Gli anni in Perù del Pontefice

La sensibilità di Papa Leone XIV tra migranti e clima

Pur se presentato come un simpatizzante repubblicano Prevost ha operato lungamente in una terra di confine, sempre dalla parte di poveri, profughi e indigeni

Editoriali - di Dorella Cianci

13 Maggio 2025 alle 18:00

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Photo by Cecilia Fabiano/LaPresse
Photo by Cecilia Fabiano/LaPresse

Il Papa americano, dallo spirito latino, porta dinanzi al mondo un’altra idea di America, pur essendo, a quanto emerge, un simpatizzante dei repubblicani. La sua America è un vero melting pot, agli antipodi del progetto trumpiano. Per poter presentare la figura del nuovo Pontefice, Leone XIV, è necessario fare un passo indietro e tornare agli anni del Perù, al suo rapporto con quella terra così difficile e instabile.

Nel 2023, mentre il Perù attraversava una forte ondata di proteste, in seguito alla caduta del presidente Pedro Castillo, che causò decine di morti, l’allora vescovo Robert Prevost dichiarò ai media peruviani di provare «un immenso dolore per la situazione del Paese» e, pochi giorni dopo, disse alla stampa di aver chiesto a papa Francesco di prolungare la sua permanenza nel Perù. Nel comunicato di quei giorni, si legge: «Ho riferito le mie intenzioni al Santo Padre, dicendogli che questo non è il momento migliore per lasciare il Paese. Voglio continuare a sostenere la mia gente e la Chiesa di questi territori». E, infatti, in quelle ore, le proteste, iniziate nella Sierra Sud – in zone prevalentemente rurali e a maggioranza indigena – si diffondevano a macchia d’olio nel resto delle città, dove esplodeva, sempre più, un malcontento fino a quel momento latente, generato dalle forti disuguaglianze economiche e sociali.

Quei disordini avevano, in particolare, una finalità: erano volti alla liberazione dell’ex-presidente Castillo, arrestato in seguito al suo tentativo di colpo di stato, con l’accusa di aver sovvertito l’ordine nazionale ed ottenere, così, elezioni anticipate. I manifestanti vollero raggiungere la capitale, Lima, spingendo il governo, appena insediato, a dichiarare lo «stato di emergenza». La presidente Dina Boluarte, figura a tratti controversa, subentrata a Castillo e prima donna al vertice dell’esecutivo in Perù, ha fatto – poi – della lotta alla corruzione una delle proprie priorità politiche, macchiandosi, tuttavia, di una politica poco attenta ai diritti umani. Prevost sapeva bene che erano ore importanti e difficili. Lui, in quell’area, era sempre stato dalla parte degli indigeni, i quali tolleravano a stento il vorace centralismo di Lima, ed era rimasto accanto a quella gente dopo l’arrivo distruttivo del ciclone Yaku, che causò, in brevissimo tempo, la perdita di tutto il raccolto dei contadini.

Ma quando era iniziato questo rapporto con i peruviani?

Innanzitutto va ricordato che Robert Francis Prevost arrivò alla missione agostiniana di Chulucanas, nel dipartimento peruviano di Piura, più di quarant’anni fa, nel 1985. L’anno successivo si unì alla missione di Trujillo come direttore del progetto di formazione congiunto per gli aspiranti agostiniani di Chulucanas, Iquitos e Apurímac. Furono i primi contatti con un Paese che avrebbe segnato la sua vita, il modo di entrare in rapporto con le persone, l’attenzione alle tematiche migratorie e ambientali. A Trujillo ricoprì vari incarichi ecclesiastici prima di tornare nella sua città natale, Chicago, per assumere la carica di priore provinciale. Il reverendo Fidel Purisaca Vigil, direttore delle comunicazioni della diocesi di Chiclayo durante il mandato di Prevost, ha dichiarato: «A Prevost non importava quanti problemi ci fossero, lui manteneva la calma e manteneva sempre un buon senso dell’umorismo. In questo atteggiamento era diventato un vero sudamericano». Come vescovo di Chiclayo passò molto tempo a visitare anche Huancayo, nel Perù centrale, la zona degli Incas, tanto segnata da violenza e insicurezza.

Non è tutto. Papa Prevost guardava, con preoccupazione, la situazione delle estrazioni minerarie peruviane, affinché quella notevole fonte di ricchezza (spesso gestita più dagli imprenditori cinesi, senza essere davvero vantaggiosa per l’economia interna del Paese) non compromettesse gravemente la situazione ecologica di quel meraviglioso posto della Terra. Veronique Lecaros, responsabile della Facoltà di Teologia presso la Pontificia Università Cattolica del Perù, ha precisato, proprio in queste ore, che Prevost aveva istituito una Commissione per l’Ecologia Integrale a Chiclayo, nominando una donna per guidarla. Era perfettamente in linea con Bergoglio sui temi della cura del Pianeta. E poi vi è l’altro grande capitolo, quello migratorio. Ieri il presidente colombiano Gustavo Petro, reagendo all’elezione di Prevost come nuovo Pontefice della Chiesa cattolica, ha voluto rivolgergli un messaggio, chiedendo di essere «il grande leader dei popoli migranti», in un momento così buio per il tema migratorio fra l’America Latina e l’America trumpiana.

Forse ben pochi sanno che questo giovane sacerdote, venuto da una città americana progressista e dall’anima operaia, era il principale informatore di Bergoglio rispetto a una situazione molto delicata: il confine fra Perù e Brasile, lungo 2.995 km, un’area che presenta sfide difficili, ma anche opportunità per i migranti. Il ponte sul Rio Acre, che attraversa il confine, è un punto caldo per la migrazione, con centinaia di persone, in alcuni casi, bloccate a causa delle recenti restrizioni peruviane. Papa Prevost non ha fatto attendere la sua voce e il suo sostegno materiale per quella triplice frontiera, dove si incontrano Brasile, Perù e Colombia.

13 Maggio 2025

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