L'editoriale su Haaretz
“Governo Netanyahu il peggiore della storia, liberiamocene”, parla l’ex premier Ehud Barak
“Prima lo facciamo e meglio è”, dice l’ex premier. “Abbiamo bisogno di una leadership sobria, con una visione, per riportare a casa gli ostaggi ponendo fine a questa guerra senza senso e alla crisi umanitaria”
Esteri - di Umberto De Giovannangeli

Lui, Benjamin “Bibi” Netanyahu, lo conosce bene, di certo meglio di qualsiasi altro avversario del premier più longevo nella storia d’Israele. L’ultima sconfitta di Netanyahu nelle elezioni data 1999. E a batterlo fu, il soldato più decorato nella storia d’Israele: Ehud Barak. Lo fece sfidando “Bibi” sul suo stesso terreno: quello della sicurezza, ricordandogli in ogni dibattito televisivo, in ogni intervista o spot elettorale, che nell’esercito Netanyahu è stato suo subalterno, e dunque non ci provasse nemmeno a spiegare a lui come si combattono i nemici d’Israele. Ed oggi, per Barak il primo “nemico” d’Israele è colui che lo governa.
Scrive Barak su Haaretz: “Nei prossimi giorni, il primo ministro Benjamin Netanyahu dovrà scegliere tra Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, da una parte, e Donald Trump e i leader del mondo libero, dall’altra; tra una guerra politica fatta di inganni anche sul rilascio degli ostaggi, da una parte, e la fine della guerra, dall’altra. Non c’è parità di condizioni. Anche schierarsi con Trump e i leader di Francia, Gran Bretagna e Canada non sarà una passeggiata. Sarà difficile e ci servirà una leadership sobria, con una visione e fiducia in se stessa, capace di capire cosa provano i nostri e cosa pensano i nostri amici e nemici, e soprattutto con il coraggio di prendere decisioni e il potere di metterle in pratica. Ci vorranno meno chiacchiere arroganti e più fatti”. Ma questa svolta non potrà essere fatta da chi è alla base del disastro attuale.
Rimarca Barak: “Ciò di cui abbiamo bisogno è una leadership che riconosca la possibilità di liberare tutti gli ostaggi in un’unica fase, fermando la guerra senza senso e ponendo fine alla crisi umanitaria, sradicando Hamas dal potere ed eliminando la sua capacità di minacciare da Gaza. Significa anche aderire, seppur in ritardo, alla visione di Trump sul Nuovo Medio Oriente, compresa la normalizzazione con l’Arabia Saudita e la possibilità di partecipare al progetto del corridoio commerciale dall’India al Golfo all’Europa. Scegliere una guerra basata sull’inganno – in cui una cortina fumogena fuorviante finge di essere una campagna per la sicurezza e il futuro del Paese, mentre in realtà si tratta di una guerra politica, una guerra per la pace all’interno della coalizione di governo – scriverebbe un nuovo capitolo de ‘La marcia della follia’”.
Ehud Barak sa cos’è una guerra. E cosa sia dare la caccia ai terroristi. Parla a ragion veduta, sulla base dell’esperienza di una vita. “È molto improbabile – afferma – che continuare la guerra possa portare a risultati diversi dai precedenti scontri a Gaza e sicuramente peggiorerebbe l’isolamento diplomatico e legale di Israele, scatenerebbe un’ondata di antisemitismo e sarebbe una condanna a morte per alcuni o per la maggior parte degli ostaggi ancora in vita. Avrebbe avuto senso se potesse portare alla ‘vittoria totale’ su Hamas, ma questo non accadrà. Questo perché, quando la nuova guerra verrà interrotta relativamente in fretta sotto la pressione diplomatica, sullo sfondo di una crisi umanitaria o di eventi sul terreno, ci ritroveremo esattamente nella stessa situazione di oggi. La verità è che fin dai primi mesi di guerra, l’unico modo per garantire che Hamas non potesse governare Gaza e minacciare Israele dall’enclave sarebbe stato sostituirlo con un’altra entità governativa legittima agli occhi della comunità internazionale e del diritto internazionale, accettabile per i vicini arabi come l’Egitto, gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita, e per gli stessi palestinesi. In pratica, questo significa una forza interaraba temporanea finanziata dagli Stati del Golfo, sotto la supervisione degli Stati Uniti, che si occuperebbe di formare una burocrazia palestinese e un nuovo organo di sicurezza non appartenente a Hamas, sotto la guida della forza interaraba”.
Qui il soldato lascia il campo al politico, allo statista. “Israele – dice Barak – presenterebbe due condizioni: in primo luogo, nessun membro dell’ala militare di Hamas potrebbe far parte di tale nuova entità, a nessun livello. In secondo luogo, che le forze di difesa israeliane si schierino lungo il perimetro della Striscia, ritirandosi al confine solo quando e se tutti i parametri di sicurezza concordati saranno stati rispettati. Se si comprende che questo è l’unico piano praticabile per il ‘giorno dopo’, un piano che Netanyahu sta evitando dal 7 ottobre, si comprende anche che non ha senso sacrificare la vita degli ostaggi o mettere in pericolo le truppe israeliane per niente. Chi può guardare in faccia i genitori in lutto, i coniugi appena vedovi, i bambini che hanno perso il padre o la madre, i soldati disabili e traumatizzati e affermare con la coscienza pulita che è stato fatto tutto il possibile per evitare queste perdite o che erano giustificate? Finché Israele continuerà a evitare questa discussione, aumenterà il rischio di un’iniziativa internazionale su larga scala, compresa la richiesta di alcuni vicini arabi di boicottare Israele e di compiere passi verso il riconoscimento di uno Stato palestinese (purtroppo, mentre lo ‘tsunami diplomatico’ si sta ora abbattendo davanti ai nostri occhi)”.
Barak liquida con parole di fuoco i piani di Netanyahu e soci: “L’occupazione permanente della Striscia di Gaza, il trasferimento di 2 milioni di palestinesi e il reinsediamento degli israeliani su quel territorio sono tutte visioni prive di fondamento e deliranti che si ritorcerebbero contro di noi e non farebbero altro che accelerare il confronto con il resto del mondo. Questa è la scelta che dobbiamo affrontare. È altamente improbabile che Netanyahu e il suo governo siano in grado di affrontare questa situazione con sincera preoccupazione per la sicurezza e il futuro del Paese. Questo è un altro motivo per cui abbiamo urgente bisogno di liberarci del peggior governo della nostra storia. E prima lo facciamo, meglio è”.