Il vicepresidente del gruppo Pd-Idp

Parla Paolo Ciani: “Decreto Sicurezza fatto di slogan, funge da vendetta istituzionale”

«Questo decreto è un provvedimento repressivo, ideologico e inefficace. Non lo dice solo il buon senso, lo dicono i dati: moltiplicare i reati non serve a nulla. Anziché trovare soluzioni, si indica un nemico e si dice: tranquilli, li metteremo in galera!»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

5 Giugno 2025 alle 08:00

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Photo credits: Andrea Di Biagio/Imagoeconomica
Photo credits: Andrea Di Biagio/Imagoeconomica

Paolo Ciani, segretario nazionale di Democrazia Solidale, Vicepresidente del gruppo Pd-Idp alla Camera dei deputati. Il suo intervento in Aula è stato un possente j’accuse contro l’idea di sicurezza che chi governa l’Italia ha inverato in diversi decreti-legge…
La sicurezza è una cosa molto seria, uno di quegli argomenti che sono “interesse dello Stato” e come tali andrebbero trattati privandoli degli aspetti propagandistici. E nel Paese della criminalità organizzata parlare bene di sicurezza è importante. Ma, come abbiamo detto in tanti in Aula in questi giorni, questo è un provvedimento repressivo, ideologico ed inefficace. L’ennesima legge bandiera di questo Governo, con un chiarissimo intento propagandistico, che vuol far credere agli italiani e alle italiane che la sicurezza si costruisca con repressione, paura, più pene e più carcere. Sono state introdotte 14 nuove fattispecie penali e 9 nuove circostanze aggravanti; è stato criminalizzato il dissenso, equiparato la resistenza passiva non violenta a forme di protesta violenta. Ma mi chiedo, dove sono le prove che un simile approccio riduca i reati? Non lo dice solo il buon senso, lo dicono i dati, gli studi, i numeri: a nulla serve moltiplicare i reati e le aggravanti, soprattutto se non si interviene sulle cause profonde, di natura sociale ed economica, alla base del disagio. Pensiamo al “Decreto Caivano”; a distanza di un anno dalla sua entrata in vigore, i dati parlano chiaro: le presenze negli Istituti Minorili sono aumentate del 48%, un incremento drammatico che ha ulteriormente aggravato le condizioni già critiche di quelle strutture. E parliamo di ragazzi… Cos’altro serve per far capire a chi governa che l’approccio repressivo non funziona? È solo un modo per nascondere la polvere sotto al tappeto. Questa non è sicurezza: è vendetta istituzionale, è paura elevata a sistema, è debolezza mascherata da forza.

Più repressione, più pene e più carcere: è la linea della destra. A chi parla nel Paese?
Parla a tutti, ma lo fa con populismo ed insincerità. In aula una collega di FdI ha gridato: “noi non ascoltiamo gli ‘ermellinati’, ascoltiamo la gente”. Lo diceva riferendosi a tutti gli auditi che avevano criticato il provvedimento. Ma, a parte il disprezzo per la cultura e gli esperti, è la questione che è posta male. C’è forse qualcuno che è d’accordo con truffe, borseggi, lesioni, rivolte? Non credo… il problema sono le soluzioni proposte. Visto che dopo tre anni che governano queste condotte ancora dilagano, loro fanno credere che le risolveranno con più pene e più carcere. Anziché trovare soluzioni, si indica un nemico e si dice: tranquilli, li metteremo in galera! Agisce con provvedimenti che altro non fanno che acuire problemi già esistenti e situazioni già gravi: il Decreto sicurezza si inserisce in un contesto in cui le carceri sono al collasso e chi ci governa dovrebbe saperlo. Le celle sono sovraffollate, i servizi educativi insufficienti, l’accesso al lavoro e alla formazione gravemente compromessi. Gravi problemi sanitari, detenuti con pluridipendenze e altri con problemi psichiatrici. E i numeri dei suicidi ci restituiscono una fotografia ancora più drammatica: 88 suicidi in carcere nel 2024, il dato più alto degli ultimi 30 anni, già 32 nel 2025. I suicidi non sono solo tra i detenuti: si contano anche tra il personale penitenziario, segno di un sistema logorato, esasperato. Eppure, di fronte a queste criticità, il Governo chiude occhi ed orecchie e sceglie ancora la strada dell’inasprimento delle pene, la strada di più carcere. Questo provvedimento è l’ennesimo tassello in un mosaico repressivo che la destra porta avanti: rafforzare la repressione, indebolire i diritti, trasformare la giustizia in punizione. Fa propaganda ignorando deliberatamente i principi fondamentali della nostra Costituzione, ad esempio, abusando sistematicamente della decretazione d’urgenza, così svuotando il ruolo del Parlamento e riducendo al minimo gli spazi di confronto democratico. Non si tratta di un effetto collaterale ma di una scelta politica precisa: è la volontà di trovare un nemico da additare, rassicurando che lo si metterà in carcere. Loro chiamano sicurezza ciò che in realtà è controllo, concentrazione del potere e riduzione degli spazi democratici.

