Al vertice al Cairo
Gaza, il piano arabo per il futuro della Striscia è una risposta a Trump: “I palestinesi resteranno nella loro terra”
La Lega Araba dopo il delirante video del Presidente USA che vuole l'espulsione del popolo e la ricostruzione nello stile di una "Riviera del Medio Oriente", un po' Emirati un po’ Sharm. Le tre fasi e il ritorno dell'Autorità Palestinese
Esteri - di Antonio Lamorte

Controllo all’Autorità Palestinese, messa in sicurezza della popolazione, ricostruzione. Dopo il delirante video pubblicato sui social da Donald Trump, in cui compariva una Striscia di Gaza un po’ Emirati Arabi un po’ Sharm El-Sheikh, con mazzette di dollari che cadevano dal cielo su un sorridente Elon Musk e apertivi a bordo piscina del Trump Gaza Hotel con il Presidente degli Stati Uniti e Benjamin Netanyahu sulle sdraio, ecco la risposta dei Paesi arabi per il futuro del territorio martirizzato dalla guerra. Alla proposta hanno lavorato Egitto, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, è stata approvata nella sessione di chiusura del vertice della Lega Araba al Cairo. Prevede operazioni per cinque anni, dal 2025 al 2030, e un investimento molto cospicuo. I contenuti del piano sono stati resi noti da alcune agenzie di stampa che hanno visto in anteprima le bozze.
Ad annunciare il piano è stato il Presidente dell’Egitto Abdel Fattah al Sisi, alla fine della riunione con gli altri capi di governo, cha ha spiegato come il progetto prevede che il popolo palestinese resti “nella sua terra”. “Ogni malefico tentativo di espellere i palestinesi o di annettere qualsiasi porzione dei territori palestinesi occupati porterebbe a nuove fasi della guerra, minerebbe le opportunità di stabilità, estenderebbe il conflitto in altri Paesi della regione e rappresenterebbe una chiara minaccia per la pace in Medio Oriente”, si legge in un passaggio della bozza che sembra essere in molte parti una risposta esplicita al piano di Trump.
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Il piano arabo per Gaza in tre fasi
Il controllo della Striscia di Gaza dovrebbe passare da Hamas – l’organizzazione islamista che ha vinto le elezioni nel 2006 e che dal 2007 governa incontrastatamente, che ha organizzato gli attacchi del 7 ottobre 2023 nel sud di Israele innescando la nuova guerra – all’Autorità Palestinese, riconosciuta a livello internazionale, già al governo in Cisgiordania. Il passaggio affronterà un intermezzo di sei mesi in cui a gestire le operazioni sarebbe un comitato di tecnici indipendenti. “Questa commissione sarà responsabile della supervisione degli aiuti e dell’amministrazione del territorio in questa fase complessa, in vista del ritorno dell’Autorità Palestinese a Gaza”. Il Presidente Abu Mazen si è detto pronto alle elezioni entro l’anno prossimo.
Successivamente il piano prevedrebbe diverse fasi. La prima: quella in cui sarà messa in sicurezza la popolazione che vive ancora nella Striscia. Sminamento, rimozione degli ordigni inesplosi, allestimento di soluzioni abitative temporanee. La seconda: quella della ricostruzione di case e infrastrutture distrutte nell’operazione via terra e via aerea dell’esercito dello Stato Ebraico. Il sindaco di Gaza City, Yahya Sarraj, in un’intervista a RSI – Radiotelevisione svizzera di lingua italiana, ha raccontato che la distruzione è di circa l’80%.
I palestinesi non vogliono lasciare la Striscia di Gaza
“Le istituzioni sanitarie e gli ospedali sono stati attaccati senza motivo durante questa guerra”, ha spiegato il sindaco nella video-call. “Molti ospedali sono fuori servizio: il ministero della sanità sta cercando di riabilitare ospedali e centri sanitari per poterli usare. Ma non hanno materiali per la ricostruzione né attrezzature. E soprattutto non hanno abbastanza personale per operare queste strutture: i bisogni sono davvero grandi”. Secondo uno studio della rivista britannica The Lancet, le vittime sarebbero il 40% in più rispetto ai dati forniti dal ministero della Salute di Hamas, tra 55.298 e i 78.525
Secondo il sindaco i palestinesi della Striscia non hanno intenzione di lasciare la loro terra. La proposta arriva alla fine della prima fase di tregua nella Striscia tra Hamas e Israele, alla vigilia della seconda che prevedrebbe tra le condizioni il ritiro totale dell’esercito israeliano dalla Striscia. L’accordo non ha impedito all’esercito israeliano di condurre “operazioni antiterrorismo” in Cisgiordania sotto il nome dell’operazione “Muro di Ferro”. Dopo vent’anni i carri armati sono tornati nel campo profughi palestinese di Jenin, ieri tre palestinesi sono stati uccisi. La proposta è stata accolta bene da Hamas, anche il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha dichiarato di sostenere il piano arabo. Israele ha invece respinto il piano, che non condanna gli attacchi del 7 ottobre. Improbabile la firma.