Le beghe a destra
Marina Berlusconi ‘commissaria’ Tajani e incalza Meloni: “Allarmata da Trump che vuole fare il rottamatore dell’Occidente”
“No al muro contro muro, Donald è un alleato”. Al vertice informale di Parigi convocato per contrastare il tycoon la premier fa la damigella dei sovranisti Usa
Politica - di David Romoli

La premier italiana è partita per Parigi pochissimo convinta: per alcune ragioni confessabili e per altre non pubblicamente ammissibili anche se ben chiare. Teme che la formula del “vertice informale” convocato dal presidente francese rischi di essere un segnale di debolezza invece che di forza. Avrebbe di gran lunga preferito un Consiglio europeo straordinario, con tutti i crismi istituzionali del caso. Le proteste dei Paesi europei esclusi, molti dei quali sono oltretutto quelli che a torto o a ragione si sentono in prima linea e direttamente minacciati, hanno rafforzato dubbi e scetticismo.
I motivi inconfessati sono anche più strutturali e si riducono a uno: Giorgia Meloni non vuole mollare l’Europa per passare armi e bagagli dalla parte del presidente americano ma neppure vuole che tra la sua destra e quella di Trump, che è poi anche quella di buona parte dell’Europa, si arrivi a uno strappo irrecuperabile. Il commento che ha fatto filtrare sul discorso di Vance, che la Ue ha vissuto giustamente come un sonoro e sprezzante ceffone, evidenzia la volontà di smarcarsi dall’indignazione dell’establishment di Bruxelles e delle principali capitali europee: “Su diritti e libertà ha ragione, non sui toni e sulla pretesa di dar lezioni all’Europa”.
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La sua linea resta quella che il 3 febbraio scorso, al Consiglio europeo, la aveva spinta a fronteggiare proprio Macron: “Trump è un alleato ed è un negoziatore: no al muro contro muro”. Il confronto si ripete e si ripeterà ancora. La diversa disposizione a fronte dell’offensiva di Trump e Vance si riflette in realtà anche in materia di Ucraina: il fronte più delicato e incandescente della contesa tra Usa e Ue. Immaginare una piroetta della presidente italiana in seguito alla vittoria del tycoon negli Usa è inevitabile ma solo parzialmente giusto. Da mesi, in realtà, a palazzo Chigi era palpabile una certa esasperazione nei confronti di Zelensky: l’avvento di Trump ha solo permesso di mettere un po’ più da parte le comprensibili remore.
Certo, la premier e il suo partito non hanno esitato ieri a far muro in difesa di Sergio Mattarella, preso di mira per la seconda volta in pochi giorni dalla portavoce del ministero degli Esteri russo Marija Zakharova e stavolta con qualche minaccia esplicita: “Aver equiparato la Russia al Terzo Reich non può e non potrà mai rimanere senza conseguenze”. Tutti, maggioranza e opposizione, prendono le difese di Mattarella con gran fragore, tranne la Lega che solidarizza sì ma senza far esporre i pezzi da novanta. Il Colle data la delicatezza estrema del momento ha deciso di non rispondere e di non commentare, anche se qualcosa Mattarella potrebbe dire oggi. Ma un po’ il Quirinale si aspetta che il governo, come reclamano Gentiloni e Calenda, faccia un passo ufficiale e formale: insomma che convochi l’ambasciatore. Giusto per non dare la sensazione che la premier, solidarietà a parte, si smarchi dalle parole acuminate del presidente.
Ma che Giorgia voglia muoversi davvero su questa linea non è affatto detto. Non perché non condivida il giudizio sferzante di Mattarella su Putin ma perché sa perfettamente che la partita, e anche lo scambio al vetriolo tra Roma e Mosca, è rivolto a Trump o è conseguenza della politica di Trump. Il monito del presidente italiano voleva mettere in guardia Usa e Ue dall’arrendevolezza rivelatasi inutile e anzi nefasta nel 1938 a Monaco. Parlava di Putin perché il tycoon intendesse. E Mosca attacca così duramente il capo dello Stato italiano per lanciare un messaggio a un’Europa che recalcitra di fronte alla svolta che la Casa Bianca intende imporre, con massimo gaudio del Cremlino.
In questo caotico quadro complessivo, spicca la nettezza della posizione che ha assunto Marina Berlusconi e tanto più in quanto l’erede del Cavaliere è molto parsimoniosa nell’esposizione pubblica. “Una pace fatta sulla pelle di Kiev e dell’Europa non sarebbe un bene”, afferma invece senza perifrasi la manager. Si dice allarmata per la possibilità che il presidente americano possa ambire a farsi “rottamatore dell’Occidente demolendo tutto ciò che l’America è stata negli ultimi ottant’anni”. Toni tanto espliciti sono poco consueti per Marina Berlusconi, tanto più che il partito del quale è azionista di maggioranza esprime il ministro degli Esteri al quale spetterebbe assumere posizioni così nette. Ma Tajani deve remare nella direzione indicata dalla capitana Giorgia e non è quella dello scontro frontale con Trump. Donna Marina ha dovuto incaricarsene in prima persona.