Parola al politico ed esperto

“Papa Leone XIV ci ha detto che possiamo ancora fermare la corsa verso la catastrofe”, parla Raniero La Valle

«L’elezione di Leone XIV è stata nel segno della gioia. C’è un improvviso risveglio di una coscienza popolare, l’imprevisto risorgere di una speranza mondana, una voglia di futuro per questa terra»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

10 Maggio 2025 alle 17:00

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“Papa Leone XIV ci ha detto che possiamo ancora fermare la corsa verso la catastrofe”, parla Raniero La Valle

Il pontificato di Leone XIV. L’eredità di Francesco. Le sfide più stringenti. L’Unità ne discute con uno dei più grandi conoscitori del Vaticano e della Chiesa: Raniero La Valle, scrittore, saggista, politico, un “monumento” della Rai.

Qual è il segno dell’elezione di Leone XIV?
Il segno della gioia. C’è sempre qualcosa che colpisce quando un nuovo Papa si affaccia dalla loggia di piazza San Pietro. Questa volta ciò che mi ha colpito sono state le facce di tutti i cardinali che stavano attorno a lui, che lo presentavano dal balcone al popolo dei fedeli. Erano tutti raggianti, sorridevano, sembravano felici. Quando poi dal balcone volgevi lo sguardo alla piazza, vedevi una folla in delirio, più contenta dei cardinali. Che cosa era successo? Va bene il “gaudium magnum”, ma non esageriamo, in fondo si tratta di una routine, non si dice, col cinismo romano, “morto un papa se ne fa un altro”? E invece oltre a quelli che già erano a san Pietro, altri 150.000 romani si sono precipitati a festeggiare l’evento, come se continuasse l’emozione popolare esplosa col funerale di papa Francesco. Allora la prima operazione per immaginare quello che potrà accadere, è di cercare di capire questa gioia, di prenderla come un “segno dei tempi”.

Quali tempi?
I tempi sono che stiamo rotolando verso la catastrofe. Non parliamo del clima, e già ce ne sarebbe abbastanza, con le destre nel mondo, a cominciare dalla Germania e dagli Stati Uniti, che vogliono tornare ai fossili, sicché forse intere isole-Stati dovranno scomparire, e Dio ce la mandi buona per la laguna di Venezia. Poi c’è un genocidio che non si può chiamare tale, perché se no chi lo sta facendo si offende. C’è una guerra in Europa che un signore per farsi eleggere aveva promesso di far finire in ventiquattrore, e che mentre fino a quel momento sembrava esaurita per mancanza d’armi e di soldati, è diventata cronica e fonte di una rinnovata benedizione per tutti i fabbricanti d’armi. C’è un Barbaro insediato alla Casa Bianca, in quello Studio Ovale da dove arrivava il verbo della salvezza messianica americana, e la diagnosi generale è che anche grazie a lui sta finendo la democrazia in tutto l’ “orbe terracqueo” e anche lo Stato di diritto è diventato un optional. Intanto guai a sposarsi, a fare figli, a progettare un futuro. Molto tempo fa, dopo la Seconda guerra mondiale, era diventato un punto d’onore combattere la fame nel mondo, si doveva abolirla, secondo l’Onu, entro il 2015, adesso i camion dell’Onu che portano il cibo a Gaza sono bombardati.

Ed ecco che arriva il nuovo Papa. Chi è?
Viene dall’America, proprio da lì dove c’è stato il grande rovesciamento di quello che era stato preso come il Bene. E che cosa dice? Dice che qui ci vuole la pace per tutta la Terra, per tutti i popoli. E quali sovranismi! Qui ci vuole la sinodalità, che è il nome della democrazia convertita addirittura in comunione, di persone e di popoli. E si preoccupa perfino del neo-esercito europeo da 800 miliardi, gli basta una parola per dire che è una sciocchezza, che la pace va disarmata, e fatta artefice di disarmo, se no che pace è?

Ma lo diceva anche papa Francesco.
E proprio questo è il bello. E molto prima di papa Francesco c’era stato anche un certo papa Leone che aveva posto la questione operaia e aveva detto che perciò i poteri pubblici non dovevano lasciare tutte le leve dell’economia in mani private. Che ci sia un legame con l’aver scelto l’improbabile nome di Leone? Dopo tutto, gli Stati Uniti sono il tempio del mercato e del nuovo capitale selvaggio, dalla scuola di Chicago ai dazi di Trump. E allora questa è la gioia: ci ha fatto sapere che “Il male non prevarrà”, parola di Papa. Ancora ne possiamo uscire. Papa Francesco ci aveva lasciato una donazione, un Dio inedito, un inferno vuoto. Se si riempie l’Inferno, Dio che ci sta a fare? E il nuovo Papa forse ci vuol portare l’antidoto, per chiudere gli inferni che apriamo noi. In termini teologici (per dire che questa non sarebbe una grande novità, che tutto già è stato scritto) si potrebbe chiamare “katékon”, “forza frenante” (questa parola se l’era inventata san Paolo) un argine ai poteri della distruzione, alla sindrome della fine.

E chi dice che sarà un Papa, questo Papa, che potrà farcela?
Infatti, non lo si può dire. In ogni caso non può farcela da solo. Ma c’è questo improvviso risveglio di una coscienza popolare, l’imprevisto risorgere di una speranza mondana, una voglia di futuro per qui, per questa terra qui. Ricompare, fitto fitto e non solo in piazza San Pietro, il carisma del “popolo di Dio”. E lui lo interpreta con un’immagine potente: “Senza paura, uniti, mano nella mano, e tutti nelle mani di Dio, andiamo avanti” Ma attenti: questo è un linguaggio religioso! E certo, ma non si tratta di un Papa?

Il nuovo pontefice porta con sé la gravosa eredità di Papa Francesco, un pontefice che ha saputo parlare al mondo, al di là della fede…
La fede se non è strumentalizzata, fatta ancella del potere, irretita tra le confessioni in lotta, scaduta in proselitismo, si libera, torna, riprende a dire parole di vita.

Quali saranno le priorità del nuovo Papa in ambito ecclesiale e come capo di Stato?
Per prima cosa andare a Nicea, per dire che la Chiesa crede ancora, a confronto con la modernità, nel Figlio come rivelazione del Padre, per dire che non c’è un “post” al Credo di Nicea, ciò che del resto ha già fatto nella sua prima messa nella Cappella Sistina; come capo di Stato penso che riconoscerà che non è il suo mestiere.

Uno degli ultimi pensieri di Francesco è stato per la martoriata popolazione di Gaza. E adesso?
La prima cosa che ha fatto Trump è stata la deportazione e l’imprigionamento di 250 cittadini venezuelani in un lager del Salvadore; papa Francesco aveva esortato i vescovi americani ad opporvisi, cosa che il cardinale Prevost aveva fatto rivolgendosi a Trump. Ora i palestinesi che secondo Netanyahu e Trump dovrebbero essere scacciati ed estradati da Gaza sono 2milioni e mezzo, diecimila per uno. Penso che questo sia il primo e schiacciante problema che la Chiesa di papa Leone XIV deve affrontare, per essere credibile e per annunciare quel Vangelo che vuol essere la vera priorità del nuovo Papa.

10 Maggio 2025

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