I lager dell'orrore
Il metodo Almasri, stupri, torture ed esecuzioni: le testimonianze sull’aguzzino della Libia che l’Italia protegge
Dai materiali che Nordio sta “valutando” emergono orrori senza fine perpetrati nei lager libici diretti dall’uomo che il governo ha scarcerato. Anche nei confronti dei cristiani di cui Salvini e Meloni si sono fatti paladini
Politica - di Luca Casarini

“Non devi avere la croce al collo, non devi dire che sei cristiano! Se lo scoprono o ti ammazzano, o ti torturano il doppio. Loro odiano i cristiani”. Il racconto di L.M., giovane sudanese di 23 anni passato per il campo di detenzione di Zawhia, uno di quelli nelle mani di Almasri, è simile a tantissimi altri, raccolti per anni da investigatori delle Nazioni Unite, da operatori umanitari, da commissioni territoriali che vagliano le richieste di asilo, da giornalisti. Aver permesso che uno dei capi del traffico di esseri umani in Libia, fuggisse alla cattura ordinata dalla Corte Penale Internazionale, significa anche questo: aver favorito la persecuzione religiosa, in particolare dei cristiani. Non è male per soggetti politici che qui da noi sventolano i rosari ai comizi, o urlano ai quattro venti che “Dio è con loro”.
La persecuzione dei cristiani è uno dei capi di imputazione scritti nel mandato di cattura del torturatore che il governo italiano ha prima tirato fuori dal carcere a Torino, e poi riaccompagnato a Tripoli con un volo di stato. “Quelli che stanno lì, nel lager, da più tempo, te lo dicono subito: impara che il Corano ha 5 preghiere, le shure, che prima di pregare bisogna dire ‘Nel nome di Allah Clemente e Misericordioso’. Se ti interrogano e scoprono che sei cristiano, che non sai pregare il loro Dio, è meglio che il tuo abbia pietà di te”. Almasri è descritto nella “copiosa documentazione” che Nordio probabilmente “sta ancora valutando”, come un sadico aguzzino. Uno al quale piace non solo ordinare le torture, ma farle con le sue mani. L’altra sera, dopo i festeggiamenti organizzati dai suoi miliziani per festeggiare il ritorno in pompa magna, fonti libiche in loco hanno raccontato di ingressi nel famigerato lager di gruppi di uomini eccitati, probabilmente strafatti di captagon, la droga che gira tra le milizie armate, che cercavano donne.
Gli stupri di gruppo, a Mitiga, a Zawhia, ad Ain Zara, a danno delle donne e bambine migranti, sono la regola. Fanno parte del “bottino di guerra”, come in tutte le guerre. Per reggere e convivere intimamente con un tale livello di atrocità, che diventa una droga peggio del captagon e viagra in corpo a maschi frustrati e imbestialiti, non possono bastare giustificazioni terrene. Bisogna tirare fuori la storia di un Dio che ti ordina di farlo, al quale non puoi sottrarti, e che ti approva alla fine. È il Demonio, come direbbe qualsiasi credente, ma questo demonio non si presenta con le corna, la coda e il tridente. Si presenta come fosse Dio, e si mette a disposizione perché tu possa fare cose indicibili, continuando poi a vivere, ad alzarti la mattina, anche a dare una carezza ai tuoi figli prima di uscire di casa. Accade a questi giovani miliziani libici della Rada, la milizia di origine salafita di Almasri, nati e cresciuti nella violenza e non per colpa loro, indottrinati non all’Islam, ma all’odio e al disprezzo della vita umana, e accade qui da noi, ad ogni frontiera, in mare e in terra, dove “buoni cristiani” che hanno potere, o quelli che non ne hanno ma li seguono, hanno la responsabilità diretta delle sofferenze e della morte di migliaia di donne, uomini e bambini innocenti. E la “religione”, usata come scusa per alimentare l’odio, salta sempre fuori.
Se le persecuzioni dei cristiani aumentano nel mondo dell’altra sponda del Mediterraneo, da questa parte sale l’islamofobia, l’intolleranza, il rifiuto dell’altro. La presa di posizione dei Vescovi statunitensi, dopo che gli squadroni di polizia ed esercito hanno cominciato le retate di migranti, entrando anche nelle chiese, per dare seguito al primo dei 100 “ordini esecutivi” di Trump, la “deportazione di massa”, dice chiaramente a che livello siamo anche qui, nel nostro emisfero. Due anni fa, con Don Mattia Ferrari, ci siamo imbattuti in questo intreccio malefico che mette insieme il sistema di respingimento dei migranti, quello dei patti Italia- Libia e Italia-Tunisia, e persecuzione dei cristiani.
Un ragazzo del Camerun, da un rifugio nei pressi del lager di Ain Zara, uno di quelli “governativi”, ha rintracciato il suo numero di telefono, e lo ha chiamato. Sapeva che era un prete cattolico, e gli ha fatto una richiesta shock: un suo amico, cristiano anche lui, stava morendo, lì al suo fianco, disteso a terra. Lo avevano buttato fuori da Ain Zara per questo. Perché morisse da qualche parte, per non dover poi fare la fatica di seppellirlo. Le torture e le privazioni di acqua e cibo, stavano per far finire la sua vita. Il ragazzo ha chiesto a Don Mattia se poteva assistere questo suo amico nel momento della morte, assicurargli la benedizione, accompagnarlo con la preghiera. In videochiamata Don Mattia è stato vicino a questo fratello che poco dopo è spirato. Si vedeva, nella penombra, qualcosa appeso al muro del tugurio. Era una croce fatta di legno, appoggiata ad una parete, davanti alla quale questi ragazzi pregavano di nascosto. Ci siamo fatti inviare la foto, e l’abbiamo fatta vedere a papa Francesco, raccontandogli questa storia.
