L'europarlamentare Pd

“Dal piano Ursula ai rapporti col Trump: Meloni è nel panico”, parla Camilla Laureti

«Si dimostra antieuropeista e incapace di fare i conti con la storia. In realtà la premier è in difficoltà. La nostra idea di Europa invece è proprio quella del Manifesto di Ventotene: federalista, unita, che sa parlare con una voce sola, anche nella politica estera e di difesa»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

21 Marzo 2025 alle 17:00

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Photo credits: Alexis Haulot/Imagoeconomica
Photo credits: Alexis Haulot/Imagoeconomica

Camilla Laureti, europarlamentare PD, eletta prima Vicepresidente del gruppo dei Socialisti e Democratici all’Eurocamera: La presidente Meloni ha attaccato il Manifesto di Ventotene dicendo che non esprime la sua idea di Europa. Come ha letto queste dichiarazioni?
Un attacco volgare con cui Meloni dimostra di essere antieuropeista e incapace di fare i conti con la storia. Spinelli, Colorni, Rossi, Hirschmann: padri e madri dell’Europa che, resistendo al regime fascista, diedero, all’umanità sconvolta dalle guerre figlie dei nazionalismi, una prospettiva di pace fra popoli europei. La verità è che la premier è in grave difficoltà: guida una maggioranza con tre posizioni diverse sul piano von der Leyen e sulla difesa, che infatti sono scomparsi dalla sua risoluzione presentata al Parlamento, e la Lega l’ha sconfessata pubblicamente. Inoltre, l’idea di farsi pontiera fra Europa e Usa è naufragata di fronte agli interessi di Trump di disgregare l’Ue: strano concetto di patriota quello incarnato da Meloni. Comunque la nostra idea di Europa, al contrario della destra, è invece proprio quella del Manifesto: federalista, unita, capace di parlare con una voce sola, anche nella politica estera e di difesa, che devono essere veramente comuni. Direi che si tratta di un’idea non solo nostra, visto anche il successo di ascolti per Il sogno di Roberto Benigni…

Lasciando perdere letture politiciste e presunte rese dei conti interne, è possibile affermare che Il Libro Bianco sulla Difesa di von der Leyen non ha nulla a che fare con l’idea di una difesa comune europea?
Ci siamo astenuti sulla risoluzione sul futuro della difesa europea, che pure abbiamo cercato di migliorare con i nostri emendamenti, per una ragione chiara. Pur avendo aspetti condivisibili, la risoluzione presentava un richiamo diretto e esplicito al riarmo dei singoli stati, come previsto nel Piano ReArm Eu presentato da von der Leyen. E per noi questo è un errore strategico molto grave: si rischia infatti di allontanare la nascita di una vera difesa comune europea, che è ben altra cosa dalla corsa al riempire gli arsenali degli eserciti nazionali di 27 paesi. Questa non è deterrenza. Noi pensiamo che la deterrenza o è veramente europea o non è.

Spieghi meglio.
Abbiamo bisogno di vedere l’Ue compiere subito un salto di qualità nella difesa comune. Questo vuol dire finanziare progetti comuni con investimenti comuni nell’industria europea, spingere sull’autonomia energetica europea, rafforzare il coordinamento dei sistemi e dei comandi, investire nella ricerca e penso al settore dell’aerospazio, anche rispetto a quanto sta accadendo con Starlink. Per questo consideriamo il ReArm Eu una strada sbagliata. Quel piano va cambiato perché all’Ue serve appunto una svolta di integrazione politica e di investimenti comuni: per un piano industriale, sociale, ambientale, digitale e anche per la difesa comune. E poi c’è un altro aspetto preoccupante del ReArm Eu.

Quale?
Nel piano la corsa al riarmo dei singoli Stati nazionali potrà avvenire anche attraverso l’uso dei fondi del PNRR e di quelli per la coesione. Ed invece per noi è prioritario che quei finanziamenti vadano investiti per superare le gravi disuguaglianze che ancora esistono tra i territori europei: disuguaglianze che pesano sulle spalle dei cittadini, che ne contraggono i diritti, che limitano la cittadinanza europea.

