La presidente dell'AOI

Intervista a Silvia Stilli: “Tornare a Rafah e pretendere giustizia per il popolo palestinese”

«A marzo del 2024 la Carovana grazie alla collaborazione tra parlamentari e società civile, oggi quel dialogo ha portato all’iniziativa unitaria di Pd-M5s e Avs: il punto di partenza per ritornare al valico e in Cisgiordania e pretendere giustizia per il popolo palestinese»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

18 Aprile 2025 alle 14:00

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Photo credits: Sergio Oliverio/Imagoeconomica
Photo credits: Sergio Oliverio/Imagoeconomica

Silvia Stilli, Presidente dell’Associazione delle Organizzazioni Italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (AOI), che rappresenta più di 500 organizzazioni non governative, interne e internazionali. Gaza “un campo di sterminio” nell’inerzia complice della comunità internazionale. L’Europa che trova una parvenza di unità riarmandosi e insistendo nella linea securitaria e disumana del respingimento di migranti. Che mondo è questo?
In verità a Gaza occupazione e sterminio non si sono di fatto mai fermati, da quell’ottobre del 2023. La tregua non è veramente mai stata tale. Oltre i giorni degli scambi di prigionieri e ostaggi, poi fermatisi, e quelli per il rientro permesso a più di un milione di persone dal 27 gennaio scorso nella zona Nord della Striscia, tutto è continuato e oggi i dati sono davvero incredibili. Secondo i dati di OCHAOtP (l’UN Office for the Coordination of Humanitarian Affairs in the Occupied Palestinian) e WHO, fino al 15 aprile i palestinesi civili uccisi nella Striscia di Gaza erano circa 51.000, di cui più di 15.600 minori, mentre gli attacchi avevano ferito almeno 116.350 persone. Ci sono ancora 10.000 dispersi all’oggi individuati (quindi verosimilmente assai di più), presumibilmente morti sotto le macerie. I bambini e le bambine che hanno subito amputazioni a Gaza rappresentano il numero più elevato pro capite in tutto il mondo. Dalla ripresa degli attacchi il 18 marzo, l’esercito israeliano ha ucciso 1.630 persone, tra cui almeno 500 minori, ferendone ben 4.302.

Una mattanza che non risparmia chi prova a salvare vite umane o a raccontare l’inferno di Gaza.
Il personale medico, paramedico e sanitario morto in questi terribili 18 mesi raggiunge la cifra di 1.300 persone; 110 unità della protezione civile e 212 giornalisti e operatori media hanno perso la vita a Gaza. Fatima Hassouna, una giovane giornalista della Striscia conosciuta da operatori umanitari e presente nei social, attivista per i diritti umani, è stata assassinata con 10 componenti della sua famiglia il 16 aprile. Come riportato da chi l’aveva ben conosciuta in questo lungo periodo di guerra, recentemente aveva scritto, citando la consapevolezza dell’inevitabilità della sua morte: “Quando morirò voglio una morte sonora. Non voglio comparire nelle ultime notizie, né essere un semplice numero di un gruppo. Voglio una morte di cui il mondo senta parlare, un impatto che duri per sempre e immagini immortali che né il tempo, né il luogo possano seppellire”. Per questo oggi riporto questi numeri che devono generare vergogna e rabbia nelle nostre coscienze e cito le parole di Fatima: il genocidio che si sta portando avanti con la determinazione della cancellazione ora della popolazione di Gaza, ma poi di tutti i palestinesi, se non massacrati resi dispersi o segregati nei campi in altri Paesi, tutto questo orrore deve esserci ben presente davanti e l’immagine sempre più difficile da spostare dal campo visivo.

