Parola al professore

“Russofobia, razzismo e paura di passare per antisemiti: perché Gaza conta meno di Kiev”, parla Donald Sassoon

«Ecco spiegato il doppio standard dell’Europa, ma va detto che l’opinione pubblica europea è sempre meno filoisraeliana e sempre più antiamericana. Trump? Sintomo morboso, ha sconvolto il mondo ed è imprevedibile»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

17 Aprile 2025 alle 08:00

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“Russofobia, razzismo e paura di passare per antisemiti: perché Gaza conta meno di Kiev”, parla Donald Sassoon

Donald Trump, “sintomo morboso” di una crisi globale. L’Unità ne discute con uno dei più autorevoli storici inglesi e della sinistra europea: il professor Donald Sassoon, allievo di Eric J. Hobsbawm, professore emerito di Storia europea comparata presso il Queen Mary College di Londra, autore di numerosi libri di successo.

Sintomi morbosi. Nella storia di ieri i segnali della crisi di oggi. È il titolo di un suo libro molto interessante e di stringente attualità. Professor Sassoon, Donald Trump è oggi qualcosa di ancor più grave di un “sintomo morboso”?
Certamente è un sintomo morboso, ma è anche un sintomo del declino degli Stati Uniti; declino che peraltro era stato previsto da parecchi anni da molti scienziati della politica. Sì, Trump è un sintomo morboso in una realtà planetaria che sta cambiando enormemente e con impressionante rapidità. E questo dovrebbe spingere i leaders mondiali a porsi una domanda…

Quale?
Cosa facciamo con Donald Trump? Cerchiamo di irritarlo, cerchiamo di denunciarlo oppure cerchiamo di contenerlo, di calmarlo? La strategia scelta dal Primo ministro britannico Jack Starmer è quella di cercare di calmarlo. Qualcuno a Downing Street, secondo rumors di stampa, avrebbe detto: Don’t poke the bear, non dare fastidio alla bestia. Ma non tutti sono di questo avviso. Altri hanno scelto una via opposta…

Chi, professor Sassoon?
Beh, ad esempio il premier canadese Mark Carney è diventato molto bellicoso nei confronti degli Stati Uniti e per questa sua posizione è probabile che vinca le elezioni, mentre qualche settimana fa era dato per sconfitto. Un altro che si è messo in una posizione belligerante nei confronti di Trump è Friedrich Merz, il nuovo cancelliere tedesco che in passato era stato un convinto filoamericano. Quello che Trump ha fatto è stato sconvolgere il mondo e insistere sulla sua imprevedibilità.

Per restare al titolo del suo libro. Non crede che il più morboso tra i sintomi dell’oggi sia che all’invocato, evocato, ma mai realizzato, nuovo ordine mondiale multilaterale e democratico, si stia sempre di più sostituendo il “patto tra autocrati”? Trump, Putin, Erdogan, Netanyahu…
Non credo che tra quelli che lei ha citato vi sia un “patto”. Ad esempio, Erdogan e Netanyahu non sono certo amici che vanno d’amore e d’accordo. Il governo iraniano non va a braccetto con quello degli Stati Uniti. Vi possono essere convergenze tattiche, che variano di volta in volta, stabilendo così uno schema variabile di alleanze, ma parlare di “patto” è altra cosa. Significa ritenere che tra i vari attori internazionali esista non dico una visione comune delle relazioni internazionali e di una governance mondiale, ma quantomeno un accettato equilibrio per quanto precario. Semmai è vero il contrario. Il sintomo morboso è che mentre un tempo c’era un patto, quello sì, tra Stati Uniti e Unione Sovietica, cioè quello di avere sfere d’influenza ben definite, oggi tutto questo non c’è più. Il post-Guerra Fredda non è un mondo in cui si ristabilisce un ordine mondiale ma è un mondo in cui regna il caos, il disordine mondiale. Ed è questa, a mio avviso, la preoccupazione maggiore.

Riferendosi a Trump e alla guerra dei dazi scatenata anche nei confronti dell’Europa, c’è chi sostiene che in fondo il tycoon un “merito” ce l’ha, ed è quello di aver evidenziato la fine dell’Occidente.
Se la fine dell’Occidente viene considerata un merito, sarebbe la prima volta che questo viene addebitato agli Stati Uniti. In una conversazione tra amici a cena, ho suggerito che in fondo è il più grande leader anticapitalista mondiale che ci sia mai stato. Ha dato dei colpi spaventosi al sistema capitalista mondiale, suscitando una inquietudine enorme sia tra i grandi capitalisti americani che gli fanno la corte per evitare il peggio, sia tra chi, come il presidente della Cina Xi Jinping. Il quale è anche il leader del Partito comunista cinese, che di comunista ormai da tempo ha solo il nome. In realtà la Cina ambirebbe ad un tranquillo ordine mondiale, perché in un siffatto ordine la Cina non potrebbe che prosperare.

