Intervista all'europarlamentare

Parla Tarquinio: “La guerra non ha mai portato la democrazia”

«Le de-escalation, qualunque cosa ne pensi Trump, sono invece benedette tutte. Meno male che l’Ue, almeno nel caso della guerra dei cieli di Iran e Israele, ha iniziato a ragionare in modo un po’ più pacifista rispetto al conflitto d’Ucraina»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

19 Giugno 2025 alle 08:00

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Photo credits: Andrea Panegrossi/Imagoeconomica
Photo credits: Andrea Panegrossi/Imagoeconomica

Marco Tarquinio, europarlamentare, già direttore di Avvenire. – Il Medio Oriente è in fiamme. La polveriera è esplosa. Da Gaza all’Iran è guerra totale. E in Italia si continua a disquisire se quello messo in atto da Israele a Gaza è un “genocidio”.
Ogni guerra è massacro, qualcuna in modo persino più orribile delle altre. Cosí a Gaza. Trovo incredibile che dopo 620 giorni di bombardamenti e di stragi contro la popolazione civile palestinese si stia ancora a discutere sulle parole per definire quel che accade invece di concentrare energie e indignazioni per organizzare e sviluppare azioni efficaci, tese a far finire la carneficina. Detto questo, siamo certamente di fronte al culmine di un terribile progetto di pulizia etnica ai danni degli arabi palestinesi.

Lei parla di “pulizia etnica” sin dall’inizio della guerra di Gaza.
Sì, perché il tentativo di sradicare definitivamente i palestinesi dalla loro terra è stato avviato da subito e con ostentata durezza. Poi è arrivato lo sventolìo dei piani di “riqualificazione” di una Striscia da spopolare e spolpare, a cura della premiata ditta Netanyahu&Trump. Mi chiedo come si possa pensare di trasformare Gaza in una Riviera per gente con tanti soldi e senza memoria. Penso pure che le parole di ieri, pur tremendamente grandi, non riescano a dire e contenere tutto l’orrore provocato dalla disumanità e dalla specifica crudeltà con cui si perseguono quei progetti attraverso lo sterminio con armi, sete, fame e malattie di decine e decine di migliaia di esseri umani. A Gaza si sta compiendo un incessante, deliberato massacro, un assassinio di massa. Questo dice tutto.

Anche ora che s’è acceso lo scontro aperto tra Israele e Iran, lei continua a mettere Gaza al primo posto.
Certamente il cozzo frontale tra i regimi di Netanyahu e di Khamenei, dopo l’invasione israeliana del sud del Libano e di un altro pezzo di Siria, è uno sviluppo terrificante e rischiosissimo. Ma tout se tient, e Gaza resta al centro degli eventi. Dimenticare Gaza o metterla tra parentesi vorrebbe dire arrendersi alla ineluttabilità delle avventure belliche e dei cinismi che le scatenano e le alimentano. A Gaza, persino più che in Ucraina o in Congo, abbiamo la dimostrazione di che cosa produce la nuova e stentorea legittimazione della guerra come strumento per la “risoluzione dei conflitti”, la ridistribuzione di poteri e la ridefinizione dei confini.

Ogni governo accampa le sue ragioni…
Ci sono sempre ragioni per aprire il fuoco, per continuarlo e per moltiplicare i fronti aperti: le invasioni dell’Ucraina e, prima ancora, della Georgia da parte della Russia putiniana, le azioni belliche della Nato in Kosovo e Libia, il divoramento della terra e della vita dei palestinesi da parte israeliana, i razzi e le stragi e i rapimenti anti-israeliani di Hamas, lo sviluppo di tecnologie nucleari in Iran, gli attacchi preventivi all’Iran di Israele, che di tecnologie nucleari già dispone… Ma non c’è mai ragione per rassegnarsi alla guerra. Per quasi tutta la seconda metà del secolo scorso, sino agli anni 90, abbiamo custodito questa consapevolezza e abbiamo detto e ripetuto: “Mai più!”. La sintesi di un potente sentimento collettivo che ha condizionato anche la grande politica. Poi si è cambiato registro. Con esiti tragici. Siamo finiti in un delirio zeppo di armi di distruttività e pervasività senza precedenti. E poi ci sono le bombe morali…

Che cosa intende con “bombe morali”?
I crimini di guerra e contro l’umanità commessi nella Striscia di Gaza, ma anche in Cisgiordania, per ordine del governo di Tel Aviv pesano e peseranno in modo enorme sulle vittime, ma pesano e peseranno in modo non meno tragico su chi li ha premeditati e chi li ha eseguiti. Questi crimini hanno sfigurato il volto dello Stato d’Israele, non possono essere negati né nascosti e non diventeranno mai “accettabili” a motivo dei crimini commessi dagli stragisti e dai rapitori che il 7 ottobre 2023 sono stati scatenati da Hamas. Lo ripeto ancora una volta: nessun crimine può giustificare un altro crimine. Se qualcuno, poi, pretendesse di usare contro gli israeliani lo stesso metro di Netanyahu, che ha ordito un’enorme e crudele rappresaglia sull’intero popolo palestinese per le efferate colpe di alcuni palestinesi, non voglio neanche immaginare gli sviluppi possibili. La simmetria disumanizzante e atroce della guerra conduce esattamente qui: alla criminalizzazione e alla punizione collettiva di intere popolazioni, di gruppi etnici, di comunità religiose.