Questa la speranza, ma la realtà?
Va nella direzione opposta. Il disegno ormai neppure negato dal Governo israeliano era da tempo quello di far rientrare al Nord la popolazione per poterla colpire e sterminare più facilmente. Ci è riuscito. Il Ministro della Difesa israeliano ha dichiarato lo scorso 12 aprile che l’esercito ha ormai completamente circondato il governatorato di Rafah e completato il controllo sul corridoio “Morag”, di separazione dei governatorati di Khan Younis e Rafah, che divide la Striscia di Gaza da est a ovest: creando di fatto una “zona di sicurezza israeliana”. Israele controlla il 69% della Striscia con le “no go zones” o gli ordini di sfollamento. Le operazioni umanitarie sono bloccate dall’attività militare israeliana di presidio permanente, dagli stop di ingresso di aiuti e beni commerciali attraverso i valichi dal 2 marzo e dall’intensificarsi delle restrizioni per la circolazione nella Striscia, dove l’82% dei campi coltivabili e il 78% delle serre sono distrutti o inutilizzabili, gli animali da allevamento non ci sono più; il 91% della popolazione della Striscia non ha cibo, il 65% ogni giorno ha accesso a meno di 6 litri di acqua. L’ospedale battista al-Ahli a Gaza City ha visto la distruzione nei giorni scorsi dei reparti di pronto soccorso e chirurgia, e l’esercito israeliano ha colpito contemporaneamente l’ingresso della clinica da campo di al-Mawasi al Sud, uccidendo e ferendo gravemente il personale medico. Si tratta di due presidi essenziali per tamponare l’emergenza sanitaria, gli ultimi con ambulanze ancora integre. Non vi è molto altro da aggiungere per dare il quadro della distruzione finale e del genocidio di fronte al quale la diplomazia e la politica mondiale stanno mostrando una sostanziale inadeguatezza a rispondere. O non lo vogliono fare. Più ‘onestamente’ Trump e il suo Governo hanno dichiarato che la dispersione del popolo palestinese è la soluzione finale per impedire loro di rivendicare una terra e dei diritti. L’Europa? Vergogna, solo vergogna. Nemmeno il gesto del tutto ‘simbolico’, date le condizioni geografiche e geopolitiche dell’oggi, di riconoscere ai palestinesi il diritto ad avere uno Stato trova l’Europa unita.

E l’Italia?
Men che meno il Governo italiano intende esprimersi in questa direzione. Ma qualcosa si muove nella politica italiana, all’opposizione di Governo. Dall’inizio dell’invasione militare israeliana della Striscia e l’inizio del massacro dei civili le organizzazioni della società civile attive nei progetti di cooperazione ed emergenza umanitaria nei Territori Palestinesi hanno tenuto un importante filo comunicativo con l’intergruppo parlamentare alla Camera dei Deputati per la Pace e il Dialogo tra Israele e Palestina, spingendo per mozioni parlamentari, interrogazioni al Governo e azioni visibili di protesta, denuncia e solidarietà alle vittime civili di questo conflitto, sia nella Striscia che in Cisgiordania, dove i coloni stanno intensificando l’appropriazione indebita e criminale di terre e abitazioni della gente palestinese. Questo dialogo e questa collaborazione tra singoli parlamentari (tutti dei partiti di opposizione) e società civile a marzo 2024 ha portato alla realizzazione della Carovana per Rafah, la missione congiunta delle ong di AOI, di ARCI e AssoPace Palestina e parlamentari stessi: in quell’occasione, l’incontro con le organizzazioni umanitarie internazionali, l’Ambasciata italiana in Egitto e la visita al valico di Rafah, tra centinaia e centinaia di camion di aiuti bloccati, portarono all’opinione pubblica le immagini e le storie della privazione di diritti per un popolo ridotto a vivere in un’ enclave dalle forze militari israeliane di occupazione, subendo bombardamenti e violenze e a cui, oggi come allora, viene impedito di accedere ad approvvigionamento di cibo, medicine, ogni bene primario, acqua, energia elettrica. Oggi quelle e quei parlamentari, nella continuità della collaborazione, del dialogo, dell’impegno con la società civile italiana, hanno ottenuto un risultato importante per la politica e per non far sbiadire le immagini di quello che sta avvenendo in Palestina: Pd, M5s e Avs il 15 aprile hanno presentato una mozione congiunta con 10 principali impegni dal riconoscimento dello Stato di Palestina da parte di tutta l’UE alla sospensione dell’accordo UE-Israele e la richiesta di sanzioni per Israele stessa per la violazione del diritto internazionale, alla cessazione della fornitura di armi. Vi si ribadisce il sostegno al cosiddettoPiano arabo” per la ricostruzione e la futura amministrazione di Gaza, condannando qualsiasi piano di espulsione dei palestinesi da Gaza e Cisgiordania. Importante il punto in cui le forze di opposizione firmatarie della mozione congiunta insistono sulla piena attuazione ai mandati di arresto emessi dalla Corte Penale Internazionale nei confronti di Netanyahu e Gallant e ribadiscono il sostegno in tutti i consessi europei ed internazionali la legittimità della Corte Penale Internazionale. Oggi ancora alle Ong italiane non viene data speranza di poter entrare a Gaza e riattivare le loro attività umanitarie finanziate dal nostro Paese: la nostra presenza è scomoda, quel che succede non possiamo tenerlo in silenzio. Ma anche l’operatività in Cisgiordania per le ong internazionali è fortemente messa in discussione dalle nuove regole per operare del governo di Israele, che non permette critiche, anche pregresse, al suo operato, pena l’espulsione. Il successo della mozione congiunta delle opposizioni è il punto di partenza per tornare al valico di Rafah insieme, la politica e la società civile e in Cisgiordania e pretendere giustizia per il popolo palestinese, rispetto del diritto internazionale ed azione umanitaria.

18 Aprile 2025

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