Al G7 rottura tra Usa e gli altri Big del pianeta
Trump pronto a entrare in guerra minaccia Khamenei: “Arrenditi”
Trump lascia il vertice e non vede Zelensky. “Voglio la resa incondizionata dell’Iran”, fa sapere tornato negli Usa. Il cancelliere Merz: “Israele fa il lavoro sporco per tutti”
Esteri - di David Romoli

La tensione sotterranea tra il presidente degli Usa e gli altri leader del G7 non poteva essere messa in scena più plasticamente. Trump ha lasciato con un giorno di anticipo Kanankis, Canada, e l’impegno gli ha impedito di incontrare il presidente ucraino Zelensky, arrivato solo ieri. I suoi messaggi, peraltro, l’americano aveva già trovato modo di comunicarli sia proponendo Putin come mediatore nel conflitto israelo-iraniano, sia con la sfuriata contro la scelta, a suo parere sbagliatissima, di “cacciare Putin dal G8” undici anni fa.
Ieri i leader rimasti hanno confermato il sostegno pieno all’Ucraina. Il canadese Carney, dopo l’incontro diretto con il leader ucraino, ha garantito nuovi aiuti per 2 miliardi. Gli europei preparano il diciottesimo pacchetto di sanzioni contro Mosca, ma la sintonia con gli Usa si è spezzata e, nonostante gli auspici europei delle ultime settimane, dovuti all’irrigidimento dei toni di Trump nei confronti del presidente russo, non si è affatto ricostituita. Nel sostegno strenuo a Kiev gli Usa non ci saranno o ci saranno con un ruolo molto più defilato rispetto al passato. Il segnale che arriva dal vertice è questo ed è un segnale pessimo per l’Europa. Alla fine, nella notte, The Donald si è convinto a firmare la dichiarazione dei 7 che invoca la de-escalation nella guerra tra Israele e Iran, previo accoglimento della sua richiesta di correggere il testo in senso ancor più filo-israeliano. Ma non significa che abbia davvero fatto propria la linea europea che mira a un cessate il fuoco immediato.
Lo ha chiarito lui stesso, commentando con voluto sprezzo le parole di Macron, che aveva spiegato la sua partenza proprio con la necessità di lavorare per una tregua: “Bravo ragazzo ma, non so se facendolo apposta, sbaglia sempre. Non torno affatto a Washington per questo”. Sull’Air Force One, dopo il mordi e fuggi canadese, il presidente è stato anche più perentorio: “Non voglio un cessate il fuoco ma molto di più: una vera fine del conflitto”. Con i cronisti però il presidente è andato oltre, dicendo di mirare ad un “complete give-up”, una resa completa degli Ayatollah. La posizione dell’amministrazione appare sibillina perché è in realtà divisa e ancora indecisa tra il partecipare alla guerra attivamente oppure limitarsi a garantire sostegno a Netanyahu. Il premier inglese Starmer garantisce alla stampa che “nulla in quanto detto da Trump fa pensare a un coinvolgimento degli Usa”. Vero, ma è anche vero che nulla esclude tassativamente quel coinvolgimento.
Del resto, le posizioni degli europei su quella guerra sono meno allineate di quanto i leader non abbiano scelto di mostrare. E a svelare il gioco è il cancelliere tedesco Merz: “Israele sta facendo il lavoro sporco per tutti noi. Se l’Iran non fa marcia indietro la distruzione completa del suo programma nucleare è all’ordine del giorno”. Merz però ha anche risposto a muso duro, seppur da lontano, a Trump: “Escludere la Russia dal G8 è stata una scelta giusta che confermiamo”. La divaricazione tra Usa ed Europa oggi è molto più sull’Ucraina che non su Israele. E naturalmente sui dazi, che per il Tycoon sono stati l’unico argomento importante nei molti colloqui susseguitisi nella breve escursione in Canada, incluso quello breve e informale con Giorgia Meloni. Con Starmer la trattativa pare chiusa. Con i paesi della Ue sembrava dovesse andare allo stesso modo, sulla base dell’accettazione di una tariffa del 10%, ma tutto è stato rinviato alla prima decina di luglio, dopo il Consiglio europeo del 27 giugno.
Di conto in sospeso però ce n’è pure un altro, anche più impellente. Ieri il G7 ha ospitato il segretario della Nato Rutte. Abbracci generalizzati e la conferma che tutti arriveranno al 2% del Pil devoluto in spese militari entro quest’anno. Ma questo è il meno. Rutte si prepara a chiedere molto di più nel vertice Nato del 24-26 giugno e a pressarlo c’è proprio il bellicoso Trump che si è visto lunedì, deciso a spostare sulle spalle europee una parte molto maggiore degli oneri della difesa. La prova della verità per la capacità europea di restare unita a fronte del martellamento americano saranno proprio i due vertici in programma per la fine del mese.