Il delirio a Monaco

Vance a Monaco spiega la dottrina Trump all’Europa, vera nemica del presidente: i deliri sull’asse Russia-Usa

Il vice di Trump: “La minaccia all’Europa viene dall’interno, si allontana dai suoi valori fondamentali condivisi con gli Usa. La libertà di parola è in ritirata”. Il presidente tedesco: “La nuova amministrazione americana non ha riguardo per le regole”.

Esteri - di Umberto De Giovannangeli

15 Febbraio 2025 alle 12:00

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AP Photo/Matthias Schrader
AP Photo/Matthias Schrader

Si “annusano”. E non si piacciono. Non è solo il futuro dell’Ucraina a dividerli. È la “dottrina Trump” che fa da convitata di pietra a Monaco. Una dottrina che non piace all’Europa. O, quantomeno ai padroni di casa tedeschi.

“L’amministrazione di Trump non ha riguardo per le regole stabilite”. Non le manda a dire, il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier parlando in apertura alla conferenza di sicurezza. “La nuova amministrazione americana ha un diverso modo di vedere il mondo rispetto noi, che non ha riguardo per le regole stabilite, la partnership e la fiducia. Questo non possiamo cambiarlo”, rimarca Steinmeier. E ancora: “Un make a deal and leave indebolirebbe l’Ucraina, l’Europa e anche gli Usa”, ammonisce il presidente tedesco. “Un’Ucraina fallita indebolirebbe l’Europa, ma indebolirebbe anche gli Stati Uniti. Intensificherebbe le sfide nell’Indo-Pacifico e minaccerebbe i nostri interessi comuni. Perché ciò che abbiamo visto è che gli autoritari di questo mondo stanno osservando attentamente se c’è impunità se invadi il tuo vicino e violi i confini internazionali. O se ci sono veri deterrenti. Ci stanno osservando, quali azioni scegliamo di intraprendere. Ecco perché è così importante che facciamo le cose per bene”, gli fa eco la (tedesca) presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel suo intervento alla Conferenza di Monaco.

Nelle stesse ore il Cremlino va all’attacco del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, riferisce la Tass, ha condannato come “invenzioni blasfeme” le parole del Capo dello Stato che in un discorso all’università di Marsiglia la scorsa settimana aveva paragonato la Russia al Terzo Reich nazista per il suo attacco all’Ucraina. Quanto all’Ucraina, parlando con i giornalisti a Monaco il presidente Zelensky ha fatto sapere che Kiev è pronta a «parlare di tutto» e a negoziati costruttivi, ma gli Stati Uniti d’America non hanno ancora predisposto un piano per porre fine alla guerra su vasta scala. Lo riportano i media ucraini. “Non vedo che c’è un piano pronto negli Stati Uniti. Sono pronto a parlare realisticamente in qualsiasi momento. Siamo pronti a parlare di tutto, dal contingente alle garanzie di sicurezza. Siamo pronti a qualsiasi costruzione per fermare Putin”, ribadisce Zelensky, per poi aggiungere che l’Ucraina parlerà con la Russia solo quando Washington, Kiev e gli alleati europei avranno raggiunto una posizione comune.

«Siamo pronti a qualsiasi conversazione con l’America e i nostri alleati. Se ci forniranno risposte specifiche alle nostre richieste specifiche, e una comprensione comune del pericoloso Putin, allora, con la nostra posizione unitaria, saremo pronti a parlare con i russi», ha affermato Zelensky. «Non voglio essere la persona che passa alla Storia per aver permesso a Vladimir Putin di occupare il mio Paese e non lo farò mai», dichiara il presidente ucraino. Per questo, ha aggiunto Zelensky, «bisogna fare pressione su Putin» e per questo «spero di andare a Washington presto» per delineare un piano comune prima di un incontro tra il presidente Donald Trump e Putin. «Con il presidente Trump ho avuto una buona conversazione. Mi ha detto che Putin vuole mettere fine alla guerra. Ma io gli ho detto che è un bugiardo: io spero che possa succedere ma non mi fido di Putin», spiega Zelensky. «Le telefonate sono telefonate, quello che conta sono gli incontri. Ma non accetteremo decisioni sull’Ucraina senza l’Ucraina», ribadisce il presidente ucraino aggiungendo che Trump lo ha invitato a Washington.

