La presidente di Emergency
Parla Rossella Miccio: “Vogliono fare tabula rasa del popolo di Gaza”
«È vergognoso ciò che l’Occidente lascia fare a Israele. L’Europa tace su questo e sugli altri 55 conflitti nel mondo, voleva rappresentare una possibilità diversa di società, ma ha abdicato al suo ruolo e si è appiattita sulla logica americana della predominanza del più forte»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli

In tempi di voluta “smemoratezza” e di ipocriti doppiopesismi, è cosa buona e giusta ricordarlo sempre: c’è chi disserta su guerre, tragedie umanitarie, comodamente seduto in uno studio televisivo e chi le guerre, le tragedie umanitarie le vive sul campo, cercando di salvare, ogni giorno, centinaia di vite umane. È il caso di Emergency, di cui Rossella Miccio è la Presidente nazionale. L’Ong fondata da Gino e Teresa Strada ha vissuto tutti i conflitti che hanno segnato gli ultimi quarant’anni. Sempre dalla parte delle tante e tanti che pagano il più alto tributo di sangue alle guerre: i civili.
La tragedia di Gaza, una mattanza senza fine, della quale Emergency è testimone sul campo. Cosa ci racconta l’inferno di Gaza?
Noi stiamo lavorando a Gaza ormai da più di 6 mesi e quello che stiamo vedendo in quest’ultima settimana, nello specifico da quando sono ripresi i bombardamenti d’Israele, è la totale mancanza di rispetto per la dignità umana. Il nostro team si trovava al Nasser Hospital quando l’ospedale è stato attaccato e colpito da un drone. Stavamo preparando un paziente da portare in sala operatoria: l’esplosione ha bloccato tutto, e quindi morti, feriti e impossibilità di tornare in quell’ospedale.
Oggi nella Striscia di Gaza non c’è più un luogo sicuro per nessuno, neanche per chi va a portare aiuto. Da quando sono ripresi i bombardamenti, non c’è più una zona umanitaria, come c’era prima del cessate-il-fuoco, non c’è più una procedura di deconfliction, che era quella che ci permetteva di avere qualche garanzia di sicurezza rispetto ai movimenti. L’intenzione sembra essere quella di fare tabula rasa di tutti quelli che sono a Gaza, gazawi e gli operatori internazionali che sono lì per aiutare la popolazione.
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Le cifre sono spaventose. I morti accertati hanno superato i 50mila, la maggioranza dei quali sono bambini, adolescenti, donne. Ed è un bilancio di morte e distruzione destinata a crescere. Tuttavia, l’Europa che si riarma per l’Ucraina, è silente rispetto ad una tragedia dalle dimensioni apocalittiche.
L’Europa è vergognosamente silente su Gaza come sulle altre 55 guerre che si stanno consumando nel mondo ed è doppiamente colpevole perché una grandissima parte delle armi che vengono usate in queste guerre sono armi di produzione europea, anche italiana. Le responsabilità dell’Europa sono tante. L’aver abdicato al proprio ruolo di potenza di pace – l’UE è stata insignita anche del Nobel per la Pace – che ha messo da parte da quando, allo scoppio della guerra in Ucraina, si è parlato soltanto di come aiutare militarmente l’Ucraina, di quante armi mandare e della loro tipologia. Tre anni dopo, non mi sembra che tutte le armi che abbiamo mandato abbiano sortito grandissimi effetti. Da lì si sono poi aperti tanti altri fronti di guerra che continuano a mietere vittime, Gaza in primis ma non solo. Tutto questo nell’ipocrisia, perché questa è la sensazione più forte soprattutto per chi. Come me, ha la possibilità e il privilegio di vedere tanti di questi contesti, di viverli, e la sensazione è proprio quella di una Europa ipocrita, che ha due pesi e due misure, per cui la vita degli ucraini ha un valore diverso da quello del popolo di Gaza, o del popolo yemenita, o di quello sudanese, o del popolo congolese e così via. Questo è un problema enorme, anche per il ruolo potenziale che l’Europa potrebbe e dovrebbe giocare nel mondo, soprattutto oggi che assistiamo alla debacle americana.
Una Europa che si riarma non concede e “regala” a Trump la pace?
Non so più che senso concreto abbiano oggi parole come pace, guerra…. Ormai abbiamo perso riferimenti importanti di contenuto rispetto a queste parole. Questo era un trend iniziato almeno venticinque-trent’anni fa, quando si parlava di missioni di pace per dire che si mandavano contingenti militari nei Paesi. Oggi il tema vero è che non esiste più una politica europea che abbia una visione del mondo che va costruita e aggregata intorno al concetto dei diritti, dell’uguaglianza e della giustizia. L’Europa si è appiattita sulle posizioni della predominanza del più forte, che poi è sempre stata la logica americana che Trump ha reso ancora più esplicita, diretta, assertiva, ma quella degli Stati Uniti è sempre stata una politica egemonica, basata sulla potenza, soprattutto militare. L’Europa, invece, per tanti anni si è proposta di rappresentare una possibilità diversa di società, dello stare insieme, ma oggi sta abdicando a questo ruolo, seguendo la folle via del se vuoi la pace, prepara la guerra, che in un contesto come quello attuale, dove viviamo il rischio nucleare, un rischio effettivo e incombente per tutti, è assolutamente illogica oltreché immorale.
Tutti o quasi invocano l’Europa e si professano europeisti. C’è chi su questo ha organizzato anche manifestazioni, come quella recente di Piazza del popolo a Roma. Ma una Europa che non si declina nei suoi contenuti e si sostanzia nelle sue pratiche, non resta una parola, Europa, appesa al nulla?
