Il caso del criminale libico
Lo sfogo delle vittime di Almasri: “Roma ci ha tradito, siete complici di un criminale”
L’arresto del criminale libico avrebbe potuto dare un po’ di speranza a noi vittime, per un momento la giustizia sembrava possibile. Il suo rilascio e la sua rapida espulsione in Libia sono stati un atto di complicità
Cronaca - di David Yambio

David Yambio, portavoce di Refugees in Lybia, è stato torturato da Almasri, il libico che il governo italiano ha sottratto alla Corte penale dell’Aja che lo accusa di reati contro l’umanità e torture inflitte a prigionieri. David Yambio è uno dei firmatari delle denunce presentate alla Corte penale internazionale. Nel novembre del 2019 è stato catturato nel Mediterraneo e riportato in Libia. Dice: “sono stato nelle celle di Al-jadida, dove comandava Almasr che mi ha torturato personalmente. Da lì sono stato portato alla base aerea di Mitiga, dove ho assistito a molte atrocità che non posso descrivere”.
Ci sono crimini così gravi, così imperdonabili, che lacerano il tessuto stesso dell’umanità. E ci sono tradimenti così profondi che annientano qualsiasi fragile fede si possa ancora aggrapparsi alle strutture della giustizia. L’arresto di Osama Njeem Elmasri, il criminale di guerra libico, architetto della mafia e padrone di schiavi impenitente, avrebbe potuto essere un momento di resa dei conti. Un inizio di speranza per le sue vittime, che hanno portato il peso delle sue atrocità nei loro corpi e nelle loro menti, le loro ferite che sono diventate una testimonianza vivente degli orrori commessi da quest’uomo. Per un fugace momento posso dire per me stesso e confido per molti: la giustizia sembrava non solo possibile, ma imminente.
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Ma il governo italiano, con tutta la sua facciata levigata di civiltà e pretese di legalità, ha ricordato al nostro mondo che la giustizia non è un suo problema. No, lasciatemi dire chiaramente: non quando sono coinvolti i neri. L’arresto, abbiamo salutato noi oppressi, è stato annullato nel giro di poche ore. Non perché le prove fossero carenti o la legge poco chiara, ma perché il potere nella sua forma più insidiosa non conosce moralità. Roma ha tradito lo Statuto di Roma, e lo ha fatto con il tipo di arroganza disinvolta che deriva solo dal sapere che non ci saranno conseguenze. Il suo rilascio e la sua rapida espulsione in Libia non sono stati solo un fallimento della giustizia; sono stati un atto di complicità. L’uomo che avrebbe dovuto essere ammanettato e condotto alla Corte penale internazionale è stato invece riportato in aereo nel seno del suo regno mafioso a Mitiga, a Tripoli, in Libia, dove è stato accolto come un eroe. Eroe, lo chiamano, un uomo le cui mani sono bagnate dal sangue di innocenti. Un uomo la cui ricchezza è costruita sulla vendita di vite umane.
E che dire delle vittime? Coloro che hanno trovato il coraggio di raccontare i loro incubi, le loro storie di torture, stupri e schiavitù, a un tribunale che credevano li avrebbe difesi? Che dire del loro dolore, della loro dignità? La loro sofferenza non è stata semplicemente ignorata; ce l’hanno risputata addosso. l’Italia non ci ha solo deluso, ci ha tradito. Roma, la città eterna, dicono, la sede degli imperi, dicono, e l’autoproclamato bastione dei diritti umani, oggi ha rivelato il suo vero volto. Un volto che sorride alle mafie e ai trafficanti mentre volta le spalle a chi non ha voce. La magistratura di Roma ha affermato che l’arresto non era valido perché non era stato coordinato con la sede centrale. Una comoda scusa, avvolta in assurdità burocratiche, progettata per oscurare la vera ragione: l’Italia non ha alcun interesse a smantellare il sistema mafioso in Libia. Lo finanzia, lo alimenta e lo protegge perché ne trae profitto. Il Mediterraneo è un cimitero per noi bambini neri, e l’Italia è uno dei suoi becchini.
Il governo Meloni si atteggia a paladino contro la tratta di esseri umani mentre stringe la mano agli stessi uomini che ne traggono profitto. Tajani, Piantedosi e ogni altro funzionario che ha avuto un ruolo in questa farsa, portano addosso il sangue delle vittime. Non sono solo complici; sono architetti di questa sofferenza in corso. E non dimentichiamo l’Interpol, quella rete oscura di presunte forze dell’ordine, il cui silenzio di fronte a un’ingiustizia così palese parla più forte di quanto potrebbero mai fare le parole. Finora non hanno rilasciato una dichiarazione. Dove ci rivolgiamo ora noi, le vittime? Quando i sistemi che dovrebbero proteggerci cospirano contro di noi, quando i tribunali in cui credevamo ci abbandonano, quando i paesi che decantano la loro civiltà e moralità traggono profitto dal nostro dolore, dove andiamo? Noi che siamo già stati sfollati, ridotti in schiavitù e ridotti al silenzio, come possiamo reagire quando la giustizia stessa è una bugia?
Osama cammina libero oggi perché i sistemi che pretendono di sostenere la giustizia sono costruiti per proteggere uomini come lui. Cammina libero perché il mondo dà più valore al potere che alla moralità, alla ricchezza che all’umanità e alla convenienza che alla responsabilità. Cammina libero perché l’Italia glielo ha garantito. Ma lasciatemi essere chiaro: questa non è solo la vergogna dell’Italia. È la vergogna di ogni nazione, di ogni istituzione, di ogni individuo che è rimasto in silenzio mentre uomini come lui hanno governato le nostre vite con violenza e terrore. La giustizia non verrà dai loro tribunali, dai loro governi o dai loro trattati. La giustizia, se mai arriverà, arriverà da noi, dai sopravvissuti, dalle voci che hanno cercato di mettere a tacere. E lasciatemi promettere questo: non saremo messi a tacere. Non da Elma.