Di certo, l’America di Trump non fa niente per mascherare o addolcire il suo disprezzo verso il vecchio continente. Altro che alleati. Manco i servi si trattano così.
«La minaccia che mi preoccupa di più nei confronti dell’Europa non è la Russia, non è la Cina, non è nessun altro attore esterno; ciò che mi preoccupa è la minaccia dall’interno, l’allontanamento dell’Europa da alcuni dei suoi valori più fondamentali, valori condivisi con gli Stati Uniti d’America». La mazzata verbale viene inferta dal vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance presente alla Conferenza di Monaco.

È un fiume in piena, il vice di Trump. L’auditorio l’ascolta allibito. Che il tycoon e la sua squadra di governo non amino l’Europa, buona solo se compera armi made in USA, è cosa risaputa. Ma fino a questo punto… «In Gran Bretagna e in tutta Europa, temo, la libertà di parola è in ritirata. A quanto pare, non si può imporre l’innovazione o la creatività, così come non si può forzare le persone su cosa pensare, cosa sentire o cosa credere, e crediamo che queste cose siano certamente collegate. E sfortunatamente, quando guardo l’Europa oggi, a volte non è così chiaro cosa sia successo ad alcuni dei vincitori della Guerra Fredda», incalza Vance. Durezza mista a ironica strafottenza. «Se la democrazia americana può sopravvivere a 10 anni di ‘critiche’ da parte dell’attivista per il clima Greta Thunberg, l’Europa può ‘sopravvivere’ a qualche mese di Elon Musk», sentenzia il numero due della Casa Bianca.

Ma dello stesso avviso di Vance non sono i quattordici procuratori generali di stati democratici che hanno intentato una causa contro Elon Musk e Donald Trump, contestando il potere affidato a Musk per la sua iniziativa di riduzione dei costi, conosciuta come il Dipartimento per l’efficienza governativa (DOGE). I procuratori generali coinvolti nella causa, provenienti da stati come New Mexico, Arizona, Michigan, California e altri, accusano Trump di aver violato la Costituzione, in particolare la clausola di nomina, concedendo a Musk poteri vastissimi «Musk ha trasformato una posizione marginale in una posizione senza limiti e controlli», si legge nella denuncia, depositata presso la Corte distrettuale federale del distretto di Columbia. La causa prosegue, sottolineando come l’attribuzione di poteri senza controllo a un individuo non eletto contrasti con il sistema costituzionale del paese. Oltre a sollevare preoccupazioni costituzionali, gli stati accusano Musk di danneggiare i residenti, mettendo a rischio miliardi di dollari di finanziamenti federali destinati a servizi essenziali come l’istruzione, la sanità e l’applicazione della legge.

In particolare, viene evidenziato come la proposta di smantellare il Consumer Financial Protection Bureau possa costringere gli stati a dover impiegare risorse aggiuntive per proteggere i propri cittadini. Parallelamente, il State Democracy Defenders Fund, che ha presentato una causa separata, sostiene che Musk stia esercitando “un’incredibile quantità di potere” e che le sue azioni violino la Costituzione. In questa causa, i querelanti chiedono che Musk e il suo team interrompano le loro attività fino a quando non sarà conferito un mandato formale e appropriato al dirigente. Per tornare allo show del vice di Trump a Monaco, c’è anche spazio per una battuta, che poi tanto scherzosa non è. “Con Donald Trump c’è un nuovo sceriffo a Washington”, dice Vance. Più che una freddura, appare un incendiario avvertimento.

A margine della conferenza, William Martin, direttore della comunicazione del vicepresidente Usa, in un post su X ha smentito il Wall Street Journal che ha riferito che in un’intervista Vance ha minacciato l’invio di truppe Usa in Ucraina dicendo che l’opzione rimane “sul tavolo” se Mosca non negozierà in buona fede. «Questa è una pura fake news», ha detto Martin, «il vicepresidente non ha fatto alcuna minaccia. Ha semplicemente affermato che nessuno toglierà opzioni al presidente Trump all’inizio di questi negoziati». Insomma, lo zar può stare tranquillo, The Donald non ha propositi bellicosi.

Nel frattempo, l’Arabia Saudita si è detta disponibile a ospitare il vertice tra il leader del Cremlino e il presidente degli Stati Uniti. «Il Regno esprime la sua disponibilità a ospitare il summit in Arabia Saudita e ribadisce gli sforzi in corso per raggiungere una pace duratura tra Russia e Ucraina», ha affermato il ministero degli Esteri saudita in una nota, senza indicare una data. Nelle scorse ore Trump ha affermato che lui e Putin «si sarebbero incontrati probabilmente in Arabia Saudita per la prima volta». Per il tycoon Riad conta mille volte di più di Bruxelles. E non passa giorno che non lo dimostri.

15 Febbraio 2025

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