Questo è stato il motivo sostanziale per cui Emergency ha deciso di non aderire alla manifestazione di Piazza del popolo, perché ci sembravano un po’ troppo ambigui e vaghi i contenuti rispetto a quale Europa vogliamo. Purtroppo, quella che vediamo oggi è una Europa che va in una direzione totalmente opposta a quella che ci aspetteremmo noi. È una Europa che fa saltare tutte le regole di bilancio per riarmarsi. È una Europa che rinuncia al proprio ruolo diplomatico. È una Europa che alza muri e parla di centri di detenzione in Paesi terzi per i migranti. È una Europa che rinnega il Green Deal. È una Europa irriconoscibile e inaccettabile per chi la considerava un esperimento politico basato su valori diversi, la giustizia sociale, la pace, la democrazia, l’uguaglianza, il rispetto dei diritti umani. Emergency è decisamente a sostegno di una Europa forte, a patto che Europa forte significhi una Europa che torni a difendere questi valori, con le “armi” della diplomazia e dei diritti e non con quelle prodotte dall’industria bellica.
In precedenza, lei ha fatto riferimento a Yemen, Sudan, Congo, a conflitti e tragedie umanitarie che durano da decenni. Non c’è da vergognarsi nel derubricare tutti questi scenari a “conflitti dimenticati”?
Assolutamente sì. Non sono dimenticati. Sono intenzionalmente ignorati. Questa cosa è gravissima. Non ci rendiamo conto di quanto invece siamo legati gli uni agli altri. Io trovo davvero anacronistico che si continui a parlare degli interessi di una parte di mondo: gli interessi europei antitetici a quelli russi, quelli americani antitetici a quelli europei…Così non andiamo da nessuna parte. Questa continua frammentazione in un mondo globale – ce l’ha insegnato il Covid, in primis – non ci porta in nessuna parte. Manca una visione globale, anche delle proprie responsabilità, e noi come Europa ne abbiamo tantissime, per costruire un futuro condiviso, per tutti noi, per noi europei come per gli africani, gli asiatici, per gli americani. O riusciamo a fare questo salto, oppure non andremo incontro a un futuro molto brillante.
Chi lavora per Emergency, come per altre importanti Ong, ogni giorno ha di fronte ai propri occhi la tragedia più grande di ogni guerra: il dolore, la sofferenza delle popolazioni civili. Le chiedo: come riescono i vostri operatori a guardare negli occhi questi bambini, queste donne senza provare non solo, come avviene, empatia, ma anche un po’ di vergogna come europei, come “occidentali”?
È sempre più difficile guardare in faccia le persone che la guerra la subiscono quotidianamente, e spiegare loro perché la stanno subendo. Come operatori di Emergency siamo in una posizione un po’ privilegiata, perché riusciamo ancora, anche se con sempre maggiori difficoltà, a fare un pezzettino costruttivo, di aiuto, che prova a restituire dignità a queste persone attraverso il diritto alla cura. Ma è vero che ormai questi doppi standard di cui parlavo prima, sono evidenti a tutti. È vergognoso e inaccettabile ciò che l’Occidente sta permettendo a Israele di fare a Gaza, in spregio di ogni norma del diritto internazionale e umanitario. Qualsiasi violazione dei diritti umani, qualsiasi violenza contro la popolazione civile resta impunita. E questo finisce per creare anche a noi problemi, perché rispetto a queste persone questo atteggiamento complice dell’Occidente, dell’Europa, ti fa passare dalla parte del torto. Ti chiedono perché non dite niente, perché non fate niente, perché non li fermate. Noi la risposta non ce l’abbiamo. L’unica che possiamo dare è che da parte nostra continueremo ad impegnarci per garantire il diritto alla cura e allo stesso tempo anche per raccontare quello che vediamo e denunciare queste atroci azioni, facendo un po’ da pungolo alla politica, che ha poi la responsabilità di prendere decisioni. Ma questa politica globale pare alquanto sorda a queste sollecitazioni.
Continuare a salvare vite umane, Emergency continua a farlo anche nel “Mare della morte”: il Mediterraneo.
La settimana scorsa con la Life Support, la nostra nave, abbiamo accompagnato a La Spezia, dopo quattro giorni dal salvataggio, un porto “comodissimo”, 37 persone, quasi tutti tranne una famiglia di tunisini, erano sudanesi. Persone fuggite dalla guerra. Erano scappati dal Paese da più di un anno, avevano attraversato il deserto, i campi della Libia, torture, abusi… Queste sono le persone che l’Europa, l’Italia fanno finta di non vedere, la cui gestione demandano a Paesi dove i diritti umani non sono rispettati, in primis la Libia ma adesso anche la Tunisia, con una deresponsabilizzazione totale, nonostante ci siano decine e decine di documentati rapporti, anche di commissioni e agenzie Nazioni Unite, che certifichino al violazione sistematica, brutale, dei diritti umani in questi Paesi e la connivenza delle istituzioni europee rispetto a queste violazioni. Una responsabilità enorme che la politica non accetta, lasciando alla società civile l’onere di mettere una “toppa”. Ma noi sappiamo bene che è soltanto una toppa e non la soluzione. Una toppa, peraltro, sempre più difficile da mettere, se consideriamo anche che in questo contesto, dove si alzano muri e si pensa di spendere 800 miliardi per il riarmo, si tagliano gli aiuti umanitari e quelli allo sviluppo. Lo ha fatto Trump, lo sta facendo l’Inghilterra, e tanti altri Paesi europei, anche il governo italiano. Per usare una metafora bellicista, abbiamo “armi” sempre più spuntate.