Siamo rimasti in contatto con il ragazzo della telefonata: miracolosamente è riuscito a fuggire da quel posto e dalla Libia, via mare, e ha raggiunto l’Italia. Non è passato molto tempo, e il Santo Padre ha voluto conoscerlo, abbracciarlo. Non dimenticherò mai quell’incontro: lui, il ragazzo, tentava di inginocchiarsi davanti a Francesco, e il papa lo tratteneva in piedi, stringendolo. I banditi che vengono assoldati per garantire che i migranti “non partano”, sono ovviamente gli stessi che gestiscono il traffico degli esseri umani. Non quelli che guidano la barchetta o il barcone, che prendono vent’anni di galera quando arrivano in Italia. I capi, come Almasri. E anche i traballanti governi locali, sia in Libia che in Tunisia, a chi affidano “il controllo dei confini” istituzionalmente? A quelli che li controllano veramente, come Almasri. Per “gestire” masse di esseri umani che hanno comprato il viaggio dai loro paesi affidandosi all’unico canale possibile, quello dei trafficanti, e arrivano in Libia con la promessa “dell’ultimo miglio”, la traversata via mare, servono clan, milizie, piccoli eserciti organizzati ma soprattutto, disposti a tutto.
Con i patti Italia-Libia, la grande strategia era: gli proponiamo di convertire il business. Invece di partenze, li riempiamo di soldi per fermarli i migranti. Se lo fanno con metodi poco ortodossi? Problemi loro. E già dai tempi dei governi di centrosinistra, la narrazione era quella che attribuiva a questi patti, la funzione di stabilizzare i paesi devastati come la Libia, e avviarli verso un percorso “democratico”. Ovviamente si è ottenuto esattamente il contrario: oggi anche la Libia, come la Tunisia, sono in ostaggio di milizie che hanno accumulato talmente tanti soldi e potere, da essersi presi anche i ruoli istituzionali chiave: la “polizia”, la “guardia costiera”, il ministro degli interni e così via. La Corte Penale Internazionale ricostruisce come nel lager di Mitiga, Almasri abbia torturato e ucciso anche dissidenti politici, sindacalisti, avvocati per i diritti umani. E cristiani libici, che sono diventati dei fantasmi per la paura di essere perseguiti per “attività che minano la sicurezza nazionale”, come la fede a un Dio non autorizzato.
Questa situazione, ma lo hanno sempre saputo i governi italiani e anche l’Unione Europea, non poteva che generare dei mostri: come si fa a gestire un trattenimento per migliaia di persone, quando quelle persone non vogliono essere trattenute? Solo con la violenza, la paura, la morte. E chi può applicarsi a questo orrore, a farlo diventare un lavoro addirittura istituzionalizzato, che per quanto sia ben pagato, rimane pur sempre atroce? Solo i peggiori, quelli nati e cresciuti in quell’odio indispensabile a rendere efficace, sistematica e in fondo “professionale” la violazione dei diritti umani e della dignità delle persone. Quindi, i peggiori, come Almasri, i più feroci ed ambiziosi di potere, sono diventati personalità dello Stato. Ci vuole un retroterra culturale costruito ad arte per poter reggere tutto questo, anche in quei paesi. L’autocrate tunisino Saied ad esempio, quando è stato pressato dall’Italia e dall’Europa perché trovasse il modo, in cambio di soldi, di fermare i migranti che attraversavano il paese per poi imbarcarsi verso la Sicilia, ha pronunciato il famoso discorso alla nazione sulla “sostituzione etnica”.
Nel febbraio del 2023, dopo ben tre viaggi della premier italiana accompagnata in un caso anche da Ursula von der Leyen, ha spiegato ai tunisini che “c’è un piano per far diventare la Tunisia da paese arabo musulmano a africano cristiano”. Insomma, come succede da noi, a parti rovesciate. Ci voleva quindi “un clima” per poter non solo giustificare nefandezze di ogni tipo comprese le deportazioni nel deserto di donne, uomini e bambini, ma anche perché la gente “collaborasse alla difesa della patria”, i cui problemi derivavano tutti da questi “stranieri”, che non erano più semplicemente migranti, ma “africani e cristiani”, invasori di una fantomatica nuova crociata contro l’islam. Da quel momento i rifugiati sono stati presi, dalla gente non solo dalla polizia, dentro le case che li ospitavano, cacciati a bastonate, uccisi, fatti fuggire in mezzo alle campagne.
Le chiese, poche, sono un rifugio. Ma devono fare attenzione: chi aiuta i migranti rischia di finire in galera, come coloro che ci sono già finiti proprio per questo. E dunque, come paradosso, stiamo alimentando, anche grazie a scelte come quelle sul torturatore di Mitiga e capo della polizia giudiziaria libico, la persecuzione ai cristiani nei paesi islamici dell’altra sponda del Mediterraneo, e nei nostri paesi cristiani l’intolleranza verso gli islamici che ”ci invadono”. Che può accadere in questo contesto che abbiamo creato, se non cose come quelle alle quali nessun democratico, nessun cristiano, nessuna persona per bene pensava di dover assistere? Vengono giustificate come “ragion di Stato” da ministri e capi di governo. E infatti, Dio non c’entra proprio niente.