L'asse Italia-Usa
Quanto ci costa la diplomazia nera di Giorgia Meloni: viaggi e doni per un Piano Marshall al contrario
Il viaggio a Washington è servito a questo: portare a Donald, che ne ha bisogno, soldi, promesse di acquisto di gas e armi, sottomissione nella politica contro la Cina. In cambio di? Un sorriso
Politica - di Michele Prospero

I viaggi oltreoceano, in una fase di protezionismo di ritorno, sarebbe meglio evitarli: tocca sempre pagare dazio. Se poi “Georgia” li compie per sfidare il globo con il motto “Make the West Great Again”, allora andrebbero proibiti perché il conto si rivela eccessivamente salato. L’America odierna vuole semplicemente soldoni sicuri dato che non è più in condizione di competere sul terreno tecnologico con i paesi emergenti. Trasformando Palazzo Chigi in un’agenzia di tour operators, Meloni “gira il mondo, gira” e si affanna per una foto accanto ai grandi della Terra, con lei a fare da “ponte” tra Roma e Washington.
Nel dopoguerra le interminabili traversate servivano a uomini di Stato per proporre un negozio a suo modo lucroso. I socialcomunisti venivano relegati ai margini del governo, ma come premio di fedeltà atlantica i centristi ottenevano la concessione di cospicui fondi. Così arrivavano, assieme alle basi militari e alla sovranità limitata, le risorse e i dollari per far ripartire l’economia, che i fascisti avevano portato alla catastrofe. Adesso Meloni fa la spola da uno scalo all’altro anzitutto per mostrare alle televisioni quanti abiti possieda in dote un’autentica governante tricolore. Quindi ne approfitta per sfoggiare le lingue e, in assenza di un Zelensky da zittire, per tacitare l’interprete al seguito. Infine, nel segreto del caminetto della Casa Bianca, la statista alla rovescia si accomoda per prospettare ai ricchi (ma non più egemoni) interlocutori un ghiotto Piano Marshall al contrario: generosi doni e servigi vanno dirottati a favore del socio a stelle e strisce e, in cambio dell’oro, il comandante in capo deve solamente vergare un attestato di benemerenza.
A Meloni importa essere diventata, proprio lei, da rampante underdog con una giovinezza passata tra i miti di Colle Oppio, non solo la migliore amica del tycoon che trascina il pianeta in stato di emergenza, ma pure la spigliata donna in carriera che può dare il cinque al paperonissimo Musk alla conquista di Marte. Basta poco all’(ex) asso della destra sociale per gestire una tale metamorfosi. Proviene infatti da una tradizione abituata a combattere, e soprattutto ad obbedire, agli ordini dell’alleato più forte. E dunque battere i tacchetti a spillo, in segno di deferenza al cospetto del potente e irascibile presidente, le viene come una mossa naturale. Oltre alla promessa di scialacquare miliardi per la fornitura di gas al triplo dell’esborso e del solito materiale bellico (non è Trump medesimo a demolire la narrazione di un Putin novello Hitler pronto a divorare qualsiasi cosa si trovi dinanzi da Mosca fino a Lisbona?), Meloni ha siglato un protocollo per l’arruolamento volontario nella crociata contro Pechino. La vera colpa del gigante asiatico? Fabbricare beni che scavalcano ogni muraglia poiché decisamente a buon mercato.
In questa costituenda legione straniera, la convergenza di Meloni con Salvini appare assoluta. I (sempre meno numerosi) padroncini del Nord-Est rimasti ancora leali al Capitano esportano principalmente in Russia. Perciò invocano il cessate il fuoco soltanto in Ucraina. Sognano così di ritrovare gli sbocchi commerciali di una volta e di riprendere le allegre transazioni con gli oligarchi spendaccioni. A Gaza, invece, il loro palpitante cuore non ha mai iniziato a pulsare. Il frastuono delle bombe che sventrano i corpi, del resto, è disposto con un programma di intelligenza artificiale, denominato dai devoti strateghi israeliani “Vangelo”. Quando è necessario spiegare il significato reale di quello che Meloni battezza “l’Occidente inteso non come spazio geografico, ma come civiltà”, è precisamente sulla Striscia insanguinata che bisognerebbe recarsi.
Quanto alla Cina, sui Suv esibiti in cortile a mo’ di status e nei capannoni che fioriscono nella Pianura Padana, essa viene percepita unicamente come un brutto sistema concorrente. Anche le grandi imprese vorrebbero sbarazzarsene per via dei suoi prezzi fin troppo convenienti. Un decoroso veicolo elettrico di media cilindrata, sfornato dall’Oriente ormai ipertecnologico, costa attorno agli 8 mila euro. Per gli esemplari made in Italy di minore cabotaggio, progettati con la speranza di sfondare ovunque nell’età della green economy, occorre versare almeno sei volte tanto. Le regole auree del mercato, per i liberisti, fanno testo esclusivamente quando il movimento dei capitali funge da locomotiva che dappertutto trasporta cheeseburger e Coca-Cola, con gli altri gioielli delle multinazionali Usa. Le spontanee parabole della domanda e dell’offerta non valgono più nel momento in cui il portafoglio delle aziende americane non si gonfia come prima. Allora la globalizzazione viene interrotta giacché, grazie all’industrializzazione delle aree finora colonizzate dalle merci occidentali, il dominio nei traffici è sfuggito di mano.
Pertanto si inventa la caccia etica agli “autoritarismi” allo scopo di spezzare le reni alla Cina, con i campioni illiberali del rinnovato patto euro-atlantico che si scagliano addosso all’autocrazia di Xi. Forti dei disegni di espulsione dei migranti in catene, orgogliosi della geometrica architettura dei gulag all’uopo inaugurati, i leader della destra mondiale parlano di diritti umani e di “democrazie” per bloccare la lunga marcia dei sempre più sofisticati prodotti del Dragone. Dietro l’avvertimento di rendere di nuovo grande l’Occidente, si sentono le note gravi della nuova grande guerra (per ora) commerciale con il nemico numero uno.
L’oneroso uovo di Pasqua comprato da Meloni conteneva cioccolato, missili e Gnl.
Al re d’Inghilterra “la secchiona”, così la chiama – e non si sa per quale motivo – un compiacente “Corriere della Sera”, regala la Nutella, non facendo mancare le dettagliate istruzioni da rispettare quando la corona in pigiama affronta la melanconia sul divano davanti alla tv spazzatura. Col vorace Donald, il quale finge di inveire contro l’Europa che l’ha “fregato”, la Patriota firma un assegno miliardario per garantire sgravi fiscali alle Big Tech e l’importazione di armi e liquidi infiammabili. E’ la diplomazia nera, bellezza, inedita nelle smorfie e nella schiettezza e però con la stessa minaccia di un tempo.