“La UE deve riarmarsi, finite le illusioni. Momento della pace attraverso la forza”. Così la presidente della Commissione Europea. È questa l’Europa per cui battersi?
L’Europa per cui battersi è quella per cui sono scese in piazza tante, tantissime persone il 15 marzo. È l’Europa che ha consentito quasi ottant’anni di pace, nata sulle ceneri delle guerre mondiali e della foga distruttiva dei nazionalismi. L’Europa che deve difendere lo stato di diritto, la democrazia, i valori della libertà, il principio del multilateralismo. A nessuno di noi sfugge lo sconvolgimento degli equilibri geopolitici globali: prima l’invasione criminale di Putin ai danni dell’Ucraina, poi il cambio di sguardo degli Usa verso l’Ue con l’avvento di Trump. E vede è proprio questo contesto che dice che è essenziale accelerare sulla difesa comune. Un obiettivo che, fin dalla campagna elettorale, è stato ed è per noi prioritario, insieme a quello della nascita di una vera politica estera europea e della spinta al processo di integrazione.

I valori dell’Europa si difendono in Ucraina. E in Palestina?
La rottura del cessate il fuoco a Gaza è gravissima e la situazione è di nuovo drammatica. In Palestina è stata evidente tutta la debolezza dell’Europa, la voce dell’Ue è mancata. Proprio a questo serve la politica estera e di difesa comune: a rilanciare anche il ruolo diplomatico dell’Unione, a dare forza alla sua voce. In Palestina, pensiamo a Gaza – ma guardo con preoccupazione anche alla situazione della Cisgiordania – stiamo assistendo da troppo tempo ad una guerra che risponde ad un progetto preciso di Netanyahu, su cui pende un mandato d’arresto per crimini di guerra e crimini contro l’umanità da parte della Corte penale internazionale. Un quadro che è reso ancora più devastante dalle dichiarazioni e dalle intenzioni di Trump: quella Riviera del Medioriente che significa, in concreto, pulizia etnica. Per Gaza e la Palestina noi vogliamo una pace giusta, fondata sul rispetto del diritto internazionale e non la svendita della dignità e della autodeterminazione di un popolo. La soluzione è sempre due popoli, due stati: oggi sembra impossibile, ma deve essere quello l’obiettivo.

Elly Schlein sotto attacco. C’è chi chiede un congresso straordinario, mentre la stampa mainstream accusa la segretaria Dem di “velleitarismo pacifista”.
L’accusa di velleitarismo pacifista penso sia una caricatura di temi complessi che necessitano di posizioni altrettanto complesse. C’è bisogno, insomma, di un dibattito che sia all’altezza, come c’è stato anche su parte della stampa. Voglio stare ai dati di realtà. La nostra segretaria Elly Schlein ha detto chiaramente che la pace deve essere l’obiettivo. Una pace giusta fondata sul diritto, come dicevo prima. Al tempo stesso ci siamo espressi a favore della difesa comune e non del vicolo cieco del riarmo nazionale. Dove sarebbe, quindi, il velleitarismo? Nel dire che se riarmi i singoli Stati non fai un primo passo per la difesa comune, ma al contrario la allontani? Nel dire, e non da oggi, che non possiamo accettare il ripiegamento su un’economia di guerra?

Altro tema delicato e complicato, per usare le sue espressioni, è l’immigrazione. Cosa pensa del nuovo regolamento europeo sui rimpatri?
Il piano proposto dalla Commissione è sbagliato. Si formalizza l’esternalizzazione delle frontiere nei meccanismi di rimpatrio, senza garanzie sul rispetto dei diritti umani e senza la certezza di poter contare sugli accordi con i paesi di provenienza necessari per realizzarli. Abbiamo già visto cosa significhino gli hub di ritorno in paesi extra Ue come la Libia: torture, stupri, violenze di ogni genere. Evitiamo di esporre, un’altra volta, le persone che migrano, in condizioni drammatiche, a trattamenti indegni nell’Europa dei diritti.

