L'Europa ruggisce, l'Italia pigola
Dazi, così Trump umilia Meloni
Meloni invoca i buoni uffici di Musk, ma non riesce a strappare nessuna deroga al tycoon, che ha negato anche il rinvio delle nuove misure protezionistiche al 30 aprile, come richiesto da Roma
Politica - di David Romoli

Quello che l’Italia ha ottenuto nella sua crociata europea contro la linea dura invocata dai falchi nella guerra dei dazi è un po’ di tempo. Non quanto sperava la premier ma pur sempre un lasso sufficiente a verificare la possibilità di una trattativa. Come è noto il ministro degli Esteri Tajani puntava a rinviare sino al 30 aprile anche solo la prima tranche di “contro-dazi”. Non ce l’ha fatta. La reazione ai dazi di Trump su acciaio e alluminio sarà sì divisa in due, ma la prima ondata scatterà già il 17 aprile: 48 ore prima dell’arrivo a Washington di Giorgia Meloni, salvo inconvenienti o sorprese.
Va da sé che la premier avrebbe preferito di gran lunga non arrivare su quell’onda, con prodotti di vasto consumo come i jeans e le t-shirt, oltre che alle moto Harley-Davidson, appena bollate dai dazi. In compenso l’Italia e gli altri Paesi-colombe sono riusciti a evitare un risposta bellicosa sul modello di quella cinese a breve. La seconda tranche arriverà dopo un mese, il 15 maggio, e per la vera reazione di guerra, la ritorsione per il diluvio di dazi annunciati il 2 gennaio ancora non c’è una data precisa. Dunque ci vorrà tempo. Non è quello che si augurava Roma ma non è neppure quello a cui miravano i duri di Parigi e Berlino che non solo mirano a colpire gli Usa nei settori chiave dei servizi e di Big Tech ma non escludono affatto neppure l’uso dello “strumento di coercizione economica”, amichevolmente definito “l’arma nucleare” e per questo mai adoperato. Impedirebbe di fatto ogni investimento americano nel vecchio continente, limiterebbe pesantemente il diritto d’autore più varie ed eventuali. La guerra totale.
Per ora Italia e Commissione europea si muovono all’unisono. L’Italia ha riconosciuto senza esitare la titolarità della Commissione nella trattativa. Il commissario incaricato di gestire la faccenda, lo slovacco Sofcovic, ha ringraziato calorosamente Tajani, ha cancellato dalla lista nera il bourbon americano, salvando così i vini italiani vendutissimi negli Usa, e ha fatto capire di non aver nulla contro eventuali iniziative dei singoli governi atte a facilitare il compito della Commissione nella trattativa: un tappeto rosso per la premier italiana. Sia von der Leyen che Sofcovic hanno poi indicato quasi esplicitamente l’obiettivo dell’Unione, che coincide perfettamente con quello dell’Italia e che Meloni ha ribattezzato “lo zero a zero”. Traduzione nessun dazio sui prodotti americani in Europa né su quelli europei in America. Area occidentale di libero scambio.
La proposta, ha rivelato von der Leyen, Trump la ha già cestinata nei mesi scorsi ma da allora le cose potrebbero essere cambiate. La reazione dei mercati sconsiglia una guerra commerciale su tutti i fronti e per gli Usa il fronte importante è quello asiatico e in particolare cinese. Inoltre Musk, ammesso che sull’argomento abbia qualche influenza, mira anche lui allo “zero a zero” e anche se non è riuscito a smuovere di un centimetro il presidente Meloni ritiene comunque confortante avere Elon dalla sua parte. Senza eccedere in ottimismo una certa speranza nell’avvio del negoziato a Roma c’è. Non che si tratterebbe di un negoziato facile, quand’anche The Donald fosse disposto o costretto ad avviarlo. Di certo chiederà massicci acquisti a stelle e strisce da parte dei Paesi europei.
Certamente le armi ma altrettanto certamente il gas liquido e quella fornitura, una volta finita la guerra in Ucraina, sarebbe un capestro. Nemmeno i più ottimisti dunque possono sperare che la missione di Giorgia sia risolutiva. Però l’avvio di una trattativa basterebbe e assicurerebbe alla premier italiana un ruolo centrale in Europa, del quale l’Italia potrebbe avere presto bisogno. Ieri la task force formata da premier, vicepremier e ministri direttamente interessati ha incontrato i rappresentanti delle categorie. Ciascuno ha esposto le proprie profondissime preoccupazioni e il governo cerca una strada per sostenerle senza incappare negli aiuti di Stato vietati dalla normativa europea, stornando i fondi del Pnrr attualmente stanziati per il Piano Industria 5.0.
La cifra balla fra i 5 e i 10 miliardi, più vicino alla soglia bassa che a quella alta, e se la situazione diventerà drammatica saranno gocce nel mare. Per questo è fondamentale che l’Unione accetti di rimettere mano alle sue regole, a partire dal Patto di Stabilità, e come trattativa sarà appena un po’ più difficile di quella (eventuale) con la Casa Bianca.