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Intervista a Roberto Morassut: “Insulti ai patrioti di Ventotene? Meloni dalla parte dei fascisti che li perseguitarono”

"Il Manifesto di Ventotene è la base morale e culturale fondamentale dell’Unione Europea, Meloni ha voluto provocare l'opposizione"

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

20 Marzo 2025 alle 09:00

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Photo credits: Sara Minelli/Imagoeconomica
Photo credits: Sara Minelli/Imagoeconomica

Roberto Morassut, parlamentare e membro delle Direzione nazionale del Partito Democratico, Vicepresidente della Fondazione Giacomo Matteotti. “La UE deve riarmarsi, finite le illusioni. Momento della pace attraverso la forza”. Così la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. È questa l’Europa per la quale scendere in piazza?
A Bruxelles mi sarei astenuto. Perché Ursula ha introdotto male tutta questa discussione sulla difesa comune che è molto più profonda di un programma di “riarmo”. Una parola sbagliata che traduce in termini meramente quantitativi e moralmente inaccettabili il problema della costruzione di un sistema difensivo comune dell’Unione, in un mondo fatto di imperi agguerriti, che vedono l’Europa come una minaccia a causa del suo modello sociale, per la ricerca di un modello industriale sostenibile che è quello del futuro; un modello che contrasta le linee di competizione geopolitica che queste potenze vorrebbero perseguire nell’ottica di un mondo ancora basato sostanzialmente sulle energie fossili, a partire dallo sfruttamento delle risorse liberate dallo scioglimento dei ghiacci polari in Artico e forse in futuro anche nell’Antartico. Purtroppo, Ursula von der Leyen ha ribadito questa posizione nel discorso ai cadetti danesi, in un contesto già gravato dalle minacce americane sulla Groenlandia.

Quindi quale alternativa alla linea di Ursula?
Sarebbe un errore scadere, nei fatti, in una contrapposizione tra pacifisti assoluti e riarmisti ad oltranza. La costruzione di una difesa comune ha dei costi, è innegabile. Costi che in una politica di scala possono essere razionalizzati. Servono investimenti in nuove tecnologie e per la modernizzazione dei sistemi difensivi europei oggi frammentati e in buona parte obsoleti perché dipendenti dalla primazia americana, nel campo del controllo satellitare, della missilistica, dell’aeronautica, delle forze di terra. La diplomazia senza un’adeguata deterrenza militare non basta, e viceversa. La democrazia non deve apparire come un vaso di coccio ma come un protagonista globale che è in grado di difendersi e anche di sviluppare un’egemonia morale e civile in tutto il mondo. E per fare questo non bastano gli appelli. Quindi la difesa comune, la forza diplomatica, la politica estera e lo sviluppo del modello sociale europeo devono andare avanti tutte insieme come motori dell’unità europea. Nel Manifesto di Ventotene, Ernesto Rossi lo scrive con grande chiarezza.

Come si fa a mettere insieme spesa sociale e spesa militare? Tutti si dicono europeisti ma senza riempire di contenuti e visione. Europa e europeismo non sono riferimenti equivoci e ancor più generici?
Qui c’è il ruolo dei socialisti europei e del Pd che ne è la forza più importante. Sono convinto che da questo passaggio storico l’Europa non possa uscirne se non con un grande programma economico e sociale di natura socialista e riformista e che questa sia la strada obbligata non solo per far fare all’Europa passi in avanti ma per battere le destre nazionaliste che sono subalterne alle potenze autocratiche come la Russia o gli Usa presieduti da Trump e che non hanno una politica economica in grado di dare una risposta al crescere delle ingiustizie sociali. Costruire uno Stato nuovo comporta la frantumazione delle rendite e delle aristocrazie precedenti che rappresentano un fardello insostenibile. Tutti gli Stati che si sono costituiti, nel corso dei secoli, superando precedenti fasi più chiuse o ristrette, al fine di rafforzare determinate aree geopolitiche nel frattempo fermatesi hanno avuto la necessita di un sistema fiscale meglio organizzato e più redditizio per il nuovo ordinamento, anche se non sempre più giusto. Questo è un altro importante nodo, perché se si vuole promuove una grande e nuova fase di Next Generation EU e insieme costruire una difesa comune le risorse vanno prese dove già si sono depositate in grande abbondanza e dove sono tesaurizzate per tutelare il futuro di quote ristrettissime di popolazione. Una politica fiscale comune che può iniziare anche a livello nazionale. Per questo, dico sempre, non c’è alcuno scandalo che anche in Italia si inizi con misure patrimoniali sulle grandi rendite.