Quindi l’Europa fino ad ora su questo tema ha fallito?
Faccio mie le parole della collega e amica Cecilia Strada quando dice che sentiamo affermare spesso che l’approccio dell’Ue su questo fenomeno deve essere “fermo e giusto”, ma che per ora abbiamo visto solo la parte “ferma” e non quella “giusta”. Questo è accaduto anche con il Patto, approvato nella scorsa legislatura e su cui abbiamo espresso la nostra contrarietà. Un Patto che non supera affatto il “sistema Dublino”, continuando a lasciar soli i paesi di primo approdo come il nostro, con un prezzo altissimo anche sul piano del rispetto dei diritti delle persone, bambini compresi. Noi chiedevamo e chiediamo condivisione europea, perché chi sbarca in Italia, sbarca nell’Ue. E sbarcare nell’Ue vuol dire certezza dei diritti. Su questo non c’è interesse nazionale – anzi direi egoismo nazionale – che possa farci compiere passi indietro. Significherebbe mettere in discussione il DNA dell’Europa, ma soprattutto dell’Europa che vogliamo costruire sulla scia dello spirito di Ventotene.

Lei si occupa di agricoltura. Vede una frenata sul fronte, anch’esso caldo, del Green Deal?
Il problema principale del mondo agricolo è quello del giusto reddito. Il salario medio degli agricoltori è del 40% più basso di altri settori: acquistano in euro e vendono in centesimi. A questo fatto va data una risposta. Su un piano più generale dobbiamo partire da un dato cruciale. Gli agricoltori sono i primi a pagare il cambiamento climatico, i primi custodi del territorio e dell’ambiente, i primi a sapere che la conversione è necessaria. Dobbiamo accompagnarli e sostenerli in questo passaggio, questo il punto. In questo senso la “Visione” sull’agricoltura recentemente presentata dalla Commissione indica nel reddito una priorità e lo stesso fa per temi quali le aree interne rurali e le filiere corte. Questo, per noi, è un punto di partenza positivo: chiediamo però di più.

Cosa chiedete?
Innanzitutto, far arrivare i fondi della Pac ai piccoli e medi produttori, perché anche gli ultimi dati Agea ci dicono che in Italia il 74% dei fondi va alle aziende con più di 15 ettari. Poi è essenziale mantenere la condizionalità ambientale e sociale, cioè premiare chi investe in agricoltura sostenibile attraverso l’innovazione tecnologico-scientifica e garantendo i diritti di chi lavora. Accanto a questo – ed è un po’ la mia ossessione va assicurato sempre maggior protagonismo a giovani e donne che operano in agricoltura. Solo il 12% delle aziende agricole italiane è gestito da donne; solo il 3% delle aziende under 40 è guidato da donne. È un danno molto significativo: perché gli studi dicono che sono loro a garantire maggiore sostenibilità ambientale, produzione biologica, multifunzionalità con agriasilo e agriturismi. Il punto dirimente è che la transizione è necessaria ma gli agricoltori vanno accompagnai in questo cambiamento epocale.

Vista da Strasburgo esiste ancora una sinistra europea?
Sicuramente sì. C’è grande consapevolezza nel Partito socialista europea del fatto che i valori della sinistra – diritti sociali e civili, ambiente, europeismo, lotta alle diseguaglianze ed alle discriminazioni – sono oggi più che mai in gioco. Lo vediamo ogni giorno, lo viviamo ogni giorno. Sono valori profondi, che vivono nel cuore di milioni di europei e europee, e il nostro impegno è dare loro una voce forte, una rappresentanza che non abbia esitazioni nel proteggerli e nel rafforzarli. Certamente ci sono sensibilità diverse, “case” diverse che ospitano e rappresentano questi valori e queste esigenze. Per questo l’obiettivo deve essere dialogare e cercare l’intesa, dove possibile, con la massima determinazione possibile. Semplicemente perché proprio oggi dobbiamo essere sempre più forti e attenti. Perché la destra che avanza e che mette in discussione questi valori fa paura. E adesso lo possiamo dire avendo iniziato a sperimentarne il suo potenziale distruttivo.

21 Marzo 2025

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