertà, democrazia, pace. Quei valori devono essere alla base di una azione diplomatica volta a risolvere i conflitti che insanguinano tanto l’Ucraina quanto il Medioriente. Dinanzi al trumpismo che la sogna fragile e divisa, l’Unione europea smetta di balbettare e si ponga come vero soggetto di pace nello scenario internazionale.
In questa Europa messa male, la sinistra arranca, sulla difensiva.
Non sono d’accordo. Proprio dal centrosinistra italiano è arrivato un segnale forte, una richiesta di pace per il Medioriente: valuto assai positivamente la mozione presentata da Pd, M5s e Avs al Parlamento italiano, per la pace a Gaza. Chiediamo che cessino i bombardamenti, siano liberati gli ostaggi e sia rispettato il diritto internazionale. Allo stesso modo, in Spagna, da tempo, il premier Pedro Sanchez ha lavorato per il riconoscimento dello Stato di Palestina. Ora è tempo che anche l’Ue riconosca la Palestina e lavori a una pace duratura. Non possiamo più restare a guardare. Per quel che riguarda noi progressisti italiani, nel Pse e nel Gruppo S&D dobbiamo contare di più. Noi siamo la prima delegazione, con 21 parlamentari: possiamo orientare il dibattito interno su posizioni più avanzate. Al contempo, nello scenario nostrano, è fondamentale lavorare a costruire un’alternativa credibile alle destre al Governo. Abbiamo dinanzi tornate elettorali importanti, a partire dalle prossime elezioni regionali: il Pd, insieme alle altre forze progressiste e riformiste può trovare un comun denominatore sui valori e su alcune linee programmatiche. Penso ai temi relativi al lavoro, alla sanità, alla doppia transizione, ecologica e digitale, al sostegno alla crescita con investimenti europei pubblici.
Aldilà dei richiami a Ventotene e ai padri fondatori, nel PD c’è una visione politica condivisa sull’Europa? Il voto a Strasburgo sul Libro Bianco sulla Difesa pone dei seri dubbi.
I valori del Manifesto di Ventotene sono alla base del nostro partito: il Pd è nato europeista ed ha scelto, 10 anni fa, di aderire al Pse. È il dna del nostro partito e non ce ne siamo discostati. La visione di base è quella appunto di un’Europa dei diritti e della pace, il cui percorso non può che essere verso un assetto federale, affinché più forte divenga la sua voce nello scenario globale. Siamo tutti concordi nel dire che c’è la necessità di una difesa comune e non di rafforzare gli eserciti nazionali. Col voto a Strasburgo è emerso che, entro questa comune convinzione, alcuni parlamentari hanno ritenuto la risoluzione un passo avanti e hanno votato favorevolmente. Altri – tra i quali io stesso – hanno ritenuto la risoluzione ancora insufficiente, anche a causa della sbagliata impostazione del Piano data da Ursula von der Leyen. Pertanto, si è optato per l’astensione. Penso si debba arrivare al più presto a una difesa comune e a un esercito comune e non al riarmo dei singoli Paesi, partendo dalla considerazione che, se già oggi mettessimo insieme oggi gli eserciti europei, saremmo più forti militarmente della Russia e al pari della Cina. Inoltre, ritengo necessario che si faccia debito comune per finanziare la difesa europea. Il riarmo dei singoli Paesi è una questione, peraltro, che porrebbe sia l’Italia sia gli altri Stati Membri dinanzi all’interrogativo sul finanziamento delle aumentate spese militari. Sappiamo, per quel che riguarda l’Italia, che la Lega non approverebbe l’ipotesi di un maggior debito pubblico volto a finanziare il riarmo del nostro esercito. E non credo possibile che il Pd possa fare da stampella alla maggioranza nel caso in cui si debba votare uno scostamento di bilancio per far fronte alle spese militari.