Le dichiarazioni del ministro
Piantedosi inguaia Meloni e Tajani: tutte le bugie del caso Almasri
“Dopo aver informato il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri” dice l’art. 13 con cui l’ex prefetto giustifica l’espulsione su volo di Stato
Politica - di Angela Nocioni

Matteo Piantedosi infila il dito indice nell’orecchio sinistro. Si tira da solo il lobo dell’orecchio destro. Svita e avvita il tappo della sua penna stilografica. Si gratta la sommità della testa. Mette su un broncio con labbra a trombetta. E si rifiuta di spiegare al Senato perché il governo italiano ha esfiltrato in gran fretta il torturatore Almasri, che lui chiama “il cittadino libico”, sottraendolo al mandato d’arresto della Corte internazionale dell’Aja.
Giorgia Meloni si è nascosta dietro la disponibilità di Piantedosi a fare una figura tapina a Palazzo Madama al suo posto e a guadagnarsi così quell’ “abbiamo già un ministro degli Interni ed è un ottimo ministro degli Interni” con cui la premier lo ha recentemente blindato il Viminale preteso da Salvini. Al question time in un’Aula semideserta – nemmeno 40 senatori presenti – la presidente del Consiglio ha mandato l’”ottimo ministro degli Interni” a non rispondere a due interrogazioni sul Falcon dei servizi fatto decollare il 21 gennaio da Ciampino per esser pronto a Torino a prendere a bordo il torturatore libico Almasri già molto prima che la Corte d’appello ne disponesse la scarcerazione perché Nordio non aveva richiesto il suo arresto come avrebbe dovuto fare per legge. Basta l’orario di decollo del Falcon per mostrare che la decisione di sottrarre il libico alla Corte Penale Internazionale era stata già presa dal governo prima dell’annuncio della non convalida delle misure cautelari da parte della Corte d’appello di Roma competente sulle richieste della Corte dell’Aja e le poche parole pronunciate (leggendo) ieri da Piantedosi lo confermano.
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Perché dopo la scarcerazione un ricercato dalla Cpi è stato accompagnato in gran fretta a Tripoli con un volo di Stato, perché non è stato mantenuto a disposizione in Italia per esempio sotto libertà vigilata, chiedono dai banchi del Pd? La risposta di Piantedosi inguaia sia Meloni che Tajani. “In seguito della mancata convalida da parte della Corte d’appello – dice il ministro – il cittadino libico era a piede libero, presentava un profilo di pericolosità sociale come emerge dal mandato d’arresto della Corte penale internazionale quindi io ho adottato un provvedimento di espulsione per motivi di sicurezza dello Stato ai sensi dell’art 13 comma 1 del testo unico immigrazione”. Quell’articolo è quello che si usa per allontanare dal territorio nazionale soggetti considerati pericolosi (ma non inseguiti da mandati d’arresto), per esempio persone che si ha motivo di credere siano fiancheggiatori dell’Isis.
Quell’articolo, però, prevede che il ministro possa ordinare l’espulsione solo “dandone preventiva notizia al presidente del consiglio e al ministro degli esteri”. E Almasri non era un soggetto che si poteva considerare pericoloso ma senza pendenze, era oggetto del mandato di cattura su richiesta della Corte penale internazionale. Citato a sproposito, ma non a caso – proprio per nulla a caso – l’articolo 13 del testo unico sull’immigrazione, Piantedosi è sgusciato dietro “la disponibilità del governo a dare un’informativa con maggiore dettaglio la prossima settimana. Sarà quella l’occasione utile per approfondire e riferire su tutti i passaggi della vicenda inclusa la tempistica riguardante la richiesta, emissione di esecuzione del mandato internazionale”.
L’intenzione è continuare sul solco su cui è già stato mandato avanti Tajani nella delegittimazione della Corte con toni trumpiani. Si dirà: allora perché Almasri non è stato fermato in Francia o in Germania, perché hanno aspettato che entrasse in Italia? Come se non fosse interessante vedere prima di fermarlo con chi si incontrasse, dove andasse e con chi parlasse. Nel jet arrivato a Tripoli nel tripudio di banditi vari sotto gli occhi degli agenti dei nostri servizi segreti, oltre ad Almasri c’erano anche i tre libici che l’hanno accompagnato ovunque.
I tre, non avendo carichi pendenti in Italia, quando Almasri è stato portato alle Vallette, non sono stati arrestati. In una notizia Ansa delle 13.08 del 21 si legge: “Almasri si trova al momento ancora in carcere a Torino, dopo esser stato arrestato domenica in un albergo. A quanto si apprende l’uomo si trovava in compagnia di tre suoi connazionali che sono stati già espulsi”. Da fonti affidabili risulta che siano stati affidati all’Aise, ai nostri servizi. In attesa andasse in porto il piano per portare il boia prima possibile a Tripoli insieme a loro. Perché non soltanto Almasri è pericoloso per Giorgia Meloni se parla. Anche i suoi gorilla.