Lo scrittore e saggista
Parla Raniero La Valle: “A Gaza più che un genocidio: perché questa parola non profana la Shoah”
«Qui siamo a una destituzione dall’umano. L’Europa, che è stata la culla dell’umanesimo, non corre, come a quell’ultima soglia dell’umano per difenderlo ma sta programmando un’inversione tra Stato sociale e Mercato comune delle armi»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Il suo libro Gaza delle genti. Israele contro Israele (Bordeaux, 2024) andrebbe fatto conoscere nelle scuole. Per la sua forza emotiva, per la passione civile che lo permea. Per l’amore della verità e della giustizia che riempie ogni pagina. A scriverlo è stato Raniero La Valle, scrittore, saggista, politico, un “monumento” della Rai.
A Gaza continua la mattanza. E in Italia si continua a disquisire se quello messo in atto da Israele nella Striscia è un “genocidio”.
L’uso della parola “genocidio” è stato fieramente contestato dagli Ebrei, non solo di Israele, perché lo ritengono una profanazione o rimozione dell’unico genocidio che sarebbe stato veramente tale, o almeno senza paragoni, quello subito dagli Ebrei ad opera dei nazisti. Ma questo timore è infondato. La Shoah non sarà mai cancellata dal martirologio della storia umana, non avendo paragoni per crudeltà, numero e diabolica pretesa di scientificità, ultimità e finalismo. Da questa aberrazione è scaturito l’irretrattabile “mai più” che tutti ci accomuna. C’è da chiedersi perché allora la parola “genocidio” è tornata…
Perché?
La ragione è che la pratica di tale crimine associata al livello estremo cui è giunta la guerra moderna, è stata implicitamente ammessa nei media e ostentata agli occhi di tutti, se non addirittura legittimata come giustificata e non sanzionabile. Secondo il criterio più specifico adottato dalla Convenzione dell’ONU, che è l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte (anche in parte), un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale, genocidi sono stati in passato quelli degli Indiani d’America o degli Armeni, degli Herero e Nama in Namibia, dei Giapponesi a Hiroshima e Nagasaki, dei Cambogiani imbevuti della vecchia cultura a Phnom Penh e, da ultimo, l’eccidio dei Congolesi a milioni per la sfortuna di vivere in un Congo ricco di stagno, tungsteno, tantalio, oro e altri metalli necessari all’elettronica del mondo intero, nel silenzio dei più. La guerra stessa oggi, con le testate nucleari sulle punte dei fucili, si può assimilare al genocidio. Perfino Trump oggi dice che la guerra “è stupida”, non serve a niente, anche se poi è lui a farla, la guerra oggi è solo un ammazza ammazza generalizzato, terrorismo allo stato puro. Secondo Amos Goldberg, che è uno storico israeliano, ricercatore sull’Olocausto e il genocidio presso l’Università Ebraica di Gerusalemme e membro del Van Leer Jerusalem Institute, benché sia doloroso ammetterlo, quello perpetrato a Gaza è effettivamente un genocidio: gli Israeliani pensano erroneamente che per essere riconosciuto come tale un genocidio debba assomigliare all’Olocausto, e questo non è affatto il caso di Gaza, ma non per questo esso non è un genocidio. Il brutale attacco di Hamas del 7 ottobre è stato un crimine atroce e terribile, ha detto Goldberg, ma il fatto che il genocidio venga presentato come un’operazione di autodifesa non significa che non resti tale e che non sarà così giudicato dalle generazioni future. L’autodifesa è compatibile col genocidio, anzi ne è spesso la mistificazione e il pretesto. Purtroppo però, nonostante questo sdegno per l’accusa di genocidio, il comportamento di Netanyahu con la complicità di tutto Israele è stato tale da mettere sotto gli occhi di tutti, tutte le sere e nelle televisioni di tutto il mondo, una volontà di sterminio dell’intera popolazione di Gaza giunta perfino a infliggere la fame e a difenderla con le armi contro gli affamati in cerca di cibo, fino al punto di bloccare ai varchi gli autocarri recanti il latte in polvere per i bambini morenti, cosicché non rischino, crescendo, di levarsi contro Israele. Ma c’è di più, e perciò abbiamo scritto in una lettera: “Magari fosse un genocidio”, e subito centinaia di persone vi si sono associate e qualcuno, pur lontano dalle sofferenze di Gaza, ci ha scritto di aver pianto nel leggerla, e di somatizzare la compassione che provava per le vittime. Questa è la devastazione, perfino psichica, che sta provocando lo scempio di Gaza.
Un j’accuse possente.
