La reazione alla stangata di Trump

Dazi, Trump attacca ma la risposta dell’Europa alla stangata Usa è fiacca: Meloni spera in Vance

Fermezza e prontezza, senza però ostacolare l’auspicabile negoziato: l’Ue prende tempo. Tutto dipenderà dalla disponibilità di Washington. Ieri il vertice a palazzo Chigi

Politica - di David Romoli

4 Aprile 2025 alle 08:00

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AP Photo/Mark Schiefelbein
AP Photo/Mark Schiefelbein

Reagire con fermezza e persino a muso duro. Però non tanto da ostacolare l’auspicabile “negoziato”. Reagire con prontezza, ma nella sostanza lasciando alla trattativa il tempo per dispiegarsi. L’Europa reagisce all’affondo di Trump con un doppio registro, dunque di fatto prendendo tempo: almeno fino alla fine di questo mese. Poi tutto dipenderà dalla disponibilità di Washington ad aprire la suddetta trattativa: quella è una carta coperta, si può solo andare a sensazione, sperare e tenere le dita ben intrecciate.

Dunque Ursula von der Leyen agita la minaccia del bazooka ma per ora si guarda bene dall’impugnarlo. Non per questioni di gentilezza, parola usata con frequenza da Trump, ma di calcolo. Gli analisti economici prevedono che il costo dei dazi sull’economia Ue sarà pari allo 0,3% complessivo. Con una risposta a colpi di dazi europei sull’import americano la mazzata arriverebbe allo 0,5% del Pil. Il dilemma è tutto qui. “Siamo sempre stati pronti a negoziare con gli Usa ma allo stesso tempo siamo pronti a reagire. Abbiamo già pronto un primo pacchetto di contromisure in risposta ai dazi sull’acciaio. Ci prepariamo a ulteriori contromisure per proteggere i nostri interessi e le nostre imprese nel caso in cui i negoziati dovessero fallire”.

Per verificare quanto la trattativa sia una prospettiva reale e quanto una rosea illusione oggi il commissario europeo per il Commercio Sefcovic, che ieri ha visto Tajani, dovrebbe incontrare una delegazione americana, dopo essere stato ieri in contatto con Washington tutto il giorno. Le eventuali contromisure europee, comunque, non si limiterebbero a un aumento dei dazi, che non colpirebbe a fondo l’import dagli Usa che è costituito soprattutto dalla Big Tech. Le armi di guerra si allargherebbero a tasse e leggi per penalizzare le corporation, ma tutti si rendono conto che questo potrebbe innescare una ulteriore escalation. Panorama apocalittico.

A Roma la premier, dopo aver definito già a botta calda, nella notte tra martedì e mercoledì, “uno sbaglio” la decisione dell’amico Trump ha cancellato ieri tutti gli impegni per convocare una riunione di tutti i ministri interessati, più i vicepremier incluso Tajani in collegamento: non solo un vertice ma la formazione di quella che diventerà una stabile task force per monitorare la crisi passo dopo passo. Il vertice non ha preso decisioni drastiche e non avrebbe potuto farlo: la politica commerciale è di spettanza della commissione europea, i singoli Stati possono solo farsi sentire per condizionarne le decisioni e l’Italia lo farà per mitigare la portata esplosiva dell’eventuale contromossa.

Il ministro Urso, subito dopo il summit di palazzo Chigi, lo dice apertamente: “Bisogna reagire ma in modo intelligente, senza farci male da soli. Un’escalation di ritorsioni innescherebbe una devastante guerra commerciale”. Urso chiede una moratoria sul Green Deal per le auto: “Quelle regole hanno portato al collasso l’industria dell’auto”. Tajani, dal canto suo, segnala agli americani che lo spostamento sul riarmo del 5% del Pil chiesto dagli Usa si concilia malissimo con i dazi. Il governo, infine, chiede a Bruxelles la convocazione di un Consiglio europeo straordinario per mettere a punto la risposta comune. Ma, anche se nessuno lo dice, la premier spera che l’incontro con Vance, probabilmente in agenda per il 19 aprile, sblocchi qualcosa. Nonostante i sospetti l’ipotesi di una trattativa italiana separata non è nel novero delle possibilità reali. I trattati europei lo proibiscono, significherebbero uscire dall’Unione.

E’ possibile che i governanti sperino in uno sconticino unilaterale, in nome dei buoni rapporti tra forze politiche affini ma sarebbe comunque poca cosa. L’obiettivo è verificare se il tycoon ha mostrato brutalmente i muscoli per poi trattare abbassando almeno un po’ il tiro o se è deciso ad andare avanti come un panzer. Tutti sperano nella prima ipotesi naturalmente, ma a gelare l’ottimismo è arrivato ieri pomeriggio un messaggio conciso ma esaustivo dalla portavoce della Casa Bianca: “Se avessero voluto negoziare avrebbero avuto 70 anni per farlo. Invece hanno truffato i lavoratori americani. Questa non è una negoziazione: è un’emergenza nazionale”. Amichevole…

 

4 Aprile 2025

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