Che valutazione dà del discorso di Meloni alle Camere in vista del Consiglio europeo?
Meloni si è presentata con un rapporto gravemente inadeguato alle sfide sia sul tema della competitività e dell’energia, che sul tema dei dazi e della difesa comune. Non esiste una politica energetica né una politica economica e industriale finalizzata a una maggiore competitività se non nel quadro indicato da Draghi, un quadro coordinato e unitario. La destra insiste sulla linea di una azione che vede l’Europa come un mero coordinamento delle politiche nazionali. La polemica ormai consumata contro gli euroburocrati nasconde questo: ogni Stato nazionale adotti le sue misure e poi ci sia un coordinamento a livello europeo dettato dalla “politica”. Sono parole vuote, retorica senza alcuna prospettiva e che mette l’Italia a rischio perché mai potremmo farcela in un contesto dominato dagli Stati nazionali e senza una struttura politica e istituzionale forte che tocchi i nodi dell’indirizzo economico e industriale, a partire dalla questione fiscale e dal tema della transizione ecologica. Valga per tutti la questione siderurgica di Taranto e dell’automotive di cui abbiamo discusso l’altro ieri. Sui dazi Meloni ha invocato un improbabile buon senso e non ha indicato nessuna misura concreta per fronteggiare l’offensiva commerciale americana se non quella di bocciare le contromisure che l’Unione Europea e non solo sono costrette ad adottare. Sul piano di riarmo l’adesione alla linea von der Leyen Meloni ha pattinato scompostamente cercando di dare una formale adesione al Piano e di non scontentare le componenti interne che vi si oppongono per la loro collocazione internazionale come le Lega. Sulle politiche sui migranti, Meloni spera che in un’Europa frammentata l’Italia possa riesumare iniziative come quella sull’Albania per scavalcare le indicazioni della Corte e la fragorosa bocciatura incassata sul piano giuridico. Ma anche qui siamo alla fuffa condita di tigna. Una miscela indigesta. Risultato: l’Italia non ha una linea, non è né carne e né pesce nel concerto europeo.

A proposito della presidente del Consiglio. Il suo rigetto di Ventotene ha scatenato il caos in Parlamento.
Meloni ha voluto provocare l’opposizione con la chiusura della sua replica su Ventotene. In modo irresponsabile. Per compattare la sua maggioranza mormorante. Peraltro, creando in Forza Italia un malessere che è parso evidente. Il Manifesto di Ventotene è la base morale e culturale fondamentale dell’Unione Europea, da tutti riconosciuta. Criminalizzando e strumentalizzando alcune pagine Meloni sì è calata nei panni dei fascisti di allora che tennero in galera dei patrioti italiani ed europei. Ha preferito in modo cinico ferire la memoria della Patria, la Costituzione su cui ha giurato per un miserabile calcolo di bottega. Sembrava di stare in un consiglio circoscrizionale di una sperduta provincia dove la politica può vivere di provocazioni verbali e non nel Parlamento. Quando dichiara guerra ai migranti deportandoli a Guantanamo come fossero terroristi dell’Isis o quando vaneggia la “Riviera di Gaza” senza l’ombra di un palestinese all’interno o dà il via libera alla nuova atroce mattanza di palestinesi, Trump non è il “traditore dell’Occidente”, cosa che diviene quando prova a negoziare sull’Ucraina. Partiamo da una considerazione. Le iniziative di Trump si stanno dimostrando assai poco efficaci. Israele ha ripreso i bombardamenti sulla popolazione civile a Gaza e i colloqui con Putin sono stati, alla fine, molto poco soddisfacenti ai fini di una pace vera. Ma è vero. L’altro ieri la notizia dei nuovi bombardamenti era forse la quinta o le sesta dei rulli di agenzia. Non c’è coscienza del livello mondiale della crisi. Questo dimostra che l’Europa, mentre celebra il suo grande passato, il suo primato culturale, civile e morale non è poi in grado di farlo valere, di esercitarlo. Perché esistono poi tante Europe. Retaggi coloniali, se non schiavisti, miti eurocentrici mai tramontati. Ci dobbiamo sempre ricordare che lo sviluppo europeo si è costruito sul sangue interno ed esterno. Che il grande sapere, le conquiste tecnologiche, perfino quelle sociali sono state costruite anche sulla rapina del Sud del Mondo, di altri continenti grazie all’accumulazione di un immenso plusvalore che ha reso possibile lo sviluppo delle Università, della ricerca, dell’industria e via dicendo. E che tutto questo oggi è alla base dell’amore/odio che molti popoli asiatici o africani provano verso di noi o anche la stessa Russia che abbiamo accolto nell’Europa sempre su uno strapuntino laterale. Costruire una Europa unita ma anche più civile significa fare i conti con tutto questo. E anche guardare a questa nuova epoca della storia americana con occhi meno subalterni. Perché è chiaro che la condotta di Trump spaventa e disorienta. Ma non dimentichiamoci mai che egli esprime la crisi del ceppo interno dell’America, anglosassone e maschilista. E che i legami tra America ed Europa restano profondissimi. Che l’America democratica è stata essenziale per le battaglie sui diritti civili, contro il colonialismo nel Vietnam. L’Europa deve riattivare questi canali e spetta ai socialisti e democratici europei farlo.