Come definirebbe Benjamin Netanyahu?
Netanyahu dovrebbe ormai essere un detenuto in attesa di giudizio e invece continua a esercitare un pericoloso potere irresponsabile. Al di là delle vicende giudiziarie in patria, è accusato di crimini gravissimi dalla Corte Penale Internazionale, è inseguito da un mandato di cattura internazionale e deve essere processato. Ma sinora nessuno ha arrestato lui o, comunque, la mattanza di Gaza. E solo pochissimi – l’Italia di destra purtroppo no – hanno bloccato per davvero i rifornimenti di armi agli arsenali israeliani. Queste complicità, a mio giudizio, sono a loro volta pesanti. L’attuale primo ministro di Tel Aviv ha non solo messo la propria sopravvivenza politica davanti e sopra alla vita degli arabi palestinesi, ma anche a quella dei suoi concittadini. Per artigliare la terra della Grande Israele, che è il sogno suo e dei suoi alleati dell’estrema destra ebraica, ha trasformato in incubo la vita di tantissimi altri: arabi, ebrei e persone di ogni origine e fede. Ha seminato un vento di morte e di distruzione. Sta raccogliendo tempesta e la fa raccogliere al mondo.

Con Netanyahu si può negoziare?
Sì, si deve. È ancora lui il capo del governo d’Israele. Così come bisogna negoziare con il presidente russo Putin o con il generale-presidente ruandese Kagame o con il dittatore eritreo Isaias o con il camaleontico padrone del Nicaragua Ortega o con l’ayatollah Khamenei o con i capi sopravvissuti di Hamas (quelli sotto accusa come Netanyahu davanti alla Cpi sono già stati tutti giustiziati da proiettili o droni israeliani…). Negoziare non significa dare ragione, vuol dire non consegnarsi alla logica dello scontro senza quartiere e costruire passo dopo passo con lucidità, pazienza e fermezza una via d’uscita dall’orrore, dall’oppressione, dal sospetto e dalla paura.

Politici e analisti hanno già concentrato le attenzioni alla guerra israelo-iraniana e parlano sia della necessaria de-escalation sia dell’altrettanto necessario cambio di regime a Teheran.
Si parla e si straparla. Soprattutto di cambi di regime a Teheran e altrove, ottenuti grazie alle ogive di ordigni micidiali e a raffiche di assassini mirati. Mi sembra che un po’ troppi tra i miei vecchi colleghi giornalisti e analisti e tra i miei nuovi colleghi politici stentino a fare i conti con la realtà: le guerre non portano la democrazia, la comprimono e la distruggono. Le de-escalation – qualunque cosa ne pensi Donald Trump – sono invece benedette tutte, comunque e sempre. Che si tratti della guerra israelo-iraniana o di quella israelo-palestinese o di quella russo-ucraina. E meno male che la Ue e gli Stati Ue che sono membri del G7 – Francia, Germania e Italia – almeno nel caso della guerra nei cieli di Iran e Israele hanno cominciato a ragionare pubblicamente in forma diversa e un po’ più… pacifista rispetto a quanto fatto, anzi non fatto, per la guerra d’Ucraina.

Già. L’Europa, ora, sta invitando tutti alla moderazione ma, tornando a Gaza, non ha mai sanzionato i responsabili della tragedia in atto. Che credibilità può avere?
L’inazione e l’afonia sono anch’esse forme di complicità. Negli ultimi nove mesi, mentre diventava impossibile non vedere e non capire che cosa si stava perpetrando a Gaza, la Ue si è macchiata di entrambe. Von der Leyen e Kallas portano questa responsabilità, anche se le cose sembrano finalmente destinate a cambiare. Nel mio piccolo sono fra coloro che si stanno spendendo per questo. Vedremo, ma serve accentuare la pressione, usando lo strumento non solo del “riesame”, ma della sospensione dell’Accordo di associazione Ue-Israele. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che l’inazione e l’afonia europea sono anche il risultato della babelica diversità di linea tra gli Stati membri, purtroppo con l’Italia di Meloni, Tajani e Salvini, schierata a capitanare, insieme alla Germania, la pattuglia corposa sebbene minoritaria di coloro che a Netanyahu continuano a perdonare tutto.

Il 7 giugno a Roma in 300mila hanno manifestato per chiedere la fine della mattanza di Gaza e per una Palestina libera. Per questo sono stati accusati di essere filo-Hamas.
La piazza dei 300mila a San Giovanni è stata bellissima, coraggiosa, onesta, screziata di diversi toni e colori eppure unitaria. Chi ha detto il contrario e puntato il dito accusatore? Un manipolo di polemisti più o meno di regime, i fanatici del bellicismo, i soliti benaltristi e qualche invasato che farebbe domani la pace con Putin ma è pronto a sostenere sino in fondo la guerra di Netanyahu.

Si poteva riunirla prima?
Sì, ma meglio tardi che mai! Spero che le forze del centrosinistra prendano insieme l’impegno a non arrivare mai più in ritardo a tali appuntamenti. Spero anche che delegazioni di tutti i partiti progressisti, a cominciare dal Pd, partecipino alla manifestazione di sabato prossimo, 21 giugno, convocata a Roma, dalla miriade di associazioni della Rete Italiana Pace e Disarmo. Io ci sarò, con convinzione e speranza.

Una pace senza giustizia può definirsi tale?
Solo il cessate il fuoco è sempre giusto. Giusto e umano è smettere di ammazzare. La pace comincia e ricomincia da qui, il resto è fatica, coraggio e soprattutto visione.

19 Giugno 2025

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