L'articolo su Haaretz

Yair Golan: “Non è la sicurezza di Israele a guidare la guerra di Gaza”

Yair Golan, presidente del Partito democratico israeliano, su Haaretz: “I leader responsabili sanno che il potere militare è solo un mezzo, non un fine. Il compito della leadership non è sfruttarlo per ottenere vantaggi politici, ma garantire la stabilità e il raggiungimento di accordi regionali”

Esteri - di Umberto De Giovannangeli

20 Giugno 2025 alle 16:00

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AP Photo/Ohad Zwigenberg
AP Photo/Ohad Zwigenberg

Yair Golan, 63 anni, di guerre ne ha combattute, fino a diventare generale. Oggi Golan è il presidente del Partito democratico israeliano, che ha unito il Labour e il Meretz. Un sionista di sinistra. Il combinato disposto dell’esperienza militare e di quella politica, lo portano a sostenere, in un articolo pubblicato su Haaretz, che “Da Teheran a Rafah, la vittoria militare non basta a Israele”.

Golan articola così la sua convinzione: “Ci sono momenti in cui un paese deve difendere la propria posizione. L’attacco preventivo di Israele alle infrastrutture nucleari iraniane è uno di questi momenti. La decisione di agire è stata giusta. L’operazione è stata complessa e ha richiesto un coordinamento dei servizi segreti senza precedenti, nonché un’abilità tecnologica che pochi altri paesi possiedono. Si tratta di un risultato militare raro e ammirevole. Ma è proprio questo il punto: si tratta di un risultato militare, non politico. Ora, mentre la finestra di opportunità per colpire l’Iran e i suoi alleati è ancora aperta, dobbiamo consentire alle forze di difesa di continuare il loro lavoro e massimizzare i risultati. I leader israeliani, tuttavia, devono spiegare al pubblico l’obiettivo politico che intendiamo raggiungere con questa guerra”. Una spiegazione che il primo ministro Benjamin Netanyahu non dà.

Incalza Golan: “Dobbiamo essere realistici. Israele non conquisterà l’Iran, non eliminerà il regime degli ayatollah e non costringerà il Paese alla resa. Chiunque aspiri a questo si troverà, nel giro di pochi anni, di fronte a un Iran umiliato ma determinato, che ricostruirà le infrastrutture in bunker impenetrabili e il proprio programma nucleare in modo più efficace e meglio difeso. Ha il know-how e la tecnologia necessari, e le risorse sono disponibili. Tutto ciò di cui ha bisogno è la determinazione e la motivazione per raggiungere il suo obiettivo. La politica è la continuazione della guerra con altri mezzi. Quando sei al massimo della tua forza, è il momento di aprire la finestra per creare risultati politici e di sicurezza a lungo termine che tengano conto dei tuoi interessi. Con il suo attuale vantaggio, Israele può e deve svolgere il ruolo di guida dietro le quinte e sviluppare i mezzi per porre fine alla guerra, ovvero un nuovo accordo nucleare migliore del JCPOA del 2015, basato su di esso e che garantisca una supervisione più a lungo termine e più rigorosa. Non un accordo basato sull’umiliazione, ma sulla deterrenza, la trasparenza e la comprensione reciproca. L’esperienza della guerra Iran-Iraq – un conflitto sanguinoso durato otto anni e che ha causato quasi un milione di vittime in Iran – dimostra che il regime degli ayatollah non si arrenderà sotto pressione, ma aspetterà che si presenti la prossima occasione. L’Iran ha subito danni enormi, ma il regime è sopravvissuto. Anzi, si è rafforzato ulteriormente. La guerra è diventata un simbolo della resistenza nazionale iraniana. Il leader iracheno Saddam Hussein si aspettava un crollo veloce, ma finì per combattere una guerra di logoramento che impoverì il suo paese”.

La memoria dovrebbe aiutare a comprendere cosa non fare, quali errori non ripetere. “Anche la nostra storia ci insegna qualcosa – sottolinea Golan – Nel 1967 Israele ottenne una grande vittoria militare, ma non riuscì a trasformarla in un processo politico e nel 1973 pagò un prezzo amaro. Solo dopo la guerra dello Yom Kippur raggiungemmo un accordo con l’Egitto, che da allora è diventato un pilastro della sicurezza nazionale israeliana. Le lezioni del passato sono chiare: ogni vittoria che non si traduce in un accordo è destinata a degenerare in un’altra guerra. Pertanto, ora che abbiamo dimostrato di avere la potenza militare per aprire una finestra storica, dobbiamo iniziare a sviluppare contemporaneamente un fronte regionale di Stati moderati – Israele, Stati Uniti, Egitto, Giordania, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti – per affrontare l’asse del male dell’Iran. In questo contesto, Israele avrebbe un ruolo chiave nel costruire un nuovo Medio Oriente in cui non solo si limita a reagire, ma anche a guidare. Questo è il momento in cui la forza militare deve lasciare spazio alla visione strategica. Solo una visione chiara può garantire la nostra sicurezza nazionale, non solo per le prossime settimane, ma per gli anni a venire.

E ora, da Teheran a Rafah. Alla luce dei nostri successi militari, è fondamentale porsi la domanda più dolorosa di tutte: se abbiamo dimostrato di avere un grande potere, perché non tutti gli ostaggi sono stati ancora liberati e perché Hamas continua a esistere a Gaza? La risposta è chiara: non si tratta di una questione di potere militare, ma di politica. Non è la sicurezza nazionale a guidare la guerra nella Striscia di Gaza, ma la politica di coalizione. Nel momento in cui le considerazioni politiche prevalgono sulle esigenze di sicurezza, i risultati militari svaniscono e il nostro vantaggio viene sprecato. I leader responsabili sanno che il potere militare è solo un mezzo, non un fine. Il compito della leadership non è sfruttarlo per ottenere vantaggi politici, ma garantire la sicurezza, la stabilità e il raggiungimento di accordi regionali. Solo così potremo garantire il nostro futuro, non come una vittoria temporanea, ma come un vantaggio a lungo termine che ci renderà la potenza più forte del Medio Oriente”, conclude il leader del Partito democratico. Leader responsabili. Quello che non sono Netanyahu e i suoi ministri fascisti.

20 Giugno 2025

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