Nel delirio del presente si usano i morti. Ecco citare De Gasperi, usare Spinelli o fare paragoni con Hitler, Napoleone…
L’Europa è vecchia. Anagraficamente, spiritualmente. Troppo spesso guarda al suo passato. Sono vecchie le classi dirigenti. Perché è un’Europa impaurita dal mondo nuovo. Teme di perdere le sue certezze faticosamente costruite. Spesso nel sangue. Quanto sangue…! Ci dimentichiamo che sul suolo europeo c’è stata una Prima Guerra Mondiale ben trecento anni prima della Grande Guerra: la Guerra dei Trent’anni, con sei milioni di morti in un’Europa che ne contava 120. Del resto, la nostra cultura, la nostra formazione è prevalentemente eurocentrica e moderna. Ma questo non basta più. L’Occidente e l’Europa, se la si osserva, hanno la forma di un imbuto. È quel lembo del grande blocco terrestre euro, afroasiatico dove arrivano da millenni i popoli in migrazione in cerca di clima e terre migliori e del mare. L’Occidente, come dice la parola stessa, muore e si rigenera da Oriente. Da sempre. Il cristianesimo entrò nella cultura classica dall’interno rigenerando l’Occidente. La cultura araba ha gettato le basi della scienza medievale. L’Europa si trova in mezzo a una di queste epocali ondate e non può resistere. Deve guardare avanti, aprendo la sua secolare storia a queste nuova linfa. E deve farlo in un grande disegno di sicurezza che è fatto di tante componenti: sociale, civile ma anche militare se finalizzata ad un equilibrio pacifico. Tenere insieme questo immenso campo di questioni comporta grandi incognite, è vero. E rischi. Ma un nuovo orizzonte socialista sta qui. E l’Europa senza un nuovo orizzonte socialista non ci sarà.

Per le sue posizioni sul riarmo europeo, Elly Schlein è sotto attacco. C’è chi invoca un Congresso straordinario sull’onda della spaccatura nel voto sul Libro Bianco della Difesa degli europarlamentari dem.
Non ho capito cosa significa “Congresso straordinario”. In termini di statuto ci sono le primarie, non un “Congresso”. Comunque, il senso è chiaro. Qui dico due cose. Elly Schlein ha criticato il piano Ursula parlando della necessità di una difesa comune e non di un mero programma di riarmo plurinazionale. Cosa che condivido sul piano generale ma che va declinata nel merito ed è cosa assai impegnativa. Se il problema che alcuni pongono è la linea complessiva della segretaria lo dicano e si facciano avanti con una candidatura anche personale. Ho ricordato nei giorni scorsi un poco noto Comitato Centrale del 1961 del PCI, del quale parlò Ingrao. Dopo il XXII Congresso del PCUS in cui Krusciov accentuò i toni sulla destalinizzazione. A Togliatti non piacquero i modi di Krusciov concentrati sulla persona e non sul sistema. Al rientro ci fu un CC in cui Togliatti fu messo in discussione per le sue posizioni, da destra e da sinistra. Reagì e disse: ”Mi volete levare? Bene. Io faccio una mia corrente, anzi una frazione e ce la vediamo nel Partito”. La discussione rientrò. Ma Togliatti ne tenne gran conto arrivando al ben noto Memoriale del 1964. Faccio questo esempio per dire che la segretaria deve esser capace in questo momento di raccogliere e portare a sintesi le posizioni diverse che si stanno esprimendo e che hanno un loro nocciolo di ragione seppur non condivisibili in toto. E chi la critica deve sapere che aprire un confronto radicale ci indebolisce nella lotta di opposizione che stiamo conducendo anche con risultati positivi. Questo 23% che porta il segno del lavoro di Elly Schlein, e con lei di tutti, è preziosissimo per tutto quello che vediamo dentro e fuori dell’Italia.

20 Marzo 2025

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