L’allora ministro dell’Interno PD, Marco Minniti, non ancora folgorato sulla via di Meloni, ebbe a dire: sicurezza è parola di sinistra. Ma quale sicurezza? E quale sinistra?
Sicurezza dovrebbe essere parola di tutti. Ma dove sta la sicurezza quando ogni 3 giorni un nostro concittadino muore sul lavoro, anzi, muore di lavoro. Dove sta la sicurezza quando una giovane donna, figlia, compagna, moglie, viene molestata per strada, sul lavoro, a scuola o addirittura uccisa brutalmente per mano di un uomo? Dov’è la sicurezza quando bambini muoiono di fame e di sete a poche miglia dalle nostre coste? Qual è la sicurezza dove in ampie zone del Paese i commercianti sono strozzati dal pizzo? Del resto, lo stesso Ministro Nordio ha invitato le donne a nascondersi in chiesa o in farmacia se perseguitate da uomini violenti. Della serie, si arrangiassero… Sembra quasi che la parola sicurezza venga usata quando fa comodo, come uno slogan vuoto, abusata ed utilizzata come uno strumento contro: scioperare e bloccare la strada davanti ad una fabbrica che licenzia diventa reato. Ma crea più insicurezza licenziare o bloccare una strada? La sicurezza è altra cosa: è giustizia sociale, è coesione, è unità, è equità. È un quartiere illuminato, una scuola che funziona, un luogo di aggregazione aperto nelle periferie, un lavoro regolare. È cultura e istruzione. Che sicurezza è quella che reprime i giovani che manifestano per il diritto a un futuro, per il diritto a respirare un’aria pulita, a vivere su un pianeta sano? Anziché ascoltarli, questo Governo criminalizza il loro grido e li tratta come una minaccia. E che dire delle persone migranti trattenute nei CPR, luoghi di detenzione amministrativa, abbandonate in strutture che troppo spesso sono luoghi di abusi, di violazioni dei diritti umani, di disperazione. In quei luoghi, l’unico modo che resta per farsi ascoltare è il silenzio di uno sciopero della fame, disobbedire agli ordini impartiti. E questo Governo ha scelto di punire anche questo. Ma in quale Stato di diritto chi protesta pacificamente contro un’ingiustizia viene trattato come un criminale?

C’è altro?
Vorrei sottolineare poi un aspetto: il ruolo delle forze dell’ordine. La destra dice: noi siamo dalla loro parte (lasciando intuire o dicendo esplicitamente che noi saremmo contro). Questo non lo accetto. Continuare a mettere gente in carcere non è stare dalla parte della Polizia Penitenziaria, già fortemente sotto organico. Così come autorizzare il possesso di armi anche quando non sono in servizio non aiuta gli agenti. Soprattutto non va bene far crescere lo scontro sociale e chiedere alle Forze dell’Ordine di reprimerlo. Grave poi è ciò che è previsto nella norma relativamente ai servizi segreti: oltre a rendere obbligatoria la collaborazione, in deroga ai vincoli di riservatezza, dei soggetti (es. università e ospedali) tenuti a prestare collaborazione (in sostanza cedere dati e informazioni!), mette a regime disposizioni che prevedono che i servizi segreti possono essere autorizzati a compiere determinate azioni che normalmente costituirebbero un reato. Stiamo parlando di reati come la partecipazione ad associazioni sovversive, arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale e banda armata, direzione e organizzazione di associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico, istigazione a commettere delitti di terrorismo o crimini contro l’umanità. Siamo sicuri che tutto ciò tratti di sicurezza? Ma soprattutto, di chi?

Sicurezza e diritti sociali e di cittadinanza. L’8-9 prossimi si vota per i 5 referendum che hanno come oggetto queste tematiche. La Tv di Stato, che sulla carta dovrebbe essere un servizio pubblico, ha praticamente oscurato i referendum, mentre c’è chi, come il presidente del Senato Ignazio La Russa, si è vantato di aver fatto campagna per il non voto…
È inaccettabile ma non stupisce. Parliamo di un Governo che fa continuamente ricorso alla fiducia oltre a varare continui decreti-legge, mortificando il ruolo del Parlamento ed evitando il confronto democratico. Intorno ai Referendum si è creato un silenzio assordante, un vero soffocamento del dibattito pubblico. Quando il servizio pubblico radiotelevisivo – che dovrebbe essere luogo di informazione libera e plurale – viene ridotto a megafono del Governo, siamo evidentemente di fronte a una crisi profonda della democrazia. Ma anche qui, fa tutto parte dello stesso disegno: limitare la partecipazione, reprimere il dissenso. Ed è evidente che il miglior strumento per opporsi a tutto questo è votare. Esercitare un nostro diritto e dovere morale: il voto è il fulcro della democrazia, è la ragione che permette alla democrazia di esistere. La Repubblica Italiana è fondata sulla partecipazione, “la sovranità appartiene al popolo”. Eppure, con questo Governo, dove la seconda carica dello Stato invita esplicitamente a non presentarsi alle urne, votare sembra diventato un atto di resistenza. La destra che si appella alla “gente” vuole togliere alle persone la forza più importante che ognuno ha in democrazia: il voto. I referendum che si voteranno l’8 e il 9 parlano di diritti, lavoro, cittadinanza, futuro. Parlano del tipo di Paese che vogliamo costruire. Andare a votare è un gesto di responsabilità; è un modo per dire che la democrazia ci riguarda e, soprattutto, che la vogliamo.

5 Giugno 2025

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