Fino a qui abbiamo parlato di leadership, ma una riflessione ponderata andrebbe fatta anche sulle opinioni pubbliche e sulla percezione che esse hanno di ciò che sta avvenendo. Un esempio: oggi vi sono due conflitti nel mondo, non i soli ma di certo quelli che attirano maggiore interesse: la guerra in Ucraina e il conflitto in Palestina. Perché, le chiedo, in Europa c’è una discrepanza, almeno nelle leadership politiche e di governo, tra i due conflitti?
C’è una enorme discrepanza. Quando gli aerei di Putin distruggono e ammazzano gente in Ucraina si solleva una furia, giustificata, dei Paesi europei e dell’Occidente, ma quando in una settimana Israele ammazza un migliaio di palestinesi, una parte non piccola donne, bambini, ragazzi, non si leva per nulla un urlo di rabbia, di dolore, di giustificata, sacrosanta indignazione. Questo doppio standard i può spiegare in vari modi…

Quali?
Da una parte la russofobia e dall’altro il timore di essere tacciati di antisemitismo. A ciò aggiungerei un elemento di razzismo, per cui i palestinesi contano meno degli ucraini europei. C’è un po’ di tutto questo. Ma questi doppi standard non solo politici ma umani, sono cosa vecchia. Già nella guerra in Vietnam si parlava sempre di più di quanti americani venivano uccisi che di quanti vietnamiti morivano. Bisogna aggiungere, però, che l’opinione pubblica in Europa è sempre meno filoisraeliana. E questo vale anche per gli Stati Uniti. Israele che veniva visto come il baluardo dell’Europa e dell’Occidente in Medio Oriente, oggi non lo è più. Perfino tra i giovani ebrei americani c’è un aumento significativo della critica verso Israele. Un’altra cosa importante da rimarcare è l’aumento dell’antiamericanismo in Europa. Non c’è quasi nessuno a difendere Donald Trump.

Tra coloro che sembrano volersi ritagliare un ruolo da protagonista sullo scenario internazionale, c’è il premier britannico Jack Starmer, impegnato nel definire, sull’Ucraina e non solo, un asse con Macron.
Il calcolo britannico era che una volta fuori dall’Unione Europea, bisognava coltivare la cosiddetta relationship con gli Stati Uniti. L’arrivo di Trump, soprattutto alla luce delle bizzarrie dell’ultimo mese, ha messo in crisi questa visione, cosicché l’unica alternativa per Starmer era di cercare di mostrare che almeno un amico in Europa il Regno Unito ce l’ha: l’amico dell’Eliseo. Un amico che non gode peraltro di un’ottima salute politica, Macron è in enorme difficoltà interna. Non ha neanche una maggioranza all’ Assemblée nationale. E ha inanellato una serie impressionante di errori politici. Quanto a Starmer, quando mi si chiede quale sia la sua posizione, bisogna grattarsi la testa e dire non sono sicuro che lo sappia neanche lui. La critica che si fa più spesso in Inghilterra a Starmer è che non riesce a prendere una posizione chiara. Non solo manca di carisma, ma questo era noto da tempo, ma ciò che è sempre più evidente è che non riesce a definire una linea politica chiara. Va anche detto che la situazione attuale in Gran Bretagna rende molto difficile definire una linea politica. Dopotutto, abbiamo avuto un bel po’ di primi ministri negli ultimi cinque anni, una “corte dei miracoli” tra il ridicolo e l’incapace.

Composta da chi?
Piange il cuore ricordarli. Ma facciamoci del male nel riportarli alla memoria. C’è David Cameron, che ha fatto l’errore colossale, imperdonabile, d’indire un referendum sull’Unione Europea che ha perso. A lui è succeduta Theresa May, completamente dimenticata. Avendo perso la maggioranza in Parlamento, fu sostituita al 10 di Downing Street da Boris Johnson, il buffone del secolo. Dopo di lui, è il turno di Liz Truss, il Primo ministro che è durato di meno nella storia britannica, 45 giorni, un disastro completo. Adesso c’è Starmer. Questo spiega anche un po’ il declino della Gran Bretagna, dove in questo momento si cerca di salvare i rimasugli delle acciaierie che sono comunque proprietà di compagnie cinesi. Si sta cercando di salvare anche il sistema sanitario nazionale, in grave crisi. C’è poi l’emergenza carceri, affollate da troppe persone. E la polizia accusata regolarmente di razzismo.
Insomma, è un Paese con guai molto, molto grossi.

Professor Sassoon, da storico della sinistra europea: esiste ancora una sinistra in Europa?
Non vorrei essere troppo brutale, ma non mi sembra che esista. Il Partito socialista francese è pressoché sparito, quello comunista lo è da tempo. La socialdemocrazia tedesca, l’Spd, ha meno consensi della AfD, il partito di estrema destra dall’impronta filonazista. In Italia, lo sapete meglio di me…Nei Paesi scandinavi, che erano un po’ l’orgoglio, il fiore all’occhiello della sinistra europea, le cose stanno abbastanza male. E qui in Gran Bretagna ha sì vinto il Labour party, ma ha vinto perché abbiamo un sistema elettorale molto bizzarro e che se funziona relativamente bene quando ci sono solo due partiti, così non è quando di partiti ce ne sono cinque.
Per dire: il povero Corbyn è stato stracciato dalle elezioni del 2019 ma aveva avuto un po’ più di voti di quelli ottenute dal suo successore alla guida dei laburisti, alle ultime elezioni. Eppure, Starmer ha avuto la più grossa maggioranza per il Labour party dalla fine della Seconda guerra mondiale. Questo perché voti e seggi sono distribuiti in un certo modo, soprattutto per via della crescita di Reform Uk , il partito d’estrema destra di Nigel Farage. Anche qui la sinistra potrebbe perdere in modo drammatico, e poi dire che il Labour party in questo momento sia di sinistra, ce ne vuole.

17 Aprile 2025

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