L'appello

Noi ebrei contro la pulizia etnica a Gaza

In un contesto in cui leader di comunità ebraiche si esprimono come se fossero l’ufficio stampa del governo Netanyahu, è come ebree ed ebrei che abbiamo voluto esprimere il nostro dissenso. Questo appello è un inizio, speriamo, di nuova forza collettiva e lucidità.

Esteri - di Daniel Levi, Susanna Montesano

28 Febbraio 2025 alle 20:59

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AP Photo/Abdel Kareem Hana
AP Photo/Abdel Kareem Hana

Testo elaborato collettivamente da LəA (laboratorio ebraico antirazzista) – Mercoledi su Repubblica e Manifesto è stato pubblicato un appello contro la pulizia etnica a Gaza e in Cisgiordania promosso da LəA – Laboratorio Ebraico Antirazzista – e Mai indifferenti Voci ebraiche per la pace, e firmato da 215 ebree ed ebrei italiani. Due reti che si battono per una giusta pace in Medio Oriente, in opposizione alle politiche di segregazione e occupazione in Palestina, contro l’antisemitismo e ogni forma di razzismo presente all’interno delle nostre società. Questo il testo: “Trump vuole espellere i palestinesi da Gaza. Intanto in Cisgiordania prosegue la violenza del governo e dei coloni israeliani. Ebree ed ebrei italiani dicono: NO alla pulizia etnica! L’Italia non sia complice”.

L’appello è uscito in concomitanza con altri due eventi. Uno è la pubblicazione di un orrendo video sui social media di Donald Trump, in cui un’intelligenza artificiale ha immaginato Gaza svuotata dei suoi abitanti e trasformata in una volgare Las Vegas del Medio Oriente. Sarebbe da derubricare nel grottesco, se non venisse dal Presidente degli Stati Uniti, e nel mezzo di una campagna militare che cerca di trasformare quel sogno distopico in realtà. La seconda, sfortunata, coincidenza, è quella con il funerale dei Bibas e della madre. Un momento di grande lutto tanto in Israele quanto per molti ebrei italiani. Un momento doloroso anche per noi, che proviamo pena come per tutte le altre vittime di questo terribile anno e mezzo. Questa coincidenza ha causato una certa dissonanza emotiva in alcune persone in linea di principio d’accordo con l’appello. Ciò rispecchia purtroppo un fatto più ampio: la difficoltà, mentre giustamente si piangono i “propri” morti, di vedere anche il dolore altrui e le proprie responsabilità – che sono enormi nel caso di Israele.

In queste ore abbiamo letto le critiche e ne abbiamo parlato, tra promotori, tra firmatari, con famiglie e amicizie. La sensazione è che il dibattito non rappresenti solo un evidente conflitto ma un’occasione per parlarsi come collettività e provare a sciogliere nodi per evolvere Critici “moderati” hanno opinato sull’opportunità di parlare di pulizia etnica, o sono stati spaventati da questa parola, immaginando un’equiparazione al crimine della Shoah. Altri hanno detto di non voler replicare il gioco di “Davide discolpati”, dividendo tra ebrei buoni e cattivi. Quelli più di destra si sono messi a tirare in ballo i sempiterni “valori occidentali” contro le tenebre “orientali e islamiche” di Hamas. Di tutte queste critiche, ovviamente alcune ci colpiscono per la veemenza e per un particolarismo etnico estremo, che è la linfa per l’apparato ideologico che rende possibile la continua e sempre più violenta oppressione del popolo palestinese: le nostre vite contano, quelle degli “altri” no.

Altre ci indicano invece dei ragionamenti che dovremmo e vorremmo decostruire: gli ostaggi, e specularmente le centinaia di palestinesi ingiustamente incarcerati, invece che essere sbandierati come la prova vivente del bisogno di vendetta, sono la prova del bisogno di immaginare un futuro basato sulla libertà e non sulla privazione della libertà: in primo luogo, smantellando il sistema oppressivo e illegale dell’occupazione israeliana. C’è poi chi ha paragonato i firmatari dell’appello agli ebrei che negli anni Trenta aderirono al fascismo, ricordando loro che anch’essi furono deportati e sterminati. (Per non parlare di tutti i coloro che hanno esordito mettendo in discussione l’ebraicità dei firmatari, o hanno attaccato con insulti e minacce tramite post sui social e mail inviate alle caselle personali.) Il paragone con gli ebrei fascisti lo rimandiamo senz’altro al mittente, invitando a guardare ai fascisti in Israele, come Ben Gvir e Smotrich, o a chi in Italia ha recentemente creato una “brigata” il cui nome è quello, per l’appunto, di un fascista ebreo italiano (Dario Vitali) e che ha imbrattato un liceo pubblico, e con questo la libertà di dialogo ed espressione.

Infine ci sono le posizioni di persone che stimiamo profondamente, sopravvissute alla Shoah, e che spesso peraltro si sono esposte criticando politiche israeliane ma che non amano l’uso del termine ‘pulizia etnica’. Le accogliamo con il massimo ascolto e rispetto, e ci fanno venire voglia di spiegarci. Il concetto di pulizia etnica, coniato per i Balcani e non per la Shoah, non appartiene a nessuno, ma è semplicemente uno dei tanti concetti disponibili per descrivere la realtà del mondo. Ha il significato politico, più che necessariamente giuridico, che una minoranza etnica sta venendo mandata via o uccisa a beneficio della creazione di un’omogeneità etnica in un territorio. Non vogliamo perderci nelle parole: per noi è difficile non si riconosca che ciò in Palestina è avvenuto (nel ‘48 e in tanti altri momenti), sta avvenendo a Masafer Yatta e altri luoghi della Cisgiordania, ed è una minaccia concreta che incombe oggi su Gaza. In un contesto in cui leader di comunità ebraiche si esprimono come se fossero l’ufficio stampa del governo Netanyahu, è come ebree ed ebrei che abbiamo voluto esprimere il nostro dissenso. Questo appello è un inizio, speriamo, di nuova forza collettiva e lucidità.

di: Daniel Levi, Susanna Montesano - 28 Febbraio 2025

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