Il vicepresidente del gruppo Pd-Idp
Parla Paolo Ciani: “Papa Leone raccoglierà ciò che ha seminato Bergoglio”
«Con il suo “pace disarmata e disarmante” ha sintetizzato un pensiero chiaro, spesso non compreso dalla politica: la Chiesa non benedice armi, riarmi e guerre»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli

Paolo Ciani, segretario nazionale di Democrazia Solidale, Vicepresidente del gruppo Pd-Idp alla Camera dei deputati, un passato importante nella Comunità di Sant’Egidio: Papa Leone XIV e il lascito di Papa Francesco. Un tema che travalica i confini della Chiesa, della Curia e della comunità dei credenti.
Bisogna provare a resistere al normale impulso di fare paragoni tra i due. Il lascito di Papa Francesco alla Chiesa e al mondo lo si comprenderà nel tempo. Ma molte cose si possono iniziare a valutare già oggi. Pensiamo solo che la sua elezione giunse dopo un avvenimento unico nella storia della Chiesa: le dimissioni del suo predecessore Benedetto XVI. C’era un senso di drammaticità in quei momenti, quasi che la Chiesa fosse ad un bivio dinanzi a difficoltà soverchianti. E la scelta cadde sul Cardinal Bergoglio, primo Papa gesuita della storia, chiamato “quasi dalla fine del mondo”. Sin dalle sue prime scelte, a cominciare dal nome Francesco, ha fatto capire novità e direttrici del suo pontificato e ha cominciato a ridestare attenzione, simpatia ed entusiasmo, insieme a timori e diffidenze. Poi con i suoi gesti, le sue parole, i documenti, ha impresso una chiara impostazione – che definirei evangelica – al suo pontificato. Come non ricordare il viaggio che ha voluto subito compiere a Lampedusa per porre l’attenzione sul dramma delle morti dei migranti? Era una denuncia politica? Era innanzitutto esplicitare uno dei fondamenti della fede cattolica: Gesù nella parabola del giudizio finale al capitolo 25 del Vangelo di Matteo, si impersonifica in chi ha fame, sete, è nudo, malato, carcerato, straniero. “E mi avete ospitato”.
C’è altro?
Poi il suo “documento programmatico”, l’Evangelii Gaudium. Per chi l’ha voluto cogliere, lì dentro c’era tanto del messaggio di novità di Papa Francesco: una “nuova tappa evangelizzatrice marcata dalla gioia”; una “riforma delle strutture” ecclesiali perché “diventino tutte più missionarie”; “avere dappertutto chiese con le porte aperte”; la denuncia su “questa economia che uccide”, fa prevalere la “legge del più forte, dove il potente mangia il più debole”. L’attuale cultura dello “scarto” che ha creato “qualcosa di nuovo”: “gli esclusi non sono ‘sfruttati’ ma rifiuti, ‘avanzi’”; poi la volontà di liberarsi da “la psicologia della tomba, che poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo”, attraverso la “rivoluzione della tenerezza”; la ricerca di un nuovo spazio nella Chiesa per laici, donne e giovani; la richiesta di “una Chiesa povera per i poveri”; la necessità di “una voce profetica” per la pace. Dinanzi a questo “programma” ambizioso (dentro e fuori dalla Chiesa) alcuni hanno seguito il Papa, altri hanno fatto resistenza, molti sono rimasti a guardare. E da allora tanto del pensiero di Francesco è diventato “lascito” per il nostro tempo, realizzato e non. Ad esempio, aver esplicitamente connesso la giustizia ambientale, quella climatica e quella sociale con la Laudato Si’. L’impegno incessante perché il messaggio cristiano raggiungesse le “periferie geografiche ed esistenziali”. La sua passione per la pace e l’intuizione che la terza guerra mondiale stava “arrivando a pezzetti” e tutto quello che ne è seguito in termini di impegno. Il cammino e gli sforzi per far crescere la fraternità universale con tappe fondamentali come la firma del “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune” ad Abu Dhabi con il Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyib e la successiva enciclica Fratelli Tutti. L’arrivo di Leone XIV, voluto vescovo e chiamato a Roma proprio da Bergoglio, raccoglie tutta questa seminagione del suo predecessore nella grande e lunga tradizione della Chiesa Cattolica.
Un Papa americano nell’era di Donald Trump
Il Cardinal Prevost è un Papa pienamente “americano”, nel senso che non è solo statunitense (ha anche la cittadinanza peruviana) e unisce nella sua persona e nella sua storia nord e sud America. Nato a Chicago, ha vissuto molti anni in Perù da missionario e sempre nel Paese andino è stato poi vescovo. Certo è il primo pontefice di cittadinanza statunitense ed arriva in un momento in cui i rapporti tra Santa Sede e presidenza Usa sono particolarmente difficili, non solo per l’eccentricità del Presidente Trump e le sue uscite social, ma soprattutto perché tanti aspetti del pensiero sovranista – che ha trovato nel presidente Usa il suo massimo esponente – si pongono apertamente contro le posizioni ufficiali e la dottrina della Chiesa Cattolica. Credo però che l’esperienza cosmopolita di Papa Leone XIV e l’universalità della Chiesa, faranno sì che non ci sarà un “problema nazionale” rispetto ai suoi rapporti con gli Usa. Anzi probabilmente la sua conoscenza di quel mondo lo aiuterà a sviluppare relazioni con quel Paese che rimane un attore fondamentale sulla scena internazionale ed è anche un Paese con circa 70 milioni di cattolici…
Leone XIV ha evocato una pace “disarmata” e “disarmante”. In tempi in cui, anche ai vertici dell’Unione Europea, si sostiene che la pace la si conquista con la forza….