Si è andati in realtà oltre il genocidio: un genocidio, infatti, nel perseguire l’intenzione di distruggere un gruppo umano come tale, potrebbe anche fermarsi a centomila morti (stima inglese, finora, per Gaza) e comunque il gruppo che si vuole distruggere è pur sempre un gruppo umano, che si vuole escludere dalla comune convivenza. Qui invece, siamo a una destituzione dall’umano: aveva messo del resto le mani avanti l’ex ministro della guerra di Netanyahu, all’inizio dell’offensiva di Gaza: combattiamo contro animali umani, aveva proclamato. D’accordo, in mezzo c’erano dei terroristi: ma anche Begin era un terrorista quando con l’Irgun fece saltare l’ambasciata britannica a Roma e l’hotel King David a Gerusalemme, ma non cessò per questo di essere un Ebreo, tanto che divenne poi primo ministro d’Israele; e perfino Andreotti ha detto che in date situazioni sarebbe stato egli stesso un terrorista. E Gaza, altro che stabilimento balneare, sta diventando una tonnara dove i pesci sono sospinti nella “camera della morte” per essere arpionati e uccisi, come l’attuale ministro della Guerra di Netanyahu, Katz, ha dato ordine all’esercito di fare concentrando 600.000 Palestinesi nel Sud della Striscia in un serraglio chiamato “città umanitaria”, da cui non uscire mai più. Meno umani di così! Perciò qui non è più questione dei Palestinesi, degli Israeliani, dei Russi o degli Ucraini, dell’Iran o dell’America; qui siamo alla perdita dell’ultima dignità dell’umano, a quella soglia oltre la quale l’umano non è più umano. L’Europa invita alla moderazione. Senza sanzionare i responsabili della tragedia in atto. L’Europa, che è stata la culla dell’umanesimo, non corre, come dovrebbe, a quell’ultima soglia dell’umano, per difenderlo, ma sta programmando uno scambio, un’inversione tra Stato sociale e Mercato comune delle armi.
A giugno, il 7 e il 21, a Roma centinaia di migliaia di persone hanno manifestato per chiedere la fine della mattanza di Gaza e per una Palestina libera. Per questo sono state accusate di essere filo-Hamas.
Non solo a Roma. Ma nell’uso che ne fa Israele, Hamas non è che un altro nome per i Palestinesi. Ma è vano: la parola non nasconde, rivela. Così è vano che ogni volta, quasi per scusarsi, la Schlein che critica Israele, usi il fastidioso stereotipo: il “governo di estrema destra di Israele”. Perché, se non fosse di “estrema destra”? Furono migliori i laburisti? E i coloni? E la Costituzione dello “Stato ebraico”, finalizzata a una Palestina senza Palestinesi?
Il segretario di Stato americano, Mario Rubio, annuncia sanzioni contro la Relatrice speciale delle Nazioni Unite per i Territori palestinesi, nonché cittadina italiana, Francesca Albanese. Il governo israeliano, come ben documenta una inchiesta di Fanpage, orchestra e finanzia una campagna social contro Albanese. Siamo arrivati a questo? Chi tocca Israele “mediaticamente” muore?
Gli esperti dicono che corrono milioni e milioni per comprare campagne mediatiche e di persuasione occulta sui social. E gli effetti si vedono. C’è tutta una cultura che sta degenerando e quelli più in pericolo sono i giovani. Ma Francesca Albanese! Quale promessa di un altro futuro! Qui va ricordato un grande filosofo urbinate e amico in tante battaglie, Italo Mancini. Quando insieme cercavamo le vie per uscire da quello che, in una “lettera ai comunisti”, insieme con Claudio Napoleoni avevamo chiamato “il sistema di dominio e di guerra” e cercavamo le alternative per costruire un mondo nuovo, Mancini aveva enunciato, anche teoricamente, il principio dell’epoca nuova, capace di irradiare le culture e le politiche, e lo aveva chiamato il “principio femminile”: Non era l’appello sdolcinato, maschilista, all’ “eterno femminino”, una specie di maschio ma privo di furore, era un’altra idea dell’umano, degli uomini come delle donne, ma che nella donna reale, di carne e di spirito, trovava il suo modello; contro l’ideologia del sistema vigente era l’alternativa della cultura delle donne che vengono da una lunga sofferenza, con la vocazione alla cura reciproca e soprattutto del più debole (il neonato!), come soggetti non alienati in un lavoro schiavo e naturali fautori e portatori di pace. Un’illusione? C’è stata in questi giorni una polemica perché qualcuno ha giudicato che le donne al potere, da Ursula in giù, per non dire di Golda Meir o della Thatcher (“riportiamo gli Iracheni all’età della pietra!”), sono più guerrafondaie, autoritarie, e di minor pietà che molti uomini. Ed ecco una donna che si alza al disopra della mischia, che ha il coraggio della verità, che sfida i potenti, che rivendica l’umano. E molte altre si espongono, non vorrei escludere nessuna, ma per stare alla Palestina, come non ricordare in Italia quelle che scendono in piazza, che lottano in politica, che cercano di aiutare i bambini amputati di Gaza, e come non citare tra quelle che scrivono Roberta De Monticelli, Elena Basile, Anna Foa, Ginevra Bompiani, Laura Marchetti? Dunque, il principio femminile non è una illusione, è una riserva per il domani.
Papa Francesco ebbe anche il suo ultimo pensiero per i martoriati gazawi. Il nuovo Pontefice sta seguendo quella strada?
Il nuovo Papa con la sua “mitezza”, come dice il cardinale Zuppi, è una grande promessa per i cattolici, e speriamo lo sia per tutti gli uomini, che sono tutti, “todos”, diceva papa Francesco, popolo di Dio. Questa è la vera nuova dimensione della tradizione ebraico-cristiana, non c’è più un Dio geloso che alcuni sceglie, gli altri abbandona. Ci piacerebbe vederlo a Gaza, “il nuovo Papa”, come Francesco a Lampedusa, o come l’altro Leone a Mantova.