Alcuni si sono stupiti che le prime parole di Papa Prevost dal balcone appena eletto siano state per la Pace. Ma il saluto di pace è quello di Gesù risorto, cuore del messaggio cristiano. Tutti i Papi del 900 e fino a Francesco hanno sviluppato e chiarito la posizione sulla guerra e la vocazione della Chiesa e dei cattolici per la Pace. Ed in questo senso è significativo che Leone già in questi primi giorni abbia utilizzato espressioni usate dai suoi predecessori: da “una pace giusta e duratura” di Papa Francesco, al “mai più la guerra” di Giovanni Paolo II (che vi aggiungeva “avventura senza ritorno, spirale di lutti e di violenza”). Certo anche a me ha positivamente colpito il suo “pace disarmata e disarmante” perché credo che con poche parole, semplici, molto efficaci e comprensibili, abbia sintetizzato un pensiero chiaro, forte e spesso non compreso dalla politica: la Chiesa non benedice armi, riarmi e guerre; e questa visione della pace è spesso “disarmante” – e non comprensibile – per un pensiero e una logica che considera solo la forza. Papa Leone conosce il mondo, è stato al fianco di Francesco e credo svilupperà il magistero sulla Pace nel solco dei suoi predecessori e soprattutto del Vangelo.
Lei è molto legato alla Comunità di Sant’Egidio e conosce la Chiesa italiana. Retroscenisti parlano di una sconfitta dei cardinali italiani che non hanno trovato un accordo
Nei giorni successivi alla morte di Papa Francesco, come era prevedibile e scontato, si è scatenato il “totopapa”. Mi sembra che tante delle osservazioni e delle discussioni di quei giorni scontassero un doppio limite: una visione eccessivamente italianocentrica e l’utilizzo di categorie politiche nella lettura delle dinamiche della Chiesa. Sul primo punto, va ricordato che il numero e il ruolo dei cardinali italiani nel Conclave è molto cambiato già da tempo, così come è evidente che le figure dei cardinali italiani di cui si è parlato come possibili successori di Francesco, fossero tutte di primo piano e che potessero risultare elette; ma è altrettanto evidente che in un Conclave con 133 elettori provenienti da 70 Paesi differenti, pensare che 17 cardinali italiani potessero con certezza orientare il Conclave verso uno di loro, è una certa esagerazione… Sul secondo punto, mi sembra che la lettura semplificata di cardinali “di destra o di sinistra” non corrisponda alla realtà della Chiesa. È qualcosa che si ripete nel tempo ed è accaduta anche con Papa Francesco, quando lo si è dipinto di sinistra quando parlava di periferie o migranti e di destra quando parlava di aborto o eutanasia. Anche sui primi giorni di Papa Leone ho sentito dire cose curiose se non ridicole per attribuirgli “orientamenti”: “ha recitato l’Ave Maria!”… sai com’è, era l’8 maggio, è il Papa! Quanto “all’accordo” sull’elezione, quello che si può dire da fuori, senza dietrologia, è che in Conclave un accordo si sia trovato molto presto. Raggiungere un quorum dei due terzi in quattro votazioni è stato evidentemente un grande segno di unità da parte dei Cardinali elettori.
Rifacendosi alla Chiesa sinodale, fortemente voluta e rilanciata da Papa Francesco, Leone XIV ha anche posto un tema, quello della partecipazione, che investe direttamente la politica. L’8 e 9 giugno si vota per i referendum. La seconda carica dello Stato, il presidente del Senato Ignazio La Russa, ha dichiarato pubblicamente che lui farà campagna per il non voto…
Le prime parole sulla sinodalità, come il tema della partecipazione, sono nel DNA del cristianesimo, religione che Gesù ha voluto comunitaria. A differenza di altre realtà religiose o spirituali, il cattolicesimo dalle sue origini si è rivolto a gruppi di discepoli e diffuso attraverso le comunità dei credenti. È normale che Papa Leone (peraltro proveniente da un ordine religioso) lo tenga presente nelle linee iniziali del suo pontificato. Passare poi dalle riflessioni sulla Chiesa e sul nuovo Papa, alle frasi del Presidente La Russa ad una iniziativa di partito… è un salto logico carpiato con doppio avvitamento! Ma effettivamente colpisce che in un tempo di crisi della democrazia e della partecipazione la seconda carica dello Stato inviti alla non partecipazione al voto. Essendo il referendum popolare uno strumento previsto dalla Costituzione, trovo sbagliato che figure di garanzia si pronuncino contro questo strumento. Dopodiché colpisce che non si entri nel merito dei quesiti; e comunque proviamo a coglierne gli aspetti positivi: visto che i referendum sono stati oscurasti dall’informazione, queste uscite “sgrammaticate” aiuteranno i cittadini a sapere che ci sono 5 importanti referendum su cui l’8 e il 9 